Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-06-2011) 23-06-2011, n. 25292

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Reggio Calabria investito ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame proposta dall’indagato G.O., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 4.8.2010 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso.

Secondo l’ipotesi accusatoria il G. era associato alla ‘ndrangheta, attivamente partecipando della "società" di Siderno.

1.1. Il Tribunale – riassunta la storia delle indagini, la ricostruzione dell’organizzazione criminale nelle sue varie articolazioni, le emergenze relative alla "società di Siderno", del mandamento Ionico; esposti i principi di diritto cui intendeva ispirarsi; respinta l’eccezione sull’inutilizzabilità delle intercettazioni prorogate il 3.7.2009 – evidenzia che a carico del G., individuato come O. genero di " M.C.", ovvero di M.F., militavano essenzialmente i contenuti di una conversazione ambientale intercettata il 10 agosto 2009, il cui inequivoco tenore consentiva di ritenere raggiunta una grave e solida prova indiziaria.

Nel corso di detta conversazione, stando a quanto riportato nel provvedimento impugnato, Co.Gi., parlando con B. G. ed E.R., aveva affermato che il G., che aveva convocato ultimamente quando avevano riaperto le ‘ndrine (ma di tale convocazione non riferiva l’esito), aveva ricevuto la carica mafiosa della "Santa", o forse del "Vangelo"; uno dei due interlocutori replicava che di lui non lo sapeva.

2. Ha proposto ricorso l’indagato con atti distinti a firma degli avvocati Antonio Speziale e Alfredo Gaito.

2.1. Ricorso Speziale.

2.1.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla utilizzabilità delle intercettazioni effettuate e, in particolare, delle conversazione ambientale del 10 agosto 2009, in relazione alla quale, in sede di riesame, era stato già eccepito che il decreto di proroga in forza del quale erano state eseguite, era viziato perchè non conteneva un’adeguata motivazione in relazione alle ragioni di insufficienza, o inidoneità, degli impianti installati presso gli uffici della Procura, e alle ragioni di urgenza. Erroneamente il provvedimento impugnato aveva respinto l’eccezione affermando che il P. m. nella sua richiesta, prima, e il G.i.p. nella sua autorizzazione, poi, avevano indicato le ragioni della deroga, mentre invece sarebbe stato necessario che la Procura distrettuale avesse preventivamente verificato che effettivamente le attività non potevano essere svolte presso gli uffici di quella o di altre Procure. La motivazione della richiesta del P.m. era inoltre contraddittoria di illogica anche sotto l’aspetto dell’oggettiva urgenza.

2.1.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge nonchè mancanza, insufficienza, apparenza e illogicità della motivazione in relazione ai gravi indizi di colpevolezza. Illogicamente e apoditticamente il Tribunale aveva attribuito grave valenza indiziaria a una sola conversazione, tra terzi, nella quale si sarebbe parlato da parte di uno dei colloquianti del fatto che il G. aveva una carica di ‘ndrangheta, forse il Vangelo forse la Santa, si ammetteva dall’altro di neppure conoscerlo. Dalla stessa conversazione emergeva dunque chiaramente che coloro che parlavano non conoscevano nè la carica nè la persona del ricorrente e nessun elemento di riscontro, anche solo indiretto risultava acquisito con riguardo alle affermazioni, assolutamente incerte, riportate. Nel l’omettere di dare risposta alle deduzioni difensive il Tribunale aveva peraltro omesso di considerare che in nessun altra conversazione il ricorrente risultava interlocutore diretto o nominato da altri; che non risultava essere mai entrato nella lavanderia che si assumeva fosse base dell’associazione di Siderno;

che non v’era traccia in atti di un suo concreto apporto personale all’organizzazione delittuosa e mancavano indicatori fattuali sia della sua oggettiva partecipazione sia della sua condivisione del programma criminoso.

2.1.3. Con il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e vizi di motivazione, in relazione alle esigenze cautelari, affermate "in automatico" e senza neppure considerare l’evanescenza dei profili indiziari.

2.2. Ricorso Gaito.

Dato atto delle argomentazioni del ricorso precedente, il secondo ricorso intende incentrare le censure sulla manifesta illogicità e intrinseca contraddittorietà – infedeltà della motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto agli atti del procedimento.

Si osserva che il Tribunale – dopo aver premesso che il metodo che intendeva seguire era quello di valutare le affermazioni etero accusatorie rese da terzi nel corso di conversazioni alle quali non avranno partecipato direttamente i singoli indagati, in relazione agli elementi di riscontro e conforto acquisiti – contraddittoriamente considerava raggiunto un livello indiziario sufficientemente grave a carico della ricorrente sulla base di una sola conversazione tra terzi, che costituiva "l’unica" (non la "essenziale") fonte d’accusa. In essa, inoltre, un colloquiante si mostrava incerto in ordine alla carica ricoperta dall’indagato, l’altro ammetteva addirittura di non conoscerlo. Sicchè tale conversazione, non soltanto non forniva alcuna prova "riscontrata", ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3, ma soprattutto, costituendo elemento indiziario incerto e isolato, neppure bastava fondare un quadro indiziario grave a sufficienza secondo i comuni cannoni ermeneutici (ex art. 192 c.p.p., comma 2).

3. Con note d’udienza i difensori insistono nei motivi concernenti la insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, sostenendo la necessità di estendere alle conversazioni di coimputati la regola della necessità di riscontri.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il primo motivo del ricorso Speziale è privo di fondamento.

Il provvedimento impugnato ha del tutto correttamente respinto l’eccezione prospettata in sede di riesame relativa alla inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, riportando la motivazione contenuta nella richiesta di proroga del pubblico ministero, alla quale il decreto esecutivo si rifaceva e che era estremamente dettagliata e meticolosa quanto a ragioni della inidoneità degli impianti (si evidenziava che il segnale trasmesso dal sistema precedentemente in uso, installato presso la Procura, "non era ottimale tanto da compromettere l’utilità del servizio stesso", a causa della "ubicazione dei locali dell’esercizio commerciale intercettato (…) situati in un piano seminterrato"; che poteva ovviarsi all’inconveniente ricorrendo a un sistema wireless, ma questo non poteva essere installato presso i locali della Procura per l’eccessiva loro lontananza, che avrebbe comunque prodotto perdita del segnale, mentre i locali della polizia erano a distanza assai più ravvicinata) e quanto ad eccezionali ragioni di urgenza (relative a delitto di associazione di stampo mafioso in atto, attese le continue emergenze investigative derivante da una complessa attività di captazione in corso ed alla progressione degli episodi dei commenti che venivano effettuati dagli indagati).

Totalmente priva di base giuridica è quindi l’affermazione che il Pubblico ministero avrebbe dovuto procedere a verificare egli stesso le ragioni di inidoneità riferitegli dalla Polizia giudiziaria (inadeguatezza del segnale) e dare conto in motivazione di tale "esperimento personale". I fatti da cui dipende l’applicazione delle leggi processuali sono oggetto di prova e la prova era fornita dalle relazioni della polizia e dalle registrazioni acquisite, che neppure il difensore denunzia travisate.

2. Sono invece fondate le censure, icasticamente riassunte e precisate nel ricorso Gaito, relative alla gravita indiziaria.

E’ appena il caso di ricordare che, perchè possa configurarsi una condotta di partecipazione ad associazione mafiosa, è necessario che emergano a carico del sospettato elementi significativi della sua stabile compenetrazione nel tessuto organizzativo del sodalizio e di un suo ruolo "dinamico e funzionale" agli interessi del gruppo criminale; comunque richiedendosi per ciascun associato la consapevolezza e la volontà di far parte del sodalizio e la prova, perciò, di un suo contributo (Sez. U, sent. n, 33748 del 12/07/2005, Mannino) alla realizzazione del programma criminale comune, ovvero, quantomeno, alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione.

2.1. Ora, il provvedimento impugnato riposa su una sola conversazione intercettata, intrattenuta tra altri soggetti, il primo dei quali asserisce che il ricorrente avrebbe una carica all’interno dell’organizzazione ‘ndrangheristica locale, ma non sa bene quale; il secondo, anch’egli in tesi associato alla medesima organizzazione, mostra di non conoscere come sodale, neppure di nome, il ricorrente.

L’elemento probatorio, tratto da un’unica conversazione, è dunque costituito da due voci che si incontrano ma non si confermano.

Null’altro emerge – almeno stando al provvedimento impugnato – dagli atti d’indagine, che pure non risultano esigui nè durati per poco tempo.

2.2. Non importa, dunque, a fronte della obiettiva equivocità e scarsa conducenza della conversazione riportata, stabilire se le conversazioni intercettate costituiscano prove indirette o dirette.

Non è attraverso le nozioni colte di prova critica o logica da contrapporre alle prove storiche o rappresentative, ovvero a funzione narrativa, che può darsi senso ai criteri dettati dall’art. 192 cod. proc. pen., anche perchè non è detto che la prova indiretta (o critica) sia sempre e comunque meno persuasiva della prova rappresentativa o a funzione narrativa. L’unico canone accettabile è quello epistemologico, dell’indizio inteso come probatio minor, riferibile al fatto o alla circostanza idonea a giustificare il convincimento in termini di mera verosimiglianza in contrapposizione al dato capace di sorreggere un giudizio di alta probabilità o di certezza giudiziale (una conclusione necessaria, non solo possibile).

Come dice la stessa Relazione al Progetto preliminare del 1988:

"l’art. 192, comma 2 introduce nel diritto processuale penale una regola operante nel processo civile in virtù dell’art. 2729 c.c. (…) una regola che serva da freno nei confronti degli usi arbitrari e indiscriminati di elementi ai quali, sul piano logico, non è riconosciuta la stessa efficacia persuasiva delle prove" (p.127-128).

Chiarito che non è la fonte nè l’oggetto della prova ciò che qualifica l’indizio ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, ma il suo contenuto e il suo grado di persuasività, non v’è dubbio che una conversazione tra due soggetti che non convalidano neppure tra di loro la tesi di un ruolo mafioso di un terzo, ha valore meramente indiziario e costituisce perciò elemento da solo insufficiente – in base alle comuni regole epistemologiche richiamate dall’art. 192 c.p.p., comma 2, come correttamente sottolinea il secondo ricorso – a fondare un giudizio di gravita indiziaria capace di giustificare l’applicazione di misura cautelare.

3. Segue all’evidenziata carenza l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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