Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-06-2011) 23-06-2011, n. 25291 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Reggio Calabria, investito, ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame proposta dall’indagato V.S. avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 25.2010 aveva disposto nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere, ha parzialmente accolto il grave applicando al V. gli arresti domiciliari.

1.1. V.S. (cl. (OMISSIS)) era accusato di associazione di tipo mafioso quale appartenente alla cosca Buda – Imerti. Secondo la contestazione il suo ruolo consisteva nello svolgere, assieme a P.D., attività di imprenditore al servizio del sodalizio, Premessa la struttura e la storia della cosca, ed esaminati dapprima gli elementi relativi al P., titolare di una forno, in relazione alla specifica posizione del ricorrente V.S., il Tribunale osservava che a suo carico militavano:

– la sua partecipazione all’incontro tenuta a casa di E. E. il 27 gennaio 2000 con P., I.A., M.G., C.F., Ci.An. e Cr.Um.Fr., e all’incontro avvenuto il 29 maggio 2006 con B.P., P., I.A. e C. A.;

– la conversazione del 26 giugno (o luglio, secondo il ricorso) 2006, pr. 6525, intrattenuta con il P., dalla quale secondo il Tribunale emergeva l’inserimento del V. nelle dinamiche criminali, perchè l’indagato faceva commenti sulle vicende interne all’associazione mafiosa e parlava della necessità di un intervento degli anziani per risolvere la questione innescata dal comportamento di Z.R.;

– la conversazione del 29 gennaio 2007, nella quale il ricorrente invitava un nipote ad andare in ospedale per informarsi dal primario dello stato di salute della madre di I.M.;

– la conversazione del 4 marzo 2007, intrattenuta tra il ricorrente la moglie, nella quale il primo diceva che non era possibile andare a prendere un pezzo di terra o un lavoro perchè c’era il vicino – da intendersi secondo il Tribunale riferita alla spartizione del territorio tra cosche mafiose -, e parlava, nel prosieguo, della necessità che si riducesse la presenza dei latitanti territorio, e nella quale la moglie rispondeva: " S. quelli che ci sono … voi che li spalleggiate … i giovani non li spalleggiano più";

– la conversazione del 23 marzo 2007, tra il ricorrente e V. D., nella quale i due parlavano della suddivisione territoriale delle cosche citando un gran numero di capi mafia e dell’autorità da costoro esercitata, ritenuta di elevato significato a carico dell’indagato per l’interessamento mostrato all’individuazione dei precisi confini delle aree di intervento delle cosche mafiose, chiedendo chiarimenti in particolare per il territorio di Gallico.

Ad avviso del Tribunale tali conversazioni dimostravano dunque la piena condivisione da parte del ricorrente "degli scenari mafiosi";

il numero delle circostanze evidenziate era troppo alto per essere frutto di coincidenze e avvalorava l’impostazione accusatoria, confermando la partecipazione del ricorrente alla consorteria mafiosa; appariva evidente che il ricorrente non era un "semplice" imprenditore, ma "un imprenditore che conosce(va) a fondo le dinamiche criminali del territorio di riferimento, che si relazionala) ripetutamente con gli esponenti di vertice della cosca Buda-Imerti, che arriva(va) al punto di attivarsi per avere notizie sulla salute della madre del reggente". 2. Ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore avvocato Carlo Morace, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.

Denunzia con unico motivo violazione di legge e vizi della motivazione, osservando che il Tribunale di Reggio Calabria aveva ritenuto il ricorrente un imprenditore mafioso senza alcuna indicazione di condotte imprenditoriali illecite idonee a confermare l’assunto accusatorio. In particolare poi, nel riassumere gli elementi a carico del V. aveva evocato una sua "piena condivisione" di valori sbagliati e una sua "vicinanza" ad alcuni soggetti appartenenti alla mafia con essa collusi, ma aveva completamente omesso di considerare che la difesa aveva dedotto, producendo una memoria sostegno, che già dal 2005 non risultava attività imprenditoriale di alcun genere poste in essere dal ricorrente.

Evidenzia quindi che per ritenere la partecipazione all’associazione di stampo mafioso dell’imprenditore colluso si sarebbe dovuto dimostrare che egli era entrato in un rapporto sinallagmatico con l’associazione, idoneo a produrre vantaggi per entrambe le parti. Il solo fatto che la mafia controlli le attività economiche sul territorio e che un imprenditore si mostri "compiacente", o soggiaccia alla "protezione" accordatagli, non è sufficiente invece a sostenere la sua partecipazione (paritaria) al sodalizio criminale, dal quale non trae neppure un vantaggio di posizione.

In conclusione: non risultava che il V. svolgesse attività imprenditoriale (il Tribunale non lo dimostrava e non smentiva le deduzioni difensive); anche a ritenere che lo facesse non risultava alcuna sua condotta di partecipazione ad affari, appalti, commissioni, estorsioni, che in qualche modo potesse giustificare l’accusa di partecipare al sodalizio agendo secondo dinamiche di tipo mafioso e svolgendo attività imprenditoriale "al servizio della cosca"; a suo carico stavano soltanto l’indicazione di un’adesione psichica a valori errati e l’evocazione di rapporti personali con soggetti ritenuti mafiosi; la circostanza che si informasse in merito ai soggetti che controllavano una determinata zona o che si fosse prestato ad una cortesia personale in occasione della malattia di parenti e di un mafioso, non dimostrava in alcun modo la condotta di partecipazione contestata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso appare fondato.

Il quadro indiziario su cui si basa, stando al provvedimento impugnato, l’accusa di associazione mafiosa rivolta a V. S. non risulta qualificato dalla individuazione di condotte specificamente sintomatiche di una fattiva partecipazione al sodalizio criminoso, secondo gli indici più volte evidenziati dalla giurisprudenza di legittimità. Perchè si possa configurare una condotta di partecipazione è necessario difatti che emergano a carico del sospettato elementi significativi di un suo ruolo funzionale agli interessi del gruppo criminale: comunque richiedendosi per ciascun associato la consapevolezza e la volontà di far parte del sodalizio e la prova, perciò, di un suo contributo "dinamico e funzionale" (Sez. U, sent. n. 33748 del 12/07/2005, Mannino) alla realizzazione del programma criminale comune, ovvero, quantomeno, alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione.

2. Ora, con riguardo alla posizione del V., si sostiene che il suo ruolo era quello di imprenditore di mafia, ma non si dice neppure quale attività imprenditoriale svolgesse e in che ambito; tanto meno si risponde alle deduzioni difensive che contestavano che ancora ne svolgesse alcuna.

Il Tribunale afferma quindi che a carico del V. sarebbero emerse circostanze tali che, anche per il loro numero, non potevano essere altrimenti spiegate, facendo concreto riferimento a due incontri con soggetti considerati esponenti mafiosi e ad alcune conversazioni nelle quali si parla di spartizione di territori e di vicende di famiglie mafiose. Ma gli incontri sono, come detto, soltanto due e sono avvenuti nell’arco di sette anni; nè di essi è spiegato perchè dovevano senz’altro considerarsi veri "summit" mafiosi e non, in ipotesi, meri abboccamenti con un imprenditore assoggettato a richieste mafiose. Dalle conversazioni poi emergono soltanto: da un lato richieste di notizie e commenti su vicende che non si chiarisce perchè non potevano comunque interessare a un imprenditore assoggettato e costretto ad operare in territori governati dalle cosche (conversazione del 26.6.2006; del 23.3.2007);

dall’altro al più la manifestazione di atteggiamenti compiacenti o larvatamente collusivi (conversazioni del 29.1.2007 e del 4.3.2007), di per sè non concludenti nel senso di una condotta di partecipazione.

Con questo non si intende dire che la frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio e il discorrere di interventi mafiosi non possano costituire indizi. Ma, soprattutto in contesti territoriali ristretti, restano per l’appunto meri indizi, non gravi nè univoci e utilizzabili a norma dell’art. 192 cod. proc. pen. solo ove qualificati da connotati indicativi di un effettivo contributo dato dall’agente alla esistenza o al rafforzamento del sodalizio (tra molte: Sez. 6, n. 24469, 5/5/2009, Bono).

3. L’ordinanza impugnata va per conseguenza annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria, perchè proceda a nuovo esame attenendosi ai principi indicati.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *