T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 28-06-2011, n. 56 97 Farmaci e prodotti galenici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 5 gennaio 2011 e depositato il successivo 20 gennaio la P.F. s.r.l. ha impugnato le determinazioni dell’AIFA nn. 20402050 del 7 ottobre 2010, 2083 e 2084 del 12 ottobre 2010 e 2164 dell’8 novembre 2010, con le quali le società controinteressate sono state autorizzate ad immettere in commercio taluni medicinali, e ne ha chiesto l’annullamento.

Espone, in fatto, di essere titolare, tra l’altro, dell’autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) della specialità medicinale Rifacol, farmaco antibiotico per la cura delle infezioni del tratto gastrointestinale, a base del principio attivo rifaximina polimorfo alfa.

Illegittimamente sono state rilasciate Aic per medicinali asseritamente generici della specialità medicinale Rifacol, da essa prodotta, ma che tali non sono, essendo stati autorizzati in carenza delle essenziali condizioni previste dalla legge, non essendo equivalenti al Rifacol.

Il Rifacol è un farmaco ad azione locale, che esercita la sua funzione farmacologica solo sul tratto gastrointestinale, con scarsissimo assorbimento da parte dell’organismo. Per questa tipologia di medicinale non è applicabile il concetto di "essenziale similarità" ai fini del rilascio dell’Aic su prodotti generici. Il principio attivo alla base del Rifacol è la rifaximina, che in natura si può presentare in diverse forme e, più precisamente, in almeno cinque diverse forme cristalline, dette polimorfi, e in forma amorfa, cioè non cristallina.

Il Rifacol è a base di rifaximina polimorfo alfa ed è per questo a scarso assorbimento e, quindi, ad azione locale.

In data 4 agosto 2005, e dunque dopo che era stata autorizzata e pubblicata la caratterizzazione della rifaximina polimorfo alfa, sono state depositate presso Aifa, da ciascuna delle ditte contro interessate o comunque dai loro dante causa, domande multiple per il rilascio di Aic in forma abbreviata per un medicinale generico a base di rifaximina, rispetto al quale il Rifacol assumeva la veste di medicinale di riferimento (od originatore).

Dall’accesso agli atti effettuato dalla ricorrente è emerso che il principio attivo dichiarato dalle controinteressate è la "rifaximina amorfa", che non è il principio attivo a base del Rifacol che è, come si è detto, la "rifaximina cristallina polimorfo alfa".

Corollario obbligato di tale premessa è che i medicinali prodotti dalle case farmaceutiche controinteressate non sono i generici del Rifacol e, quindi, non avrebbero potuto beneficiare della procedura abbreviata di registrazione ex art. 10 D.L.vo n. 219 del 2006 ed essere inseriti nella lista di trasparenza.

2. Avverso i predetti provvedimenti la ricorrente è insorta deducendo:

a) Violazione e falsa applicazione art. 10, comma 5, lett. b), D.L.vo n. 219 del 2006 – Eccesso di potere per falsità del presupposto – Travisamento dei fatti – Manifesta disparità di trattamento – Difetto assoluto di istruttoria – Contraddittorietà manifesta – Sviamento.

Il Farmacol, assunto dalle controinteressate come medicinale di riferimento del corrispondente generico, è a base del principio attivo "rifaximina cristallina polimorfo alfa". Alla base dei generici autorizzati alle controinteressate è invece il principio attivo "rifaximina amorfa" I generici prodotti dalle controinteressate non sono, quindi, bioequivalenti al Farmacol.

b) Violazione e falsa applicazione art. 1 bis D.L. n. 87 del 2005 – Violazione e falsa applicazione art. 10, commi 1 e 5, lett. b), D.L.vo n. 219 del 2006 – Violazione e falsa applicazione art. 7 D.L. n. 347 del 2001 – Violazione e falsa applicazione della circolare AIFA sull’aggiornamento delle liste di trasparenza – Eccesso di potere per manifesta illogicità, disparità di trattamento, difetto assoluto di istruttoria, sviamento.

Dal rilascio illegittimo delle autorizzazioni alla produzione di generici deriva l’illegittima inclusione, nella lista di trasparenza, dei generici e l’indicazione, come farmaco di riferimento, del Rifacol.

3. Con un primo atto di motivi aggiunti, notificato il 18 marzo 2011 e depositato il successivo 5 aprile, la ricorrente ha dedotto:

a) Violazione e falsa applicazione art. 13, comma 1, D.L.vo n. 211 del 2001, artt. 58 e 62 D.L.vo n. 219 del 2006 e 8 ss. D.L.vo n. 200 del 2007 – Violazione e falsa applicazione art. 1, comma 6, D.L.vo n. 211 del 2003 – Eccesso di potere per travisamento dei fatti, manifesta illogicità, difetto assoluto di istruttoria, contrasto con precedenti determinazioni, sviamento, violazione e falsa applicazione art. 10, comma 1, lett. b, l. n. 241 del 1880 – Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, travisamento dei fatti, manifesta disparità di trattamento, sviamento. Sotto altro profilo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 13, commi 1 e 4.. D.lgs. 211/2003, degli artt. 58 e 62 D.lgs. 219/06 e degli artt. 8 e ss. D.lgs. n. 200 del 2007 – Violazione e falsa applicazione delle Linee guida dell’Unione europea in tema di norme di buona fabbricazione di medicinali ad uso sperimentale (ANNEZ 13) – Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, falsità del presupposto, travisamento dei fatti, contraddittorietà manifesta, illogicità manifesta, sviamento.

La Special Product’s Line, ditta produttrice dei lotti sperimentali, non possedeva la relativa e speciale autorizzazione a produrre farmaci per uso sperimentale. La Commissione Tecnico Scientifica (CTS), proprio in considerazione di ciò, aveva in un primo momento implicitamente revocato il proprio parere favorevole al rilascio dell’Aic, salvo poi revocare in autotutela (ma illegittimamente) la revoca del parere favorevole.

Anche a voler accedere alla tesi secondo cui l’obbligo di dotarsi di specifica autorizzazione alla produzione di lotti sperimentali, ai sensi dell’art. 13 D.L.vo n. 211 del 2003, decorre dal 20 febbraio 2008, (data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministero della salute 21 dicembre 2007, entrato in vigore il 6 marzo 2008, che ha perfezionato la disciplina degli obblighi introdotti nel nostro ordinamento con l’art. 13 D.L.vo n. 211 del 2003 di attuazione della Direttiva 2001/20/Ce), il lotto sperimentale di rifaximina utilizzato dalle ditte controinteressate per lo studio eseguito presso il Policlinico universitario di Catania nel maggiogiugno 2008, e su cui il CTS ha fondato il nuovo parere favorevole, è stato prodotto dalla Special Product’s Line nel mese di aprile 2008, quando l’obbligo di dotarsi di autorizzazione era pienamente in vigore. Gli esiti degli studi della sperimentazione svolta a Catania non erano dunque utilizzabili ai fini registrativi, ai sensi dell’art. 1, comma 6, D.L.vo n. 211 del 2003.

Aggiungasi che illegittimamente sono stati distrutti troppo presto (il 13 gennaio 2010) gli esiti della sperimentazione clinica svolta al Policlinico universitario di Catania.

b) Violazione e falsa applicazione art. 10, comma 5, lett. b), D.L.vo n. 219 del 2006 – Eccesso di potere per falsità del presupposto – Travisamenti dei fatti – Manifesta disparità di trattamento – Difetto assoluto di istruttoria – Contraddittorietà manifesta – Sviamento.

Ripropone, con il supporto di ulteriori argomentazioni che saranno esaminate nella parte in diritto, tesi già svolte nel primo motivo dell’atto introduttivo del giudizio.

c) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies L. n. 241 del 1990 – Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, manifesta disparità di trattamento, travisamento dei fatti, manifesta contraddittorietà, illogicità manifesta e sviamento.

Correttamente la CTS, nel verbale del 2324 marzo 2010, aveva dato atto che la ditta Special Product’s Line, produttrice dei lotti di rifaximina utilizzati per lo studio presso il Policlinico universitario di Catania, non era in possesso dell’autorizzazione alla produzione per sperimentazione clinica.

d) Sotto altro profilo, violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies L. n. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione artt. 7, 9 e 10 L. n. 241 del 1990 – Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, manifesta disparità di trattamento, travisamento dei fatti, manifesta contraddittorietà, illogicità manifesta e sviamento.

L’autotutela esercitata dalla CTS è viziata anche con riferimento al quomodo dell’esercizio del relativo potere.

e) Violazione e falsa applicazione artt. 10, commi 1 e 6, D.L.vo n. 219 del 2006 e 10, comma 3, direttiva 2001/83/Ce – Violazione e falsa applicazione, eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, manifesta illogicità, manifesta disparità di trattamento, travisamento dei fatti.

Il parere favorevole espresso dalla CTS nella seduta dell’12 luglio 2010 è illegittimo.

f) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 comma 5 lett. b) D.Lgs. n. 219 del 2006 – Violazione e falsa applicazione delle Linee guida EMEA sulla bioequivalenza – Violazione e falsa applicazione delle Linee guida EMEA sui farmaci ad azione locale – Eccesso di potere per manifesta disparità di trattamento, illogicità manifesta, difetto assoluto di motivazione, difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, falsità del presupposto, sviamento. Sotto altro profilo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 comma 5 lett. b) D.Lgs. n. 219 del 2006 – Violazione e falsa applicazione delle Linee guida EMEA sulla bioequivalenza – Violazione e falsa applicazione delle Linee guida EMEA sui farmaci ad azione locale – Eccesso di potere per manifesta disparità di trattamento, illogicità manifesta, difetto assoluto di motivazione, difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, falsità del presupposto, sviamento.

I generici prodotti dalle controinteressate non sono bioequivalenti del Rifacol perché composti da un diverso principio attivo. Le evidenze scientifiche fornite dal dossier AIC sono inidonee a supportare il giudizio di bioequivalenza e, di conseguenza, non potevano costituire il presupposto sul quale sono state rilasciate le autorizzazioni all’immissione in commercio dei generici.

g) Violazione delle Linee guida sulla bioequivalenza nei prodotti ad azione locale – Eccesso di potere per difetto assoluto d’istruttoria, manifesta illogicità, disparità di trattamento, travisamento dei fatti, sviamento.

Lo studio effettuato presso il Policlinico di Catania non risponde a ciò che ad esso era stato chiesto.

4. Con un secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 18 marzo 2011 e depositato il successivo 5 aprile, la ricorrente impugna altre determinazioni direttoriali dell’AIFA dell’ottobre 2010, e pubblicate nella Gazz. Uff. del novembre 2010, recanti l’attribuzione della qualifica di medicinali similari al suo a farmaci prodotti dalle controinteressate, i conseguenziali aggiornamenti delle liste di trasparenza nonché stralci di verbali risalenti al periodo 20072010, riproponendo contro di essi le censure già dedotte con l’atto introduttivo del giudizio e con il primo atto di motivi aggiunti.

5. Si sono costituiti in giudizio l’AIFA e il Ministero della salute, che hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

6. Si sono costituiti in giudizio le D&G s.r.l. e B. s.r.l. in liquidazione, che hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

7. Si sono costituiti in giudizio le G. s.r.l., B. s.r.l., S. s.r.l., S. s.p.a., E.E. s.p.a., L.A. s.r.l., ABC Farmaceutici s.p.a. e E.G. s.p.a., che hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

8. Si è costituita in giudizio la M. s.p.a. con socio unico, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

9. Si è costituita in giudizio la S.P.L. s.p.a., che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

10. Non si sono costituite in giudizio le G.P. s.p.a., B. s.r.l., K.P. s.r.l. e S.F. s.n.c. di A.S.F..

11. Con atto di intervento ad opponendum la T.I. s.r.l. ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e dei due atti di motivi aggiunti.

12. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive.

13. Alla Camera di consiglio del 12 gennaio 2011, sull’accordo delle parti, l’esame dell’istanza di sospensione cautelare è stato abbinato al merito.

14. All’udienza del 25 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Come esposto in narrativa la ricorrente – titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) della specialità medicinale Rifacol, farmaco antibiotico per la cura delle infezioni del tratto gastrointestinale – impugna, con l’atto introduttivo del giudizio e con i successivi motivi aggiunti, le determinazioni dell’AIFA con le quali le società controinteressate sono state autorizzate ad immettere in commercio taluni medicinali generici che hanno come farmaco di riferimento il Rifacol.

I motivi aggiunti sono palesemente tardivi, ma il Collegio ritiene di poter prescindere da una declaratoria di irricevibilità degli stessi e di esaminare e definire il merito delle questioni sottoposte al suo esame, atteso l’indubbio interesse che la materia del contendere riveste e il contributo offerto dalle parti in casa ad una esatta definizione delle problematiche ad essa relative.

Nel merito la tesi svolta, con ampio supporto argomentativo, è che detto farmaco utilizza un principio attivo (la rifaximina cristallina polimorfo alfa) che, per forma fisica ed effetti sul piano terapeutico, è radicalmente diverso da quello presente nei generici autorizzati delle controinteressate (la rifaximina amorfa). Di non minore ampiezza sono le censure che investono il modus procedendi seguito dall’Amministrazione e dai suoi organi consultivi.

L’interesse che induce la ricorrente ad insorgere contro le determinazioni dell’AIFA è palesemente quello economico – ma non per questo non meritevole di tutela nei limiti in cui risulti compatibile con l’interesse pubblico ad una razionalizzazione del sistema farmaceutico e dei suoi costi per l’Erario e per l’utenza – di impedire l’ingresso, nel mercato dei farmaci contro le infezioni del tratto gastrointestinale, di nuovi prodotti asseritamente similari al suo che, in ragione del prezzo di vendita sensibilmente inferiore, le farebbero perdere la posizione di monopolista finora posseduta.

Sul piano scientifico e terapeutico la sua tesi è contestata sia dall’AIFA che dalle controinteressate con richiamo ai dati risultanti da un’istruttoria protrattasi per oltre tre anni, e che ha coinvolto direttamente tutti gli interessati, compresa la ricorrente, dai quali emergerebbe con sicura evidenza che i contestati farmaci generici hanno la stessa quantità di sostanza attiva (come definita dall’art. 1, comma 1, lett. b.a) D.L.vo 24 aprile 2006 n. 219), la stessa forma farmaceutica (compresse rivestite), la stessa biodisponibilità e lo stesso grado di assorbimento del prodotto di riferimento (il succitato Rifacol).

Ciò premesso, perchè siano immediatamente chiari sia l’ampiezza e la specificità delle problematiche sottoposte al Collegio, sia i limiti che nella materia de qua incontra il suo sindacato di legittimità – come si chiarirà in seguito – appare utile per ragioni logiche non seguire, nella disamina delle singole censure, l’ordine che ad esse ha dato la ricorrente, ma esaminare congiuntamente quelle fra di loro più strettamente connesse, e cioè quelle anticipatrici di questioni successivamente riproposte sotto una diversa e/o più ampia angolazione, nonché quelle che a detta funzione integrativa della materia del contendere hanno provveduto, e anche a prescindere dal fatto che siano state dedotte con il ricorso principale o nella via dei motivi aggiunti.

2. Sostiene la ricorrente che l’Aic rilasciata al farmaco generico delle controinteressate è da considerarsi illegittima perché il parere favorevole espresso dalla Commissione Tecnico Scientifica (CTS) si basa su uno studio eseguito presso il Policlinico universitario di Catania utilizzando un lotto sperimentale di rifaximina predisposto dalla Special Product’s Line che, alla data di produzione di detto lotto, non era in possesso dell’autorizzazione alla produzione di lotti sperimentali, richiesta dall’art. 13 D.L.vo 24 giugno 2003 n. 211.

Il lotto sperimentale in questione sarebbe stato infatti prodotto nel maggiogiugno 2008, laddove già dal febbraio 2008, in attuazione della nuova disciplina, i lotti sperimentali potevano essere prodotti solo da officine autorizzate.

Il motivo è infondato in punto di fatto. Risulta infatti dal verbale redatto dai carabinieri del NAS il 22 aprile 2010 a seguito di ispezione effettuata presso la Special Product’s Line (e, dunque, da un atto pubblico facente fede fino a querela di falso), che il lotto sperimentale in questione era entrato in produzione nell’aprile 2006. Tale dato fattuale risulta comprovato anche dalla produzione documentale versata in atti da alcune controinteressate.

Tali essendo le date di inizio e di conclusione della produzione risulta irrilevante, al fine del decidere sulla censura in esame, prendere posizione sull’ancora controversa questione (alla quale la ricorrente dedica invece ampio spazio nei suoi scritti) se l’obbligo di previo possesso dell’autorizzazione alla sperimentazione sia stato introdotto dal d.m. 21 dicembre 2007 (e, dunque, dal febbraio 2008) o, prima ancora, dal D.L.vo 6 novembre 2007 n. 200 (e, dunque, dal 25 novembre 2007, data di entrata il vigore del decreto legislativo), atteso che, con riferimento ad entrambe le ipotesi, la sperimentazione di cui si discute era già stata ampiamente conclusa nella vigenza della pregressa disciplina, che detta previa autorizzazione non richiedeva.

Data la situazione in fatto la conseguenza è duplice: a) contrariamente all’assunto della ricorrente è ampiamente motivato il verbale dell’12 luglio 2010, dal quale risulta che la Commissione tecnico scientifica ha approvato il parere della Sottocommissione favorevole al rilascio delle Aic, previa revisione del precedente parere negativo reso nelle sedute del 2324 marzo 2010 sulla base di un accertato errore sulla data di produzione del lotto sperimentale, da essa correttamente riconosciuto; b) il controllo su detto lotto era già stato effettuato il 13 dicembre 2006, e il nuovo controllo sullo stesso, responsabilmente effettuato in data 22 aprile 2008 dalla produttrice prima di consegnarlo all’Università degli studi di Catania, non ha nulla a che vedere con la data di fabbricazione dello stesso.

3. Priva di pregio è anche l’ulteriore censura, con la quale si deduce che illegittimamente gli esiti della sperimentazione clinica svolta al Policlinico universitario di Catania sarebbero stati troppo sollecitamente distrutti (il 13 gennaio 2010).

Osserva il Collegio che la doglianza potrebbe avere una giustificazione ove la durata del tempo di conservazione dei farmaci sperimentali fosse rimessa alla discrezionalità del soggetto che degli stessi dispone. Ma non è così atteso che, come è noto, la disciplina in materia di distruzione dei campioni utilizzati per la sperimentazione è dettata dall’art. 68, comma 5, D.L.vo 24 aprile 2006 n. 219 e dall’all.to 1 (Linee guida per la buona pratica clinica), punto 5.14.5, lett. b), al d.m. 15 luglio 1997.

Il primo dispone che "per i medicinali sperimentali, i campioni sufficienti di ogni lotto di prodotto sfuso e delle principali componenti d’imballaggio usate per ogni lotto di prodotto finito sono conservati, per almeno due anni dal completamento o dalla sospensione formale dell’ultima sperimentazione clinica in cui il lotto è stato usato, qualunque sia il periodo più lungo. I campioni delle materie prime usate nel processo di produzione, esclusi solventi, gas o acqua, sono conservati per almeno due anni dal rilascio del lotto del medicinale".

Il secondo prevede l’obbligo per lo sponsor (cit. lett. b) di "conservare una quantità del prodotto utilizzato nella sperimentazione sufficiente a riconfermare le specifiche del prodotto, qualora necessario, e conservare documentazione delle analisi e delle caratteristiche del lotto del campione. Per quanto la stabilità lo permetta devono essere conservati campioni del prodotto fino a quando l’analisi dei dati della sperimentazione sia ultimata oppure per il periodo stabilito dalle disposizioni normative applicabili, qualora queste richiedono un periodo di conservazione più lungo".

Nel caso in esame detti termini sono stati interamente osservati. La distruzione dei campioni (21 giugno 2010) è infatti in linea con il disposto dell’art. 68, comma 5, D.L.vo n. 219 del 2006, in quanto eseguita alla scadenza del biennio decorrente dalla data (20 giugno 2008) di completamento dell’ultima sperimentazione; la distruzione delle unità residue delle compresse non utilizzate per lo studio (13 gennaio 2010) è avvenuta dopo il completamento delle analisi dei dati ottenuti nel corso della sperimentazione, e quindi nel rispetto di quanto richiesto dal cit. all.to 1, punto 5.14.5, lett. b) al d.m. 15 luglio 1997.

Ovviamente, nonostante il tentativo della ricorrente di sollevare dubbi sulle effettive ragioni che hanno indotto gli interessati all’immediata distruzione del suddetto materiale, è palese che non può costituire profilo di illegittimità, tale da viziare l’intera procedura, la circostanza che la distruzione sia avvenuta immediatamente dopo la scadenza del termine che normativamente l’autorizzava.

4. Incorre in un duplice, palese errore di diritto la ricorrente allorchè imputa: a) alle controinteressate di non aver impugnato il preavviso di diniego di rilascio dell’Aic, ad esse comunicato dall’Amministrazione prima che si avvedesse dell’errore nel quale era incorsa sulla data di fabbricazione del lotto sperimentale e b) all’Amministrazione di aver proceduto in autotutela, alla correzione dell’errore riscontrato, pur "essendo pacifico che nessuna ordinanza del Tar le aveva imposto di rivedere il proprio iniziale parere non favorevole al rilascio sulle domande di Aic".

Con riferimento alla prima questione, che coinvolge le controinteressate, è agevole opporre, con richiamo a principi di diritto noti e mai contestati, che il preavviso di rigetto dell’istanza, di cui all’art. 10 bis, 7 agosto 1990 n. 241, è atto endoprocedimentale, come tale non impugnabile autonomamente in quanto inidoneo a definire il procedimento e, comunque, privo di reale efficacia rispetto all’interesse sostanziale dedotto in giudizio (Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1250; Id., sez. V, 19 novembre 2009, n. 7246; Id., sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 6237; Tar Basilicata 16 aprile 2010, n. 204; Tar Napoli, sez. II, 28 maggio 2009 n. 3011; Tar Salerno, sez. III, 10 febbraio 2009, 498).

Il destinatario del preavviso e partecipante al procedimento può opporsi ad esso mediante la proposizione, nella competente sede amministrativa, di osservazioni finalizzate ad ottenere dall’Autorità emanante un ripensamento rispetto alle conclusioni anticipate, come correttamente hanno fatto le controinteressate con le "osservazionicontrodeduzioni" contenenti una motivata "istanza di riesame" e richiamate nel parere CTS dell’1.2 luglio 2010.

Di qui la palese infondatezza del motivo di ricorso.

5. Di ancora minor pregio sono le censure volte a contestare, sotto vari profili, il modo in cui la C.T.S. ha provveduto alla correzione dell’errore nel quale era incorsa sulla data di fabbricazione del lotto sperimentale, rivedendo il parere negativo alla concessione dell’Aic che sulla sua base aveva già espresso.

La ricorrente contesta innanzi tutto di non aver avuto previa comunicazione dell’avvio del procedimento correttivo; denuncia poi gli errori di fatto e di diritto nei quali la Commissione sarebbe incorsa nel procedere nella via dell’autotutela all’annullamento d’ufficio del precedente parere.

Giova premettere che è errato e comunque non pertinente il richiamo della ricorrente alle regole che presiedono all’annullamento d’ufficio in via di autotutela e all’asserita loro violazione da parte dell’Amministrazione.

L’annullamento d’ufficio è infatti lo strumento giuridico che la L. n. 241 del 1990 mette a disposizione dell’Autorità emanante per la soppressione di un provvedimento da essa illegittimamente adottato e per l’eliminazione degli effetti dallo stesso prodotti. Assume quindi come termine di riferimento l’atto che conclude il procedimento amministrativo, e non gli atti a contenuto endoprocedimentale ai quali non è imputabile la produzione di effetti autonomi, immediatamente lesivi e destinati a permanere nel tempo, con esclusione di quelli che interrompono stabilmente il procedimento.

Invece nei confronti dell’atto finale l’intervento in autotutela esercita un effetto eliminatorio ex tunc di ogni sua rilevanza giuridica, ripristinatorio perché recante automatica ricostruzione in fatto e in diritto della situazione quo ante, e conformativo, cioè di vincolo per la successiva attività dell’Autorità emanante, e ciò spiega la sua immediata impugnabilità (Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2008, n. 4563).

Segue da ciò che il ripensamento nel corso del procedimento, da parte dell’organo pubblico con funzioni istruttorie e consultive, rispetto ad un parere già da esso espresso e la sua sostituzione con altro, emendato dell’errore di fatto che aveva dato origine al primo, non è qualificabile come annullamento d’ufficio, ma rientra nella dialettica e nella logica procedimentale per le quali ogni dato acquisito nella fase istruttoria è provvisorio e, quindi, può essere corretto senza particolari formalità, diventando stabile e definitivo solo allorchè è assunto come contenuto dell’atto conclusivo.

Nel caso in esame detta correzione, che non ha dato vita ad un subprocedimento in senso tecnico, è avvenuta nel corso dell’unitario procedimento attivato su istanza delle controinteressate e preordinato alla verifica dei presupposti necessari per riconoscere ai medicinali dalle stesse prodotti il carattere di farmaci generici.

Aggiungasi che, anche se in denegata ipotesi dovesse riconoscersi che nel caso in esame il ripensamento in sede consultiva sul precedente parere è qualificabile come annullamento d’ufficio, la censura dedotta sarebbe comunque priva di pregio atteso che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. II, 30 luglio 2009, n. 4802; Id., sez. III, 27 gennaio 2009, n. 7; Tar Umbria 26 giugno 2009, n. 360; Tar Toscana, sez. II, 17 giugno 2009, n. 1058) che la violazione del cit. art. 10 bis L. n. 241 del 1990 non produce, ex se, l’illegittimità del provvedimento terminale, dovendo la normativa in tema di preavviso di rigetto essere interpretata alla luce del successivo art. 21 octies, comma 2 per il quale, nel caso in cui il ricorrente denunci vizi di natura formale, il giudice è chiamato a valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e non può quindi annullare l’atto se la riscontrata violazione non ha inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato.

E’ questa la situazione che ricorre nel caso in esame atteso che la correzione dell’errore, nel quale era incorsa in sede di formulazione del primo parere, costituiva per l’Amministrazione atto dovuto e a contenuto vincolato.

6. E’ infondato in punto di fatto il motivo di doglianza che denuncia le illegittimità che sarebbero state commesse dall’Amministrazione in danno della ricorrente per non averla tempestivamente avvertita della sua intenzione di intervenire in funzione correttiva sul precedente parere ad essa favorevole, per averle vietato in vari modi di partecipare attivamente al procedimento di riconoscimento della similarità dei prodotti delle controinteressate al suo farmaco, per aver sistematicamente ignorato le prove scientifiche da essa fornite per dimostrare che il principio attivo utilizzato dal suo medicinale era sostanzialmente diverso da quello presente nei farmaci generici delle controinteressate.

Peraltro, affinchè sia sufficientemente chiaro il discorso che segue, una premessa è necessaria.

La procedura di autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto farmaceutico è una procedura bilaterale, che vede come soggetti partecipanti solo l’istante e l’Amministrazione. Lo ha da tempo chiarito e in termini inequivoci il giudice comunitario (Corte giust. 18 dicembre 2003, in causa T326/); lo ha confermato più di recente la stessa Commissione CE nella comunicazione 8 luglio 2009 (COM 2008, 465 def.), pubblicata a conclusione di un’indagine sul settore farmaceutico e, in particolare, sulle procedure di approvazione di specialità medicinali.

Comune all’uno e all’altra è l’affermazione che "la legislazione farmaceutica comunitaria non prevede la presa in considerazione di osservazioni formulate da terzi e ancora meno di interventi formali nel corso della valutazione di una domanda di autorizzazione all’immissione in commercio". Peraltro, nell’ipotesi che detti interventi siano autorizzati dagli ordinamenti degli Stati membri, si raccomanda di pretendere dai soggetti terzi che gli stessi "siano ben documentati", non tali da comportare "ritardi per il richiedente", e risarcibili su richiesta di quest’ultimo, ove palesemente finalizzati ad impedire o anche solo a ritardare l’ingresso sul mercato di nuovi farmaci.

In effetti il legislatore nazionale, pur obbligato al rispetto della concorrenza, si è dimostrato più liberale di quello comunitario, giacchè ha imposto all’AIFA di comunicare all’impresa farmaceutica "originator" l’avvenuta presentazione di istanze di registrazione e di autorizzazione alla messa in commercio di farmaci generici a quello da essa prodotto, e di assegnarle anche un termine per comunicare il suo eventuale e motivato dissenso al rilascio. Ha quindi ammesso l’originator ad una partecipazione "esterna" al procedimento, da esercitare una sola volta con la presentazione entro un termine prestabilito di documenti ed osservazioni idonei ad indurre l’Autorità competente ad un rifiuto di autorizzazione.

La censura di difetto di istruttoria risulta pertanto quanto meno azzardata.

7. Definite le questioni che investono profili prevalentemente procedurali può passarsi all’esame del punto centrale della questione, cioè se dal punto di vista scientifico e terapeutico i prodotti generici delle controinteressate possono considerasi similari al farmaco di riferimento (il Rifacol), come affermato dall’AIFA a conclusione di un’istruttoria ultra triennale, e contestato invece dalla ricorrente.

Anche per questo aspetto della vicenda contenziosa, che il Collegio è chiamato a dirimere, una premessa in punto di fatto s’impone.

Il brevetto sul principio attivo utilizzato per la suddetta specialità medicinale, di cui la ricorrente si serviva previo accordo con la titolare s.p.a. Alfa Wassermann, è scaduto nel 2005, con la conseguenza che da detta data essa ha perso la possibilità di operare legittimamente in regime di monopolio nel settore dei farmaci contro le infezioni del tratto gastrointestinale, con conseguente esposizione alla concorrenza di altre industrie produttrici di farmaci che l’AIFA riconoscesse similari, e quindi fungibili sotto il profilo terapeutico, al suo.

Considerato quindi che l’accertata eventuale similarità era l’ostacolo che si sovrapponeva al suo interesse economico a rimanere unico operatore nel mercato dei suddetti farmaci la ricorrente ha ritenuto di poterlo superare adducendo che il principio attivo, che solo dal 2005 utilizzava per la produzione del Rifacol (la Rifaximina polimorfo alfa), è del tutto diverso, specie per il suo scarsissimo assorbimento da parte dell’organismo, da quello (la Rifaximina amorfa) di cui fino a tale data si era servito e che, in quanto non più coperto da brevetto, era il solo che l’AIFA avrebbe potuto assumere come termine di riferimento per un giudizio di bioequivalenza di altri prodotti aventi le medesime finalità terapeutiche.

Di conseguenza non avrebbero potuto essere qualificati equivalenti ex art. 1 bis D.L. 27 maggio 2005 n. 87, convertito dalla L. 26 luglio 2005 n. 149, farmaci generici che assumessero come specialità medicinale di riferimento il Rifacol in quanto prodotto sulla base di un nuovo principio attivo coperto sin dal 2005 da brevetto europeo, atteso che per farmaco generico deve intendersi, ex art. 10, comma 5, lett. b), D.L.vo 24 aprile 2006 n. 219, il medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonchè una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità.

Ed è questa la tesi di fondo che, con un ampio supporto argomentativo, la ricorrente propone in questa sede, contestando le diverse conclusioni alle quali è pervenuta l’AIFA, che ha ravvisato nel c.d. nuovo principio attivo richiamato dalla ricorrente un mero espediente da essa escogitato per conservare la posizione di monopolista e che ha disatteso in quanto privo di qualsiasi supporto scientifico.

8. Una seconda precisazione appare necessaria affinchè siano sufficientemente chiare le conclusioni che il Collegio si accinge a prendere.

E’ incontestabile che il provvedimento dell’AIFA, per quanto attiene al merito della questione (e non ai profili procedurali, già compiutamente esaminati), è espressivo dell’ampissima discrezionalità tecnica di cui essa dispone in materia di farmaci e che è sindacabile dal giudice amministrativo solo entro i limiti ridottissimi costituiti dall’assoluta carenza motivazionale, dalla carenza dei presupposti, dalla manifesta illogicità ictu oculi rilevabile e dalla violazione di eventuali precise disposizioni di legge che, con riferimento a singoli aspetti, ne limitino l’ampio potere decisionale.

Ipotesi limite queste che, come si dimostrerà nel discorso che segue, non si riscontrano nell’impugnato deliberato dell’AIFA.

9. Sostiene la ricorrente che la specificità del suo prodotto, che impedisce di considerare ad esso similari quelli generici delle controinteressate, è innanzi tutto nella diversa forma fisica del principio attivo da essa utilizzato a partire dal 2005 (rifaximina in forma fisica polimorfo alfa) rispetto a quello assunto nel passato e recepito nei prodotti generici delle controinteressate (rifaximina in forma amorfa), che quindi impedirebbe di considerarli generici rispetto al Rifacol, da essa prodotto e commercializzato.

La diversa forma fisica consisterebbe nella sua specifica struttura cristallina, che assicurerebbe alla rifaximina polimorfa un livello di sicurezza che la rifaximina amorfa non sarebbe in grado di garantire al consumatore. Di qui la specificità del nuovo principio attivo e del prodotto farmaceutico che lo utilizza.

Dal punto di vista strettamente giuridico, il solo sul quale per le ragioni innanzi esposte il Collegio può interferire con pienezza di poteri e assoluta libertà di giudizio, l’argomentazione non ha pregio atteso che, da un lato, la forma fisica del principio attivo non rientra fra i requisiti che il cit. art. 10, comma 5, D.L.vo n. 219 del 2006 richiede perché un farmaco possa qualificarsi generico e che, dall’altro lato, la rifaximina utilizzata dalla ricorrente nella nuova forma fisica mantiene invariati i precedenti requisiti essenziali, id est composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive, forma farmaceutica (compresse, sciroppo, fiale per uso endomuscolare o endovenoso, ecc.), indicazioni terapeutiche, posologia, grado di assorbimento sistemico (inferiore all’1%), quest’ultimo rilevante al fine di accertare il livello di sicurezza che il prodotto è in grado di garantire al consumatore.

D’altro canto l’indifferenza del legislatore per la forma fisica (polimorfa o amorfa) del principio attivo ha una palese giustificazione nel fatto che il polimorfismo può dar vita ad una infinità di forme fisiche, cioè di modalità di aggregazione delle molecole del medesimo principio attivo, con la conseguenza che le diversissime combinazioni, che si possono progressivamente creare con riferimento alle singole specialità farmaceutiche, diventerebbero facile strumento in mano a produttori di farmaci con brevetto scaduto – ove la forma fisica divenisse elemento caratterizzante il nuovo principio attivo – per impedire l’ingresso nel mercato dei farmaci generici proponendo un sedicente nuovo principio attivo.

L’indifferenza del legislatore italiano per la forma fisica del principio attivo trova conferma anche negli altri ordinamenti, che nella sua attenta analisi del fenomeno l’AIFA ha considerato.

E’ il caso dell’Ente regolatore statunitense che nel documento ANDAS Pharmaceutical Solid Polymorphism (depositato in atti) afferma (prg. IV, C.1, pag 5) che "differenze fra i polimorfi di sostanze farmaceutiche non rendono tali sostanze ingredienti attivi differenti ai fini dell’approvazione di domande di autorizzazione di generici". Aggiunge che "la sostanza attiva nel generico non deve necessariamente aver lo stesso polimorfo della sostanza attiva del prodotto di riferimento".

Anche nella dottrina scientifica più attenta all’analisi del fenomeno (la relativa documentazione è in atti) è frequente l’affermazione secondo cui "la natura chimica del principio attivo è la stessa sia in condizioni di polimorfismo che di amorfismo" e "una differenza nella forma di aggregazione del principio attivo non impedisce l’applicazione della procedura semplificata per la registrazione di un medicinale generico", il che porta a disattendere la tesi della ricorrente secondo cui la sua specialità medicinale non sarebbe suscettibile di avere generici in ragione della sua speciale natura fisica.

La censura deve essere quindi disattesa per la sua infondatezza sotto il profilo sia giuridico che scientifico.

9. Con altro motivo di doglianza la ricorrente contesta, con riferimento al principio attivo rifaximina, l’inserimento nella c.d. lista di trasparenza sia della sua specialità medicinale (Rifacol), individuata quale farmaco di riferimento, sia dei prodotti generici delle controinteressate.

La prima censura è di illegittimità derivata ed è priva di pregio. La tesi svolta è infatti che i suddetti generici non potevano essere inseriti nella lista in quanto "manca il presupposto perché i medicinali a base di rifaximina possano essere considerati equivalenti del Rifacol’. Si tratta di affermazione della quale nelle pagine che precedono è stata dimostrata la palese infondatezza, il che esonera il Collegio da ulteriori specificazioni.

Con la seconda censura si contesta il suddetto inserimento sotto il profilo che ulteriore condizione per l’iscrizione dei farmaci nella lista è l’effettiva loro disponibilità nelle farmacie, che alla data del 15 novembre 2010 era inesistente.

In punto di fatto può osservarsi che nessuna prova concreta offre la ricorrente della sua affermazione, ma propone solo mere presunzioni. Può aggiungersi, questa volta in punto di diritto, che condizione che l’art. 7 D.L. n. 347 del 2001 pone per l’inserimento del farmaco nella lista è che esso sia disponibile nel "normale ciclo distributivo regionale", cioè fra i distributori che fanno da tramite fra il produttore del farmaco e il farmacista. A prescindere da questa precisazione resta assorbente il fatto che l’affermazione della ricorrente, secondo cui al momento dell’aggiornamento della lista "non c’era alcun farmaco generico" a disposizione del consumatore che si fosse recato in farmacia per acquistarlo, non è supportata nemmeno da un inizio di prova.

La censura deve essere quindi disattesa.

Ma è anche dubbia la sua congruità rispetto all’obiettivo perseguito dalla ricorrente, che non è quello di ottenere un mero temporaneo rinvio nell’ingresso dei contestati generici nel mercato – obiettivo massimo che si potrebbe ottenere da una riconosciuta fondatezza della censura in esame – ma l’annullamento della determinazione AIFA che ha riconosciuto a detti farmaci la qualità di generici rispetto a Rifacol.

10. Altri motivi di impugnazione hanno come obiettivo comune la contestazione, dedotta peraltro sotto profili diversi, sia dell’attività istruttoria compiuta dalla CTS, ritenuta palesemente insufficiente e indifferente rispetto alle prove addotte dalla ricorrente a supporto delle sue conclusioni, sia delle valutazioni tecnicoscientifiche dalla stessa compiute ed assunte a fondamento delle determinazioni finali del direttore generale dell’AIFA.

Sotto il primo profilo le censure sono palesemente infondate in punto di fatto.

L’istruttoria ha impegnato l’AIFA per oltre tre anni, nel corso dei quali sono stati da essa acquisiti non solo documentazione scientifica nazionale ed internazionale relativa alle singole problematiche esaminate, ma anche pareri di consulenti esterni di chiara fama; all’acquisizione del materiale hanno contribuito, seppure in diversa misura, sia le imprese interessate all’affermazione del carattere di similarità dei loro farmaci, sia quelle contrarie, nell’un caso e nell’altro anche con il supporto di studi compilati dai propri esperti; una delle imprese contrarie (la ricorrente Alfa Wassermann, presentatrice del ricorso n. 10364/10, portato e definito nella stessa udienza) ha partecipato addirittura fisicamente al procedimento, essendo stata autorizzata a prendere visione anche dei verbali della CTS, il che le ha consentito di contestare le risultanze dell’esame dalla stessa compiuto e il modus procedendi seguito.

11. Per quanto attiene alle censure volte a contestare sul piano scientifico le conclusioni alle quali è pervenuta la Commissione nel riconoscere ai farmaci delle controinteressate la qualità di medicinali generici, esse ripropongono in larga misura quelle già svolte a sostegno della rilevanza che assumerebbe la forma fisica come elemento di identificazione di un principio attivo, esaminate dal Collegio nei limiti riconosciuti al suo sindacato e disattese.

Per quanto attiene al complesso delle valutazioni tecniche della Commissione il Collegio non può che richiamare i principi già enunciati in ordine ai limiti che incontra il suo sindacato quando oggetto del contendere sono giudizi che, seppure opinabili, sono espressione dell’ampissima discrezionalità tecnica che l’ordinamento assegna ad un determinato organo in ragione non solo della sua specifica competenza tecnica, ma della sua possibilità di attingere dal mondo scientifico elementi di conoscenza, sulla base di una responsabile sua valutazione del bagaglio professionale e dell’ assoluta onestà intellettuale dei soggetti ai quali si rivolge a fini collaborativi, capaci di garantire una imparzialità e terzietà che non si può pretendere in eguale misura dai periti di parte.

Nel caso in esame l’ambito entro il quale il sindacato giurisdizionale è consentito non presenta alcuno dei vizi che potrebbero legittimare un intervento demolitorio del Collegio: i provvedimenti impugnati sono ampiamente motivati; il tessuto argomentativo non offre momenti di irragionevolezza rilevabili anche da un lettore inesperto; non sono riscontrabili (ma nemmeno denunciate) contraddizioni fra premesse e conclusioni; queste ultime risultano sempre adottate sulla base di un documentato supporto scientifico.

12. Oggetto del secondo atto di motivi aggiunti – sul quale le controparti hanno tutte, con dichiarazione messa a verbale, accettato il contraddittorio – sono le determinazioni direttoriali che hanno comportato l’inserimento nella lista di trasparenza di ulteriori medicinali ritenuti dall’AIFA similari al prodotto farmaceutico (Ricafol) della ricorrente. Le censure dedotte avverso le nuove declaratorie di similarità e il conseguente aggiornamento della lista sono necessariamente quelle (difetto di istruttoria, illegittimità derivata, carenza dei presupposti e illogicità manifesta) già formulate nell’atto introduttivo del giudizio e nel primo atto di motivi aggiunti avverso le prime Aic e ad esse la ricorrente fa correttamente richiamo.

Alle considerazioni che hanno indotto a disattenderle – anche in ragione dei limiti che incontra il sindacato giurisdizionale quando la materia del contendere ha per oggetto provvedimenti espressione dell’ampia discrezionalità tecnica che l’ordinamento giuridico vigente riconosce all’Autorità emanante – il Collegio ritiene di poter rinviare sia per ragioni di economia processuale, sia per il rispetto delle regole che il codice del processo amministrativo ha imposto al giudice amministrativo in sede di redazione delle sue decisioni.

13. In conclusione sia il ricorso principale che i motivi aggiunti devono essere respinti, ma per quanto riguarda le spese e gli onorari del giudizio la complessità della materia del contendere e l’ampio contributo documentale e chiarificatore offerto dalle parti in causa con riferimento alle singole problematiche proposte all’esame del Collegio, giustifica la loro integrale compensazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge il ricorso stesso ed i motivi aggiunti.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *