Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2011) 23-06-2011, n. 25280

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza della Corte d’assise d’appello di Milano in data 27.10.2010, emessa ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2, veniva dichiarata inammissibile l’istanza formulata dalla difesa di E. M.J.S.A. – condannato per il reato di omicidio alla pena dell’ergastolo a seguito di processo celebrato sotto il vigore della precedente normativa che precludeva il rito abbreviato per i reati puniti con tale pena e che si concludeva con sentenza 5.12.2000, definitiva il 12.2.2003 – sul presupposto che la stessa risultava mera reiterazione di precedente istanza, già decisa con ordinanza del 2.7.2004. In sostanza il prevenuto avrebbe voluto ottenere la sostituzione della pena detentiva perpetua con quella della reclusione ad anni trenta, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 144 del 2000, art. 4 ter, in ragione del fatto che le modifiche apportate all’art. 442 c.p., comma 2 sarebbero di natura sostanziale e che, caduta la preclusione all’accesso al rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo, doveva venire riconosciuta la diminuente anche a chi detto accesso si vide in precedenza precluso (veniva comprovato dalla difesa che il rito abbreviato il prevenuto lo aveva richiesto il 24.11.1998, in sede di udienza preliminare ed avanti al Corte d’assise il 18.11.1999, cioè un mese prima della pubblicazione della legge 16.12.1999 n. 479 che riformava l’art. 442 cod. proc. pen.). Sul punto il giudice a quo rilevava che nella competenza del giudice dell’esecuzione non può rientrare la possibilità di riesaminare il merito di precedenti decisioni su cui si è formato il giudicato, al fine di pervenire al riconoscimento della diminuzione di pena conseguente al rito abbreviato. Quanto poi al ritenuto contrasto della normativa applicata con la Convenzione dei diritti dell’uomo, il giudice a quo riteneva non conferenti i rilievi, posto che il richiamo operato all’art. 7 della Convenzione sulla applicabilità della legge più favorevole, in caso di successione di leggi nel tempo, è principio che il nostro sistema applica in forza dell’art. 2 cod. pen.. Veniva peraltro fatto rilevare che la norma relativa alla diminuente ha natura processuale, quindi è soggetta al principio "tempus regit actum", con il richiamo ad arresti di questa Corte di legittimità. Veniva quindi ritenuta l’istanza al di fuori della sfera di competenza del giudice dell’esecuzione, come era già stato scritto in precedente ordinanza, con il che andava ritenuta inammissibile.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa per dedurre la violazione dell’art. 7 Convenzione diritti dell’uomo, nella parte in cui enuncia il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole al reo: secondo la difesa, l’art. 442 c.p.p., comma 2 avrebbe natura sostanziale e non processuale, perchè introduce un trattamento sanzionatorio più favorevole, di talchè sarebbe suscettibile di applicazione retroattiva. Sul punto è stata citata la sentenza della Corte di giustizia Europea pronunciata nel processo (OMISSIS), in data 17.9.2009, in cui sarebbe stato esplicitamente riconosciuto all’art. 442 cod. proc. pen. valore di norma sostanziale. Secondo la difesa, ad E.M. sarebbe stato frustrato il legittimo affidamento allo sconto di pena, atteso che la richiesta di rito alternativo venne ribadita, in pendenza della nuova disposizione dell’art. 442 c.p.p., avanti la Corte d’assise d’appello, ma venne rigettata a fronte della norma transitoria portata dalla L. n. 144 del 2000, art. 4 ter. La normativa Europea che all’art. 6 impone il principio della ragionevole prevedibilità dell’applicazione del diritto e del legittimo affidamento del prevenuto sarebbe stato violato con l’introduzione della norma suindicata; in ogni caso, la norma Europea ha valore interpretativo, cosicchè la detenzione fondata su sentenza di condanna pronunciata in un giudizio nel quale siano state poste in essere violazioni alle regole del giusto processo, accertate dalla Corte Europea, non è da ritenere legittima. Di qui la necessità urgente di superare la violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione, con la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella ad anni trenta di reclusione che non può che avvenire in sede di esecuzione, una volta sottolineato il principio della modificabilità della res iudicata, almeno sul quantum della pena. La difesa poi fa presente che l’istanza non può essere vista come la riproposizione della medesima richiesta già formulata, posto che poggia sulla sentenza Scoppola della CEDU non richiamata nelle precedente istanza.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso, in quanto il novum rappresentato dalla sentenza Scoppola non sarebbe applicabile al caso di specie, giacchè riguardante altra fattispecie (quella di un giudizio abbreviato già ammesso e di una legge successiva che introduceva comunque la riduzione alì ergastolo in caso di condanna all’isolamento diurno, dunque che introduceva modifiche in peius).

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, così come è stato richiesto dal Procuratore Generale.

Infatti deve essere sottolineato che il ricorrente ebbe la sfortuna di essere giudicato per un reato di omicidio in primo grado nelle more della entrata in vigore della legge che avrebbe consentito l’accesso al rito abbreviato, anche per i reati puniti con l’ergastolo. Va peraltro aggiunto che E.M. in sede di appello beneficiò della normativa transitoria, nel senso che potè richiedere alla corte d’assise d’appello l’applicazione della diminuente per il rito, richiesto fin dal primo grado, ma all’epoca precluso, e questa istanza fu rigettata. La sentenza di secondo grado fu oggetto di ricorso in cassazione, ma il ricorso fu dichiarato inammissibile perchè tardivo; il ricorso straordinario venne parimenti dichiarato inammissibile; un precedente incidente di esecuzione veniva rigettato il 2.7.2004, senza che seguisse impugnazione. Tutte le opportunità di difesa del ricorrente sono state esperite e non hanno dato il risultato sperato. Non può oggi la sede dell’esecuzione trasformarsi in una fase di rivisitazione delle precedenti pronunce, neppure alla luce della giurisprudenza della CEDU: infatti, la sentenza pronunciata nel processo Scoppola non può avere alcuna incidenza nel caso di specie, atteso che la fattispecie presa in esame è affatto diversa non rientrando nella disciplina transitoria e caratterizzandosi per essere la richiesta di rito abbreviato stata avanzata sotto la vigenza della legge che prevedeva la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della pena di trenta anni di reclusione e per essere intervenuta intervenuta emanazione medio tempore della L. n. 4 del 2001 che stabiliva che alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno andava sostituita, all’esito del giudizio abbreviato, la pena dell’ergastolo (lo Scoppola infatti condannato alla pena di anni trenta in primo grado, si vide aggravare la pena con quella dell’ergastolo in seconde cure, all’esito dell’entrata in vigore della legge succitata).

Pertanto, poichè sulla medesima questio iuris è già intervenuta decisione non impugnata, poichè il novum sarebbe rappresentato dalla sentenza Scoppola che, come detto, afferisce ad ipotesi affatto diversa in cui effettivamente una legittima aspettativa venne frustrata da una legge successiva imprevedibile introduttiva di modifiche in peius e poichè tale situazione non ricorre nel caso di specie, in cui si ha riguardo ad una legge successiva che ha rimosso un presupposto ostativo all’abbreviato di natura prettamente processuale per le situazioni future, il ricorso non può che palesarsi come improponibile e comunque manifestamente infondato.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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