Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2011) 23-06-2011, n. 25277

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 2 marzo 2010 il Tribunale di Roma ha disposto la rimessione degli atti al P.M. in sede, avendo rilevato che nei confronti di L.M., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, il P.M. aveva disposto l’instaurazione del giudizio direttissimo ai sensi dell’art. 14, comma 5 quinquies, D.Lgs. anzidetto, citandolo a comparire a piede libero in difetto di arresto e di previa convalida da parte del G.I.P..

2. Il Tribunale ha ritenuto che la normativa anzidetta doveva essere interpretata nel senso di ritenere che il giudizio direttissimo, quale meccanismo di apertura della fase di giudizio implicante una menomazione del diritto di difesa normalmente riconosciuto all’imputato nella fase antecedente al dibattimento, potesse giustificarsi solo in una situazione di evidenza probatoria, quale era l’arresto in flagranza di reato o la confessione dell’imputato, si che l’arresto dell’autore del reato di cui sopra doveva ritenersi presupposto indefettibile per l’instaurazione del giudizio direttissimo, dovendosi in difetto procedere a giudizio con le forme ordinarie.

3. Avverso detta ordinanza del Tribunale di Roma propone ricorso per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Roma, rilevando al contrario che il giudizio direttissimo per il reato contestato al L. fosse imposto come doveroso dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater e non potesse ritenersi subordinato al requisito dell’arresto fuori di flagranza; e che, inoltre, la L. n. 94 del 2009 nessuna modifica aveva apportato al riguardo.

Motivi della decisione

1. E’ fondata la censura del P.M. ricorrente, atteso che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che, per il reato contestato a L.M., il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quinquies prevede che si proceda con rito direttissimo anche se non vi è arresto in flagranza, non potendosi ritenere quest’ultimo come condizione necessaria per la celebrazione del giudizio direttissimo (cfr., in termini, Cass. 1 n. 11486 del 16 marzo 2010, dep. il 25 marzo 2010, Marguerite, Rv. 246537).

2. Tuttavia, successivamente alla proposizione del ricorso, e precisamente in data 25 dicembre 2010, essendo infruttuosamente spirato (il giorno precedente) il termine fissato per la relativa attuazione e/o per il relativo recepimento, hanno acquisito efficacia diretta nell’ordinamento giuridico interno gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/H5/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri in ordine al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

3. Va inoltre rilevato che è stato da poco emessa dalla Corte di giustizia della Unione europea, Sezione 1^, 28 aprile 2011, nel procedimento C-6I/n PPU, la decisione adottata sulla pregiudiziale interpretativa circa le disposizioni della suddetta direttiva, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter.

Al riguardo la Corte di Giustizia della Unione ha stabilito che: "La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, etc…, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo".

E, conseguentemente, ha affermato che ai giudici penali degli Stati della Unione spetta "disapplicare ogni disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115", tenendo anche "debito conto del principio della applicazione della retroattività della legge più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri" (p. 61).

La Corte di Giustizia ha motivato: "gli Stati membri non possono introdurre, alfine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, solo perchè un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale" (p. 58), in quanto la pena detentiva "segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare", ostacolando "l’applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritarda ridando l’esecuzione della decisione di rimpatrio" (p. 59).

4. Il principio di diritto stabilito dal Giudice della Unione implica la disapplicazione anche delle norme processuali di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5-quinquies, circa l’arresto e il rito direttissimo, strumentali alla pronta repressione della condotta dello straniero, inottemperante all’ordine di allontanamento, e imposti, entrambi, proprio in virtù dalla norma disapplicanda.

5. La regola della propagazione (normativamente prevista con riferimento alla categoria della nullità a" sensi dell’art. 185 cod. proc. pen.) informa anche la disciplina della disapplicazione delle norme – allorchè, come nella specie, l’attuazione dell’una sia conseguenza dell’efficacia dell’altra – per la immanente transitività delle catene deontiche.

6. Conclusivamente, poichè la disapplicazione delle succitate disposizioni osta, ormai, a che possa provvedersi, ora per allora, ad instaurare il giudizio direttissimo nei confronti di L. M., consegue la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente Pubblico Ministero alla proposta impugnazione, ormai inidonea a conseguire il risultato prefisso.

7. Il difetto di interesse comporta la declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto dal P.M., à termini dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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