Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-06-2011, n. 25274

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il giorno 14 ottobre 2010 il Tribunale di Treviso, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza formulata da E. A., diretta ad ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra due sentenze di condanna irrevocabili, concernenti entrambe il delitto previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, delitto che, secondo l’istante, era unico e non avrebbe potuto essere oggetto di una duplice statuizione di condanna.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputato, il quale, anche mediante una memoria difensiva, lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’omesso accoglimento della domanda, tenuto conto dell’unicità della condotta.

Motivi della decisione

Il ricorso merita accoglimento per un motivo diverso da quello prospettato dal ricorrente.

1. A seguito della sentenza del 28 aprile 2011 della Corte di giustizia europea, secondo cui gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa del 16 dicembre 2008/115/CE devono essere interprete nel senso che essi ostano ad una normativa dello Stato membro, come quella oggetto del presente procedimento, che prevede l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio dello Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare le norme incriminatrici di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter e comma 5 quater e successive modifiche (Sez. 1^, 28 aprile 2011, sentenze nn. 1590, 1594, 1606 del 2011).

La decisione della Corte di Giustizia, interpretando in maniera autoritativa il diritto dell’Unione con effetto diretto per tutti gli Stati membri e le rispettive giurisdizioni, incide sul sistema normativo impedendo la configurabilità del reato. L’effetto è paragonabile a quello della legge sopravvenuta (cfr. C. Cost. nn. 255 del 1999, 63 del 2003, 125 del 2004 e 241 del 2005, secondo cui "i principi enunciati nella decisione dalla Corte di giustizia si inseriscono direttamente nell’ordinamento interno, con il valore di jus superveniens, condizionando e determinando i limiti in cui quella norma conserva efficacia e deve essere applicata anche da parte del giudice nazionale") con portata abolitrice della norma incriminatrice.

2. In relazione a fattispecie quale quella in esame, realizzata prima della scadenza dei termini per il recepimento della direttiva, deve per conseguenza affermarsi che il fatto non è più preveduto dalla legge come reato.

La formula è in linea con quanto già ritenuto, in relazione a ipotesi in qualche modo simile, da questa Corte (Sez. 1^, sentenza del 20.1.2011, n. 16521), allorchè ha osservato che la pronunzia della Corte di Giustizia che accerta l’incompatibilità della norma incriminatrice con il diritto europeo "si incorpora nella norma stessa e ne integra il precetto con efficacia immediata" (cfr. Corte Cost. nn. 13 del 1985, 389 del 1989, 168 del 1991), così producendo "una sorta di abolitio criminis" che impone, in forza di interpretazione costituzionalmente necessitata, di estendere a siffatte situazioni di sopravvenuta inapplicabilità della norma incriminatrice nazionale, la previsione dell’art. 673 c.p.p..

3. Alla luce di questi principi, l’ordinanza impugnata è viziata dall’erronea applicazione della legge penale, poichè ha omesso di valutare, sia pure nell’ambito della procedura instaurata ai sensi dell’art. 671 c.p.p., che le due sentenze cui si riferiva la domanda originaria del ricorrente avevano entrambe ad oggetto il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, contestato, nei due distinti processi definiti con pronunzia irrevocabile di condanna, ad un cittadino extracomunitario resosi inottemperante in due distinte occasioni ad un ordine di allontanamento del Questore. In tale situazione trova applicazione, come già detto, il disposto di cui all’ari. 673 c.p.p..

Deve essere, pertanto, disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata; inoltre, deve, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., deve essere disposta la revoca delle sentenze emesse dal Tribunale di Treviso il 7 settembre 2005 e iM7 dicembre 2005 nei confronti di E.A., perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Il Collegio dispone, infine, darsi comunicazione della decisione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Treviso per quanto di sua competenza.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e, visto l’art. 673 c.p.p., revoca le sentenze emesse dal Tribunale di Treviso il 7 settembre 2005 e il 17 dicembre 2005 nei confronti di E.A., perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Dispone darsi comunicazione della decisione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Treviso per quanto di sua competenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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