Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-06-2011, n. 25247 Testimoni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23.6.2010 la Corte d’appello di Bari confermava la condanna inflitta dal gup del Tribunale di Foggia a P.C. per il reato di tentato omicidio e per i reati di porto e detenzione di arma clandestina. Veniva ritenuto che il P. avesse deliberatamente attentato alla vita del suo nemico R.L., atteso che risultava essersi appostato in un canneto, avere atteso l’arrivo del menzionato e a breve distanza avergli sparato al volto, con un fucile a canne mozze, arma clandestina, illegalmente detenuta.

L’ipotesi d’accusa veniva ritenuta dai giudici di merito fondata alla luce delle iniziali ammissioni dell’imputato sul fatto di aver atteso la vittima (lo stesso si consegnò dicendo di aver ucciso un uomo), del tipo di arma usata, della direzione del colpo sparato, della distanza tra lo sparo ed il corpo della vittima, della zona attinta, della repentinità dell’azione per sorprendere e neutralizzare la vittima, dei motivi aspri di risentimento che animavano l’Imputato verso il R..

I giudici di merito ritenevano che l’imputato era stato animato da dolo diretto, in ragione proprio degli elementi suindicati; veniva esclusa la legittima difesa putativa e l’attenuante della provocazione, attesa la determinazione volontaria dello stato di pericolo. Veniva altresì esclusa l’ipotesi del recesso attivo, poichè secondo il giudice a quo risultava che il P. indicò alle forze dell’ordine il luogo ove si trovava il R., non già per farlo soccorrere, ma perchè pensava che fosse morto. Quanto poi alla clandestinità dell’arma, i giudici di merito evidenziavano che il numero di matricola era stato collocato solo su una parte staccabile dell’arma, circostanza che non poteva escluderne la clandestinità. Veniva escluso che il P. fosse soggetto incapace di intendere e volere, non avendo alcuna ricaduta sulla sua psiche le malattie fisiche di cui era sofferente. La pena inflitta in anni quattro per il tentato omicidio e in anni uno e mesi quattro, per i reati in materia di armi, veniva considerata assolutamente rispondente ad equità e insuscettibile di riduzione.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato personalmente per contestare su più fronti, non sempre in termini di puro diritto, la decisione della Corte, sollecitando una rivisitazione di tutto il materiale raccolto.

Sarebbe stato violato, secondo l’imputato, l’art. 62 c.p.p., in quanto nell’annotazione i carabinieri avrebbero riportato, falsandole, le sue prime dichiarazioni, rese a caldo, in stato confusionale e non esattamente comprese e recepite, dichiarazioni di cui si sostiene l’inutilizzabilità anche nel giudizio abbreviato.

Si sottolinea come dalla perizia medico legale si evinca che R. non fu mai in pericolo di vita, il che metterebbe in crisi la ritenuta volontà omicida, tanto più che attinte furono parti non vitali. Quanto alla clandestinità dell’arma, viene sottolineato che l’arma era provvista di matricola, era semplicemente in cattivo stato di manutenzione essendo molto vecchia, risalente verosimilmente agli anni trenta, con il che si imponeva l’assoluzione per i reati in materia di armi. Viene ancora ribadito che il P. si sarebbe prestato a soccorrere il R., per cui ne doveva discendere l’attenuante relativa; si duole il ricorrente che non sia stata disposta una perizia psichiatrica, onde accertare se le plurime patologie fisiche di cui soffre, unite alla passionalità del momento, non avessero attenuato le sue capacità. Ancora, sostiene il ricorrente che non poteva essere ritenuto integrato il tentato omicidio, atteso che egli al più era animato da dolo eventuale, incompatibile con il reato tentato. La corte avrebbe operato una ricostruzione dei fatti errata, avendo opinato nel senso che il P. era animato da risentimento : in realtà il ricorrente era nella sua proprietà, non nutriva acredine, ma solo paura per i numerosi attentati subiti, tanto è vero che il R. era armato di fucile. Non potevano infine, a suo dire, essere valorizzate le dichiarazioni del medesimo, rese senza le garanzie difensive. Infine è stato sostenuto che si verte in ipotesi di legittima difesa putativa, o quanto meno doveva essere ritenuta l’attenuante della provocazione e quella del recesso attivo.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Non sono apprezzabili i ritenuti profili di violazione dell’art. 62 c.p.p., atteso che come è stato correttamente scritto nella sentenza gravata, l’imputato si presentò alle forze dell’ordine assumendo aver ucciso un uomo e indicando il luogo ove il supposto cadavere si trovava : dette dichiarazioni del tutto spontanee furono – come di dovere – raccolte dalle forze dell’ordine ai sensi dell’art. 350 c.p.p., u.c., ed utilizzate ai fini della decisione in sede di giudizio abbreviato, giudizio scelto dallo stesso imputato, atteso che l’utilizzabilità è preclusa solo in dibattimento. La difesa ha sostenuto che le indicazioni offerte dal P. sarebbero state frutto si sollecitazione dei Carabinieri, in quanto non oggetto di verbalizzazione, laddove è proprio la mancanza di verbalizzazione che smentisce l’assunto difensivo, segnando la carica di spontaneità ed immediatezza del racconto che portò i militari sul luogo del fatto, senza alcun indugio. Si deve escludere quindi la forzatura del dato normativo: i giudici di merito hanno valorizzato i due dati oggettivi estrapolati dal racconto dell’imputato, quali lo avvenuto ricorso ai carabinieri per assumere di aver ucciso e l’intervenuta indicazione del luogo del fatto, ove poi i militari si portarono, per ancorare la motivazione sul dolo omicidiario e sulla mancanza degli estremi per affermare il recesso attivo, il che spiega il perchè non si siano dilungati sulla natura di dette dichiarazioni.

La obiezione difensiva secondo cui non sarebbe configurabile il tentato omicidio, non avendo la vittima versato in pericolo di vita, non può essere apprezzata poichè la valutazione che deve essere compiuta, in tema di delitto tentato, non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti: così opinando infatti, l’azione per non aver conseguito l’evento, sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato. Il giudizio di idoneità, come è stato ripetutamente sottolineato, consiste in una prognosi ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili nel caso particolare. I giudici di merito si sono attenuti a tali parametri ed hanno correttamente concluso, riconoscendo la idoneità degli atti in funzione omicidiaria.

Dal punto di vista soggettivo, l’animus necandi è stato inferito da un compendio che imponeva tale giudizio, poichè ritenuto correttamente dotato di inequivoca incidenza dimostrativa: basti pensare alla natura dell’agguato teso, alla potenzialità offensiva dell’arma, alla distanza ravvicinata degli spari e alle zone attinte, che contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa riguardarono il collo ed il volto, tutti fattori deponenti, senza possibilità di errore, per una manifesta volontà diretta ad uccidere. Non si presta a censura alcuna nemmeno la ritenuta esclusione della ricorrenza del recesso attivo, atteso che proprio dalle parole del P., si ebbe contezza che egli si presentò spontaneamente ai Carabinieri di Manfredonia non già per fare soccorrere la vittima, ma per farne rinvenire il cadavere: il dato è stato ritenuto – e non poteva essere altrimenti- di univoca interpretazione, con il che la valutazione anche sul punto va ritenuta pienamente conforme alle regole di giudizio.

Quanto alla esclusione della esimente della legittima difesa, ancora non si presta a censura la valutazione operata, poichè non poteva essere sottovalutato come sia stato l’imputato medesimo ad aver posto in essere proditoriamente un’ aggressione, quindi a creare egli stesso una situazione di pericolo. Realtà questa che ha indotto, del tutto legittimamente, la Corte di merito ad escludere anche la ricorrenza dell’attenuante della provocazione ed a sostenere che il prevenuto fosse animato da un sentimento di odio, più che di ira, al momento in cui tese l’agguato al suo antagonista.

Quanto alla contestata clandestinità dell’arma, va detto che è stata ritenuta, alla luce della corretta interpretazione delle emergenze disponibili, avendo fatto riferimento i giudici di merito al compendio fotografico in atti, da cui era emerso che il numero di matricola dell’arma venne rinvenuto solo su una delle tre parti che compongono l’arma, quella staccabile, cosicchè doveva essere ribadito il giudizio sulla natura clandestina della stessa.

E’ infatti principio seguito da questa Corte quello secondo cui la clandestinità dell’arma non va esclusa dal fatto che sia riportato il numero di matricola sulla canna, in quanto essendo questa intercambiabile, tale numero non è elemento sufficiente per la identificazione (Sez. 1, 1.6.1995, n. 2254).

Infine, la contestata deliberazione di non disporre perizia psichiatrica, deve al contrario essere apprezzata, mancando del tutto nel caso di specie i presupposti per disporre nel senso richiesto atteso che, come è stato scritto, l’imputato ha sempre dimostrato perfetta lucidità e padronanza delle parole nel corso del giudizio, il che non poteva che portare alla decisione di rigetto dell’istanza, se non a costo di indebite fughe interpretative delle norme processuali sul punto.

I motivi di ricorso sono dunque infondati se non addirittura, alcuni, inammissibili in quanto disancorati dal tessuto argomentativo della sentenza e ripetitivi di deduzioni già svolte nei precedenti gradi, incuranti delle risposte date a queste deduzioni.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *