Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-06-2011, n. 25230 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 29.11.2010 la Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza assolutoria 13.02.2009 del Tribunale di Varese, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti, condannava M.N. alla pena di anni cinque di reclusione quale colpevole del reato di cui all’art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, art. 609 quater c.p., comma 1 e u.c., art. 61 c.p., n. 5 e 11 (per avere, con abuso di autorità genitariale e delle condizioni d’inferiorità fisica e psichica del figlio L., nato il (OMISSIS), costretto o indotto lo stesso a toccare il suo organo genitale con le aggravanti di aver commesso il fatto su un minore di anni 10 approfittando della minorata difesa e con abuso delle relazioni domestiche; in (OMISSIS) a partire dall’anno 1999 e fino al marzo 2001) e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili liquidate in Euro 20.000 in favore di S.A. e in Euro 60.000 in favore di M.L..

La notizia di reato era emersa in una situazione di conflitto tra genitori separati operanti, secondo quanto emerso all’udienza presidenziale di comparizione personale dei coniugi, in un quadro di tensione e violenza intra-familiare, coinvolgente anche la prole, d’inusitata gravità;

Avendo il padre lamentato di avere incontrato foltissime resistenze da parte della moglie, S.A. (maggiore del marito di circa sette anni), a consentirgli d’incontrare il figlio, il GI aveva disposto la nomina di un CT (dr. Ci.) tesa alla valutazione della capacità genitoriali dei coniugi e, nel corso del secondo incontro, tenutosi il (OMISSIS), la S. aveva riferito di avere appreso da L., quando era ricoverata in ospedale per la nascita del secondo figlio (nel maggio (OMISSIS)), che, in occasione delle visite al padre nella casa dei nonni, aveva "fatto le care al din-din del papà" che gli aveva fatto la pipì sul collo.

Analoghi racconti erano stati uditi dallo zio e dalla zia materni e da un amica di famiglia, G.D..

In quella sede la S. aveva aggiunto di non avere dato eccessivo peso al racconto del figlio sia perchè non aveva notato in lui sintomi di disagio sia perchè non aveva notato particolari attenzioni del marito verso il figlio.

Nel prosieguo delle operazioni peritali il Dr. Ci. aveva costatato che il bambino aveva dimostrato di sapersi relazionare senza problemi tanto col padre quanto con la madre e nessuna nota di rilievo era emersa dai colloqui avuti con le maestre della scuola materna: "il bambino appariva tranquillo e sereno, adeguatamente curato, non aggressivo, capace di instaurare buone relazioni con i compagni".

Avendo i nonni paterni presentato ricorso al Tribunale per i minorenni per ottenere la possibilità d’incontrare i nipoti, la S., in data (OMISSIS), aveva condotto in Questura il figlio che aveva accusato i nonni paterni e lo zio A. di molestie sessuali in concorso con l’imputato.

Il giudizio di separazione si concludeva con sentenza 27.01.2003 col rigetto delle reciproche domande d’addebito perchè "allo stato è impossibile risalire all’origine della situazione di grave degrado emotivo e di profonda ostilità tra le parti degenerata in reciproci comportamenti di grave censurabile oppositività".

La neuropsichiatra infantile, Dr.ssa C., cui la S. si era rivolta (fra l'(OMISSIS)) per fare osservare il figlio, aveva costatato che questi era molto consapevole dello stato di forte conflitto che contrapponeva i genitori e che la mamma invitava il figlio a raccontare di comportamenti anomali del padre e della nonna ("quando vi leccate").

Secondo la S., solo all’inizio del (OMISSIS), il figlio, mentre faceva il bagno, le aveva detto che il padre gli faceva "scritte con la sua pipì… ce l’ha grosso come una pecora…gli esce il cemento", ma i testi S.M., la dr.ssa C. e la dr.ssa R. dichiaravano che la madre già nell’autunno del (OMISSIS) mostrava di esserne al corrente.

Il (OMISSIS) L. aveva rinnovato i racconti alla neuropsichiatra infantile dell’ospedale di (OMISSIS), dr.ssa R., che aveva sentito il piccolo dire che il papà gli faceva dei disegni sul pancino con la pipì e, incitato dalla madre a proseguire il racconto, che dal pisello di papà "escono vermi o del cemento".

Avviatosi il procedimento penale, a seguito dell’informativa fatta al PM dal CT, il 4.4.2001 L. veniva sentito dall’ispettore M., della Questura di Varese, con l’ausilio di uno psichiatra ( V.) e, in quel frangente aveva disegnato alcuni disegni uno dei quali rappresentava un uomo-nudo "perchè le mutande gliele aveva tolte il papà".

Il Tribunale, valutando le dichiarazioni di L.; quelle de relato della madre, della sorella e del cognato di costei, dell’amica G. e della dr.ssa R.; le intercettazioni telefoniche e ambientali (che dimostravano come la S., con la madre e la sorella, fossero convinte dell’attendibilità di L. e che i frequenti contatti tra le donne riguardavano il tema delle verbalizzazioni con rischio di coinvolgere il bambino presente ai colloqui); le numerose consulenze espletate sulla personalità del minore (tutte concordi nel riconoscere che egli era tranquillo e sereno fino a quando non si era avviato il processo penale) e l’incidente probatorio del 28.11.2002, riteneva altamente probabile che le rivelazioni del bimbo in tenera età fossero frutto di suggestione o di un falso ricordo per la presenza di elementi spuri (costituiti da informazioni assunte da altri; di amplificazioni di adulti che lo circondavano assillandolo perchè reiterasse il racconto; da ansia di compiacere le aspettative della madre) mescolati con altri autentici, donde la difficoltà d’individuazione degli elementi d’autenticità.

Dopo i primi accenni alle care del (OMISSIS) (quando L. aveva poco più di due anni e mezzo), minimizzati dalla madre, il bimbo, il (OMISSIS), aveva accusato il padre in Questura (senza che fossero specificate … le modalità con cui egli era stato sentito, dato che nel verbale non erano riportate le domande); poi il 12.11.2001 aveva accomunato nelle accuse i nonni e lo zio e solo in sede d’incidente probatorio aveva reso dichiarazioni pienamente utilizzabili in dibattimento.

La stratificazione del materiale era via via aumentata rendendo difficile l’individuazione di quale parte del racconto fosse frutto d’esperienza vissuta o di elaborazione successiva da parte del bambino la cui riscontata situazione di disagio era emersa, non già al tempo dei pretesi abusi, ma in epoca successiva all’ (OMISSIS) quando il processo penale era già in corso, sicchè tale disagio non era necessariamente riconducibile a traumi di natura sessuale, ben potendo dipendere dalla situazione di estrema conflittualità tra i genitori e le rispettive famiglie, donde l’assoluzione dell’imputato ex art. 530 c.p.p., comma 2.

La corte territoriale, accogliendo l’appello del PM, riformava la sentenza di primo grado reputando attendibili le dichiarazioni del minore pur nel contesto d’accesa conflittualità tra genitori e i loro nuclei familiari.

Escludeva l’ipotesi difensiva che la madre avesse manipolato il figlio utilizzandolo quale strumento per trarre vantaggio nella causa per separazione personale perchè:

– gli esperti che l’avevano esaminata non l’avevano ritenuta "soggetto indecente";

– la donna non aveva alcuna ragione di calunniare M. perchè era stata lei a proporre una separazione consensuale anche se il ricorso per l’addebito era stato presentato dal marito e perchè, al momento delle dichiarazioni al consulente Ci., non era in discussione l’affido congiunto dei bambini;

– le intercettazioni telefoniche sulla sua utenza escludevano che essa avesse indottrinato il figlio o che lo avesse inconsciamente condizionato;

– il bimbo non aveva parlato degli abusi commessi dal padre in quanto influenzato dal clima di conflittualità tra i genitori, nè era stato indotto alle rivelazioni a causa delle domande suggestive cui era sottoposto;

– il bambino, dotato di normale intelligenza, aveva deposto con parole molto semplici e dirette rimproverando la madre per averlo mandato dal padre;

– le prime rivelazioni alla madre, con un linguaggio consono all’età, erano state "spontanee e precise" e frutto di diretta esperienza ed erano state reiterate nel tempo con senso di sofferenza;

– erano marginali e plausibili gli scostamenti rilevabili nelle dichiarazioni rese in sede d’incidente probatorio;

– sussistevano riscontri provenienti dai terzi che avevano ricevuto o assistito alle confidenze di L.;

– i disegni redatti nell’ambito delle indagini psicologiche dimostravano accentuata sessualizzazione;

– nell’incidente probatorio il racconto degli abusi era stato fatto con lucidità, con completezza di descrizioni, con modalità espressive adeguate all’età, con adeguata contestualizzazione ambientale.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando:

– inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità o inutilizzabilità ( art. 222 c.p.p. in relazione agli artt. 197 e 498 c.p.p.) con riferimento all’incidente probatorio in cui il GIP aveva nominato esperto, ai sensi dell’art. 498 c.p.p., il Dr. V., neuropsichiatria infantile, che aveva svolto le funzioni di "ausiliario" del corso delle s.i.t. del 4 aprile 2001;

– violazione dell’art. 499 c.p.p. comportante inutilizzabilità dell’incidente probatorio nel quale l’esperto aveva rivolto al minore domande suggestive che potevano nuocere alla sincerità delle risposte;

– difetto di motivazione sull’affermazione di responsabilità basata su argomentazioni che non avevano la forza di superare quelle, più logiche, della sentenza di primo grado;

– contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla conferma dell’assoluzione di B.M., imputata col figlio N., di abusi sessuali in danno del nipote perchè la stessa non era stata menzionata nelle prime rivelazioni del minore;

il che dimostrava che le stesse non erano costanti e precise, ma macroscopicamente ingigantite e tali da minare l’attendibilità complessiva del teste;

– contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta attendibilità del minore che aveva deposto solo alla presenza della madre la quale, secondo la dr.ssa C. che aveva curato il bambino dall'(OMISSIS), era invadente e spronava il figlio a raccontare i fatti dicendogli "Di che gioco fate, di quando vi leccate"; secondo Ca., poi, era stato la cognata a dire al bimbo quanto aveva fatto il padre. Aggiungeva il ricorrente che gli esperti che avevano esaminato il bambino avevano riscontrato una situazione non chiara (il piccolo appariva investito di un mandato come se recitasse una parte e aveva una certa difficoltà a differenziare i contenuti reali da quelli del mondo interno/emotivo) e che, incontrando il bambino, avevano notato che lo stesso era sereno, tranquillo, non turbato (sicchè la sua sofferenza era insorta durante la trattazione del processo). Inoltre, nell’incidente probatorio, L. aveva parlato soltanto di pipì e solo dopo incalzanti e suggestive domande (in violazione della carta di Noto) aveva detto di avere toccato il pisello di papà.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Vanno, anzitutto, esaminate le eccezioni di nullità e/o inutilizzabilità dell’incidente probatorio.

Assume il ricorrente che il dr. V., neuropsichiatria infantile, avendo svolto le funzioni di "ausiliario" nel corso delle sommarie informazioni testimoniali rese dal minore il 4.04.2001 alla Questura di Varese, non poteva svolgere le funzioni di esperto del GIP ex art. 498 c.p.p..

La dedotta incompatibilità, però, non sussiste avendo affermato questa Corte (n. 42721/2008 RV. 241426 alla cui diffusa motivazione si rimanda) che solo chi svolge o ha svolto nel procedimento funzioni di ausiliario (in senso tecnico) del giudice o del pubblico ministero acquista tale qualità che non può essere estesa a soggetti estranei all’amministrazione, quali ad esempio l’esperto di neuropsichiatria infantile che abbia partecipato all’assunzione delle sommarie informazioni rese al pubblico ministero dal minorenne offeso dal reato.

Conseguentemente per l’esperto (che non era ausiliario nel senso sopra descritto) non sussisteva l’eccepita incompatibilità ad assistere il GIP nell’espletamento dell’incidente probatorio.

In tema di domande suggestive prevalente è l’orientamento di questa Corte secondo cui il divieto di porle al testimone non opera nè per il giudice nè per l’esperto di cui il giudice si avvalga nella conduzione dell’esame testimoniale del minorenne (Sezione 3, n.9157/2009 RV. 246205) perchè l’eventuale vizio di acquisizione delle dichiarazioni effettuate dal minore non integra un problema di utilizzabilità, ma può formare oggetto di gravame sotto il profilo dell’attendibilità del risultato della prova a causa delle modalità della sua assunzione.

E’ Stato pure puntualizzato che "in tema di assunzione e utilizzazione delle prove, non da luogo alla sanzione d’inutilizzabilità al sensi dell’art. 191 c.p.p.. la violazione delle regole per l’esame fissate dall’art. 498 c.p.p., comma 1, e art. 499 c.p.p. poichè non si tratta di prave assunta in violazione di divieti posti dalla legge, bensì di prove assunte con modalità diverse da quelle prescritte, beve essere, del pari, esclusa la ricorrenza di nullità, atteso il principio di tassatività vigente in materia e posto che l’inosservanza delle norme indicata non i riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 c.p.p." (Sezione 1, n. 39996/2005 RV. 232941) e che "i principi posti, in tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura sessuale, dalla cosiddetta "Carta di Noto", lungi dall’avere valore normativo, si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, come illustrato nelle premesse della Carta medesima" (Sezione 3, n.20568/2008 RV. 239879).

Nel resto il ricorso è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, in tema di valutazione probatoria:

– la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest’ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva e oggettiva (ex pluribus, Cassazione Sezione 3, n. 30422/2005; n. 3348/2004; Sezione 4, n. 16860/2004; Sezione 3, n. 29612/2010), ma, in tal caso, il controllo deve essere effettuato con la necessaria cautela, attraverso un esame rigoroso e penetrante che tenga conto di tutti gli elementi emergenti dagli atti, specie quando la persona offesa sia un minore e i fatti narrati possano interagire con gli aspetti più intimi della sua personalità adolescenziale, o infantile, sì da accentuare il rischio di suggestione, di reazioni emotive, di comportamenti di compiacenza o auto protettivi;

– l’esame delle dichiarazioni del minore deve, cioè, essere eseguito valutando il suo stato psicologico rispetto al contesto di tutte le situazioni esterne e interne: la sua attitudine, in termini intellettivi e affettivi, a testimoniare tenuto conto delle sue capacità di recepire dati, di ricordarli e raccordarli, nonchè, sul piano esterno, le condizioni emozionali che modulano i suoi rapporti col mondo esterno; la qualità e la natura delle dinamiche familiari;

i processi di rielaborazione delle vicende vissute (Sezione 3, n. 42984/2007 RV.238066);

– nel caso di dichiarazioni accusatorie formulate da minori, il giudice ha l’obbligo, al fine di escludere ogni possibilità di dubbio o di sospetto che esse siano conseguenti a un processo di auto o etero-suggestione oppure di esaltazione o fantasia, di sottoporre le accuse medesime ad attenta verifica onde accertare se le dichiarazioni o parti di esse trovino obiettivo riscontro tra di loro o con altri elementi di convalida già acquisiti, sì da potere escludere che esse possano derivare dall’immaturità psichica ovvero da facile suggestionabilità (Sezione 1, n. 3102/1984; Sezione 3, n. 5003/2007);

– la valutazione del contenuto delle dichiarazioni del minore, parte offesa in materia di reati sessuali deve contenere un esame sia dell’attitudine psicofisica del teste a esporre le vicende in modo utile ed esatto sia della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. Utile è l’uso dell’indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali:

l’attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo e affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell’accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo, distinto dall’attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice, è diretto a esaminare il modo in cui il minore ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna (Cassazione Sezione 3, n.35397/2007, Tranchida, RV 237539; n. 8962/1997; RV. 208447);

– è affetta dal vizio di manifesta illogicità, la motivazione della sentenza nella quale la valutazione sulla credibilità e attendibilità delle dichiarazioni del minore, vittima di abusi sessuali, venga compiuta esclusivamente riferendosi all’intrinseca coerenza interna del racconto, senza tenere adeguatamente conto di tutte le circostanze concrete che possono influire su tale valutazione (Sezione 3, n. 4069/2007 RV. 238543).

Tanto premesso, va ribadito che "lo decisione del giudice d’appello, che comporti totale riforma della sentenza di primo grado. Impone la dimostrazione dell’incompletezza o della non correttezza ovvero dell’incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente dimostrazione che, sovrapponendosi in toto a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato a elementi di prova diversi o diversamente valutati" (Cassazione Sezione 2, n. 15756/2003, 12/12/2002 – 03/04/2003, RV.225564).

Nella specie, la Corte d’appello ha ricostruito i fatti in difformità della sentenza del giudice di primo grado senza attenersi al suddetto principio poichè non ha esposto logici rilievi a supporto dell’iter argomentativo che l’ha condotta a dissentire dalle soluzioni fattuali prospettate dall’altro giudice di merito.

La motivazione della sentenza impugnata, infatti, è in parte mancante e, in parte, manifestamente illogica.

Quanto all’incidente probatorio, va premesso che il divieto di domande suggestive che possono falsare il risultato della prova, riguarda, ex art. 499 c.p.p., l’esame diretto del testimone.

Esse, invece, rappresentano un utile strumento di controllo dell’attendibilità del teste nella fase del controesame.

Sono sempre vietate sia nell’esame diretto che nel controesame le domande che possono nuocere alla sincerità della risposta o perchè hanno contenuto intimidatorio oppure perchè sono destinate a indurre una risposta compiacente.

Comunque non possono considerarsi suggestive le domande del giudice dirette a vincere la reticenza o la ritrosia del testimone minorenne.

Nella fattispecie, dall’esame della trascrizione dell’audizione protetta del minore, effettuata perchè è stata eccepita dal difensore l’inutilizzabilità di talune risposte, non è dato rinvenire domande suggestive o nocive, anzi dalla completa lettura della trascrizione emerge che l’esame è stato condotto senza rilievi da parte del difensore che vi ha assistito.

Ciò premesso, la decisione della corte di merito è manifestamente illogica laddove attribuisce sicura attendibilità alle dichiarazioni rese in sede d’incidente probatorio da un bambino di circa sei anni che, sollecitato a ripetere quanto aveva già riferito in precedenza, ha insistito nel dire, con riferimento a fatti che sarebbero avvenuti quando aveva due anni e mezzo, che il padre gli dava botte e gli faceva la pipì "gialla…come la mia" addosso (col pistolino lungo come una pecora) lasciandogli delle scritte su tutto il corpo; che la nonna gli aveva fatto toccare la sua farfalla e che, dopo aver reiteratamente negato che il padre avesse fatto dell’altro (compreso l’avergli fatto toccare il pisello), a seguito d’incalzanti domande dell’esperto ("il papà ti ha obbligato a toccargli il pisello?"), ha risposto "sì… cinque volte, mi sembra", senza aggiungere altro sul punto.

Tanto basta per incrinare il giudizio della corte di merito che, di fronte a una deposizione di tale tenore, ha irragionevolmente affermato che il racconto del bambino è lucido, costante, completo di descrizioni, ripetuto, affetto da marginali e plausibili scostamenti senza svolgere alcuna globale e convincente valutandone sul complessivo compendio di elementi forniti dal piccolo e riconoscendo, non solo che L., in sede d’incidente probatorio, non aveva neppure accennato al cemento e ai vermi che uscivano dal pisello del papà di cui aveva parlato in precedenza (ciò apoditticamente riconducendo all’affievolimento del ricordo), ma anche che i suoi racconti non erano precisi e, quindi, non completamente affidabili stante che degli abusi della nonna (dai quali la stessa è stata assolta ex art. 530 c.p.p., n. 2) non vi era traccia nelle prime rivelazioni e che non vi era concordanza sulla descrizione di tali abusi avendo egli prima parlato di leccamenti e cioè di atti non aventi sicura connotazione sessuale e, dopo, d’introduzioni del suo dito nella farfalla.

Altre lacune motivazionali su punti rilevanti ai fini del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie inficiano la tenuta della sentenza impugnata perchè, oltre al mancato accertamento dell’intrinseca coerenza interna del racconto, non sono state prese adeguatamente in considerazione concrete circostanze che avrebbero potuto influire su tale valutazione.

Si tratta della genesi dell’accusa, immotivatamente minimizzata, innestatasi in un contesto di acceso conflitto tra gruppi familiari e snodatasi con la cadenza di un work in progress.

Pur dichiarando la corte di merito di essere consapevole che l’ambiente familiare era caratterizzato da accesa conflittualità sfociata in un giudizio di separazione personale costellato da reciproche iniziative di coniugi dirette a conseguire dichiarazioni d’addebito, non ne ha tratto le possibili implicazioni sulle dichiarazioni del bambino, che pur la sentenza di primo grado aveva segnalato, ben potendo il predetto, per la tenera età, avere subito influenze, anche involontarie e in buona fede, da parte di una madre preoccupata che il figlio potesse aver subito violenze sessuali ad opera del padre.

Non è stato, infatti, dato alcun rilievo all’iniziativa accusatoria nei confronti del marito avvenuta in coincidenza delle operazioni peritali disposte a seguito delle lamentate foltissime resistenze a incontrare il figlio opposte dalla moglie al marito, nè alla conduzione del figlio in Questura, per accusare di abusi sessuali nonni e zio paterni, che era avvenuta, da parte della S. subito dopo la presentazione al Tribunale dei minori da parte dei nonni di un ricorso per ottenere la possibilità d’incontrare i nipoti.

La corte d’appello, inoltre, non ha nemmeno approfondito, per superarli, l’esame di altri punti di sicuro rilievo segnalati nella sentenza di primo grado e richiamati nel ricorso:

– la denuncia degli abusi al CT Ci. era avvenuta dopo un anno e nove mesi dalla loro conoscenza;

– la dott. C., che aveva osservato il bambino negli ultimi mesi del 2000, aveva colto il comportamento invadente della madre e annotato nei suoi appunti che il bambino non appariva per nulla disturbato e stava male quando la mamma voleva fargli raccontare quello che faceva con il papà e con la nonna;

– le persone che avevano ricevuto le confidenze, compresa la suddetta neuropsichiatra, non avevano dato alle stesse eccessiva rilevanza tanto da non denunciarle all’autorità giudiziaria;

– nella primavera del (OMISSIS) l’assistente sociale P. vide il bambino assolutamente sereno e contento di poter trascorrere qualche ora giocando col padre, mentre dalle videocassette relative a un’intercettazione ambientale espletata presso la Questura di Varese il 4.04.2001 è emerso che L. "appariva sereno e naturale nel rapporto col genitore col quale scherzava e rideva tranquillamente";

– dalle intercettazioni ambientali era emerso che la madre, la zia e la nonna materne avevano avuto frequenti contatti per fare ripetere al piccolo il racconto degli abusi (ciò risultando sia dalle intercettazioni telefoniche (n. 51 del 30.03.01) sia dalle prove orali (teste Va.), nonchè dai riferimenti dei consulenti e testimoni che avevano sottolineato come S.A. fosse particolarmente attenta a che il figlio riportasse il racconto degli abusi davanti a loro) elemento che potrebbe avere indotto L. a soddisfare in questo modo le ansie e le aspettative, anche involontarie, della madre;

– il racconto ripetuto di L., con l’uso delle medesime parole ed espressioni, e i disegni redatti erano probabile frutto di un meccanismo psicologico innescato da domande manipolatorie dei familiari cui il piccolo aveva dato risposte compiacenti;

– fino all’avvio del procedimento penale nessun perito o esperto ha ravvisato chiari indicatori di abusi sessuali, nè turbamenti o disagi psicologici del piccolo (cfr. C., Ci., P.) e l’osservazione conserva il suo peso, anche se gli studi più recenti di psicologia infantile hanno escluso la valenza assoluta di questi indicatori. Tuttavia, non avrebbe dovuto essere trascurata la relazione della dr.ssa D.R., consulente nominata dal Tribunale per i minori che, osservando L. all’età di sei anni, aveva rilevato: "quanto ai supposti abusi alcuni elementi fanno ritenere plausibile l’ipotesi che il bambino soffra per essere stato anche vittima di un trauma sessuale…vi sono tuttavia elementi che orientano il pensiero clinico in senso contrario. Innanzitutto la grave conflittualità al cui interno è nato il sospetto di abuso induce grande prudenza… inoltre, l’interpretazione del conflitto in termini di flussi proiettivi può portare… a una deformazione della realtà in funzione dei bisogni personali e soggettivi" "io ho visto una tale falda familiare, una guerra così grande e così potente …che il sospetto di abusi va preso con estrema prudenza….i segni clinici e il disagio del bambino potevano essere legati alla sofferenza per un trauma di scissione familiare molto intenso".

Non si rinviene, ancora, nella sentenza impugnata alcuna analisi sulle modalità del disvelamento e, quindi, sulla stessa attendibilità dei testimoni de relato, che non hanno mai avuto cognizione diretta di atteggiamenti anomali del M. nei confronti di L..

Il carattere mediato della rappresentazione del fatto impone al giudice, specie quando la fonte primaria sia un minore, una particolare cautela in sede di valutazione.

E’ necessario, infatti, accertare quali siano state effettivamente le informazioni fornite e le modalità di comunicazione delle stesse e sotto tale profilo assumono particolare rilievo la spontaneità delle rivelazioni o, al contrario, la loro sollecitazione; le domande rivolte, l’assenza di suggestione, promesse, induzioni, pressioni psicologiche (cfr. Cassazione Sezione 3, n.24248/2010 RV. 247285: In tema di dichiarazioni accusatorie rese a terzi dal minore (nella specie bambino di anni quattro) vittima del reato di violenza sessuale, la ricostruzione dalla genesi della notizia di reato, delle reazioni emotive e delle domande degli adulti coinvolti e delle ragioni dell’eventuale amplificazione nel tempo della narrazione rappresentano utili strumenti al fine di controllare che il minore non abbia inteso compiacere l’interlocutore e adeguarsi alle sue aspettative).

Però, nella specie, tale approfondimento risulta assente, sicchè non poggia su solide basi la convinzione espressa dalla corte di merito sulla spontaneità delle rivelazioni (la prima in ospedale e la seconda nel corso del "bagnetto") ancorata essenzialmente alle dichiarazioni, incontrollate, della S., con la quale il figlio viveva, antagonista del M. ed anche a quelle degli zii materni, che informati dalla madre, avevano richiesto spiegazioni al bambino.

Può, quindi, ritenersi che dalla soluzione dell’ineludibile problematica sulla genuinità dell’accusa del minore (che più è convincente se nasce spontaneamente al di fuori da un contesto familiare traumatizzante) la corte territoriale si è sostanzialmente sottratta, mentre la valutazione dell’attendibilità di un bambino in tenera età deve essere legata non soltanto al suo dire, che nella specie è stato parzialmente invalidato dalla stessa corte con l’assoluzione della nonna, ma anche a ogni rilevante dato acquisito nel processo, sicchè erano da tenere in considerazione, ai fini di una corretta decisione, la mancanza di tracce obiettive di abusi; il riscontrato difetto di "omogeneità" (sentenza d’appello f. 18) degli abusi attribuiti alla nonna paterna; la poco chiara descrizione della fenomenologia dell’illecito attribuito al padre; l’astrazione dal contesto di consumazione degli abusi, e, soprattutto, la genesi del processo, dianzi ricostruita.

In conclusione, ritiene il collegio che le carenze della motivazione della sentenza impugnata, specie in relazione alla delicatezza della contestazione, richiedano una nuova valutazione da parte del giudice del merito incentrata sulla genuinità dell’accusa partendo dallo stato di belligeranza in cui versavano i protagonisti della vicenda.

Pertanto, la sentenza deve essere annullata per nuovo esame con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano che rivaluterà i fatti con piena libertà di giudizio tenendo conto complessivamente di tutte le circostanze emerse nel processo.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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