T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 28-06-2011, n. 979 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso collettivo all’esame, il datore di lavoro S.V. e il cittadino extracomunitario Pavan Kumar impugnano il provvedimento della Prefettura di Mantova/SUI recante il rigetto dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare che era stata presentata dal S.V. in favore del predetto Pavan Kumar.

Il diniego è stato motivato dalla Prefettura mediante il richiamo alla nota della Stazione Carabinieri di Gonzaga del 4.10.2010 "con la quale si comunica che il sig. S. ha dichiarato che il lavoratore straniero non lavora presso di lui".

I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1 ter della L. n. 102/2009, il difetto d’istruttoria e la mancata emissione del preavviso di diniego ex art. 10 bis L. n. 240/90.

Il ricorso risulta fondato.

Il legislatore italiano, nell’esercizio di una facoltà espressamente stabilita dalla Direttiva n. 115 del 2008 (art. 4, comma 3, in tema di disposizioni più favorevoli), ha previsto il beneficio della emersione del lavoro irregolare, con effetto estintivo di ogni illecito penale e amministrativo (art. 1ter, comma 11, del D.L. 1.7.2009 n. 78 conv. in L. 3.8.2009 n.), a favore di una limitata cerchia di lavoratori, ma anche dei rispettivi datori di lavoro, che li impiegano per esigenze di assistenza propria o di familiari non pienamente autosufficienti o per lavoro domestico.

In particolare, l’art. 1 ter della cit. L. n. 102/ 2009 prevede la possibilità di presentazione di una dichiarazione di emersione dal lavoro irregolare per i datori di lavoro "che alla data del 30 giugno 2009 occupavano irregolarmente alle proprie dipendenze, da almeno tre mesi, lavoratori italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero lavoratori extracomunitari, comunque presenti nel territorio nazionale". La norma espressamente richiede che i predetti datori di lavori continuino ad occupare i predetti lavoratori "alla data di presentazione della dichiarazione di cui al comma 2" e che i predetti debbano essere adibiti:

"a) ad attività di assistenza per se stesso o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza;

b) ovvero al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.".

Il settimo comma precisa che "Lo sportello unico per l’immigrazione, verificata l’ammissibilità della dichiarazione e acquisito il parere della questura sull’insussistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno, convoca le parti per la stipulazione del contratto di soggiorno e per la presentazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato,…".

Pertanto, – restando in disparte la differente questione, che qui non è posta, della sussistenza di eventuali situazioni soggettive del cittadino extracomunitario, impeditive della regolarizzazione ai sensi di quanto disposto dal c. 13 dell’art. cit. – lo Sportello unico per l’immigrazione aveva il compito di verificare il rispetto delle modalità di presentazione della domanda e l’effettiva sussistenza del rapporto di lavoro per almeno tre mesi alla data del 30 giugno 2009 e al momento della presentazione della domanda.

Il presupposto per il rigetto della domanda è dunque costituito dall’accertamento dell’inesistenza del rapporto a tali date nonché per la durata minima richiesta.

Peraltro, contrariamente a quanto affermato in maniera eccessivamente sintetica dal provvedimento impugnato (secondo cui il datore di lavoro "ha dichiarato che il lavoratore straniero non lavora presso di lui"), l’attività investigativa posta in essere non ha accertato tali circostanze, bensì la sospensione della prestazione in epoca successiva alla presentazione della domanda.

Invero, dal verbale di sommarie informazioni assunte dai Carabinieri (cfr. il doc. 6 del ricorrente) emerge che – alla prima domanda posta "Lei ha alle sue dipendenze il sig. Kumar Pawane con quali mansioni?" – il S. ha risposto "Si, svolge l’attività di operaio factotum in Moglia ove io esplico l’attività di autista". Solo successivamente i Carabinieri hanno posto l’ulteriore domanda: "attualmente il KUMAR sta lavorando per lei?", alla quale il datore di lavoro ha risposto "No, fino a quando la pratica non è definita non lavora per il sottoscritto. Il Kumar attualmente si trova a Pegognaga ospite dei suoi cugini che gestiscono un negozio di generi alimentari".

Il provvedimento di diniego è stato dunque assunto sulla base di un’attività istruttoria carente, che per di più, ha travisato il senso delle dichiarazioni del S..

Infine, sussiste altresì la violazione dell’art. art. 10 bis, introdotto dalla l. n. 15 del 2005 che ha previsto il c.d. "preavviso di diniego". Tale istituto è volto a consentire il contraddittorio tra privato e Amministrazione prima dell’adozione di un provvedimento negativo e allo scopo, quindi, di far interloquire il privato sulle ragioni ritenute dall’Amministrazione ostative all’accoglimento dell’istanza. La norma si applica a tutti i procedimenti ad iniziativa di parte ad eccezione di quelli espressamente esclusi (procedure concorsuali e procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti da enti previdenziali).

In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato (cfr. la sentenza Sez. VI 17.1.2011 n. 256 ed i precedenti ivi richiamati) che il preavviso di rigetto trova applicazione anche nel caso di diniego rinnovo del permesso di soggiorno, evidenziando che ciò accade ove non si tratti di ipotesi di strettamente vincolate – ove l’Amministrazione si limita a verificare la sussistenza di una circostanza obiettivamente ostativa (come, ad es., una condanna penale) – ma si presentino ipotesi in cui viene in rilievo la valutazione di elementi su cui possono incidere le sopravvenienze e rispetto al quale l’interessato può fornire – se coinvolto in sede procedimentale – gli opportuni chiarimenti, soprattutto nei casi in cui l’Amministrazione non è in grado di rispettare i tempi procedimentali.

Il suddetto principio giurisprudenziale – ricorrendo l’identità di ratio – può trovare applicazione anche alla fattispecie della richiesta di legalizzazione a mezzo emersione di lavoro irregolare.

All’esito del presente giudizio l’Amministrazione deve provvedere a riprendere in esame la domanda di regolarizzazione.

Sussistono, attesa la novità della questione, giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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