Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-11-2011, n. 23551 Correzione della sentenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.I., F.R. e F.M., eredi di N.E., convennero dinanzi al Tribunale di Livorno il Comune di Cecina, chiedendo che fosse dichiarata la legittimità della revoca, da loro comunicata in data 3 febbraio 1992, della proposta di donazione di taluni terreni fatta dalla de cuius in favore del Comune con atti pubblici del 18 aprile e 10 settembre 1972.

Il Comune di Cecina si oppose alla domanda, precisando che era in corso il procedimento amministrativo per ottenere l’autorizzazione all’accettazione della donazione e che la stessa proponente aveva rinunciato al diritto di revocare la proposta durante il tempo necessario per tale incombente.

Nel corso del giudizio il procuratore delle attrici rinunciò al mandato e soltanto F.M. si costituì con un nuovo difensore.

Istruita la causa in via documentale, il Tribunale, in accoglimento della domanda, dichiarò l’inefficacia della proposta di donazione, condannando il Comune al pagamento delle spese.

Interposto gravame, con sentenza n. 1371 del 3 ottobre 2005 la Corte di appello di Firenze confermò la decisione impugnata, osservando che la proposta della donazione era venuta meno per essere la proponente deceduta prima della sua accettazione e che, comunque, essa era stata validamente revocata dagli eredi nel 1992, non potendo ritenersi ancora operante, causa il lungo tempo trascorso, la clausola con cui la proponente aveva rinunciato alla revoca per il tempo necessario al destinatario per ottenere la prescritta autorizzazione.

Per la cassazione di questa decisione, notificata il 1 dicembre 2005, con atto notificato 30 gennaio 2006, ricorre il Comune di Cecina, affidandosi a quattro motivi, illustrati da successiva memoria.

Resiste con controricorso F.M., mentre le altre intimate non si sono costituite.

In data 11 ottobre 2011, si è costituito in giudizio B. P., quale unico erede di F.M., deceduta il (OMISSIS), depositando procura speciale autenticata e dichiarazione di successione.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso, denunzi andò violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 161 c.p.c., comma 2, ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che la Corte di appello non abbia preso in esame l’eccezione sollevata dal Comune appellante in comparsa conclusionale di inesistenza della sentenza di primo grado per avere essa disposto la revoca della proposta di donazione limitatamente all’attrice F.M., senza menzionare le altre eredi F.I. e R., che pure non avevano mai rinunciato agli atti del giudizio.

Il motivo è infondato.

La tesi avanzata dal Comune ricorrente, secondo cui la sentenza di primo grado sarebbe nulla o inesistente per avere dichiarato l’inefficacia, per intervenuta revoca, della proposta di donazione menzionando, tra le parti attrici, la sola F.M. e pretermettendo le altre, è priva di consistenza giuridica. E’ sufficiente al riguardo osservare che il vizio denunziato potrebbe ascriversi o ad un errore materiale nella redazione della decisione, come tale soggetto a correzione mediante l’apposito procedimento (artt. 287 e ss. cod. proc. civ.), ovvero, al più, ad omessa pronuncia, ma mai ad un’ipotesi di inesistenza della decisione, categoria che ricorre soltanto laddove l’atto non corrisponda ad alcun modello processuale, per essere privo degli elementi necessari ai fini della sua qualificazione come atto inquadrabile e riconoscibile in una astratta fattispecie giuridica (Cass. n. 16803 del 2004). Privo di qualsiasi pregio è pertanto il richiamo alla disposizione di cui all’art. 161 c.p.c., comma 2, che ha riguardo alla ben diversa fattispecie della sentenza priva della sottoscrizione del giudice.

Da tale considerazione discende che, per il principio della conversione delle nullità della sentenza in motivi di impugnazione (art. 161 c.p.c., comma 1), il vizio in questione – laddove inquadrabile nell’ambito della categoria della nullità – avrebbe dovuto essere denunziato, ad opera della parte interessata, con uno specifico motivo di appello. La sua articolazione, come riconosciuto dallo stesso Comune ricorrente, soltanto in sede di comparsa conclusionale, cioè in un atto che, per sua natura, è inidoneo a contenere nuove censure, non valeva pertanto ad investire la Corte di appello della relativa questione. Il che esclude possa comunque ravvisarsi il denunziato vizio di omessa pronuncia, il quale presuppone la rituale introduzione nel giudizio della domanda o dell’eccezione che si assume non esaminata. Correttamente, pertanto, il giudice di appello ha omesso di esaminarla e di pronunciarsi sul punto.

Con il terzo motivo di ricorso – che va esaminato prima degli altri investendo una questione avente priorità logica e giuridica – il Comune di Cecina denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 782, 1329 e 1350 cod. civ. ed insufficiente contraddittoria motivazione, lamentando che la decisione impugnata abbia ritenuto inefficace la proposta di donazione per essere la proponente deceduta (nel 1978) prima della essa fosse accettata da parte del destinatario. Tale conclusione, ad avviso del ricorso, è errata, in quanto, avendo la stessa proponente espresso la volontà di mantenere ferma la proposta fino all’ottenimento da parte del Comune dell’autorizzazione ad accettarla, tale proposta doveva qualificarsi irrevocabile, con conseguente applicazione della disciplina posta dall’art. 1329 c.c., comma 2, in forza della quale la proposta irrevocabile non perde efficacia con la morte del proponente. Nè tale disposizione può ritenersi inapplicabile nel caso di specie in ragione della natura dell’atto di donazione, atteso che essa nel concreto rispondeva anche ad un interesse della donante, essendo stata posta in essere nell’ambito di un programma di assetto urbanistico in forza del quale la N. intese donare al Comune i terreni destinati a strada e a verde pubblico ed alienare a terzi i terreni edificabili.

Il mezzo è infondato.

Il Collegio ritiene di condividere e fare proprio l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso di donazione a persona giuridica, quando la notifica dell’atto pubblico di accettazione della donazione da parte del donatario avviene dopo la morte del donante, la formazione del consenso necessaria per il perfezionamento del contratto di donazione rimane impedita, in quanto gli eredi subentrano soltanto nei rapporti giuridici facenti capo al defunto che sono trasmissibili, e non nei diritti e nelle obbligazioni capo al defunto che sono trasmissibili, e non nei diritti e nelle obbligazioni intuitu personae, tanto più se si tratta di dichiarazioni negoziali eminentemente personali nella cui categoria rientra senz’altro la donazione (Cass. n. 10734 del 2010, Cass. n. 15121 del 2001). La morte della proponente impedisce così il formarsi dell’accordo, inteso come incontro di volontà che devono coesistere nello stesso momento. Il principio generale fissato dalla legge è del resto nel senso che la proposta cade in caso di morte del proponente (art. 1329 c.c., comma 1). Soltanto nel caso di proposta irrevocabile l’art. 1329, comma 2, stabilisce che la morte (o la sopravvenuta incapacità del proponente) non toglie efficacia alla proposta. Ma la richiamata disposizione fa salva comunque la regola generale, quando la natura dell’affare o altre circostanze escludono tale efficacia. E questo è proprio il caso della donazione, che è atto personalissimo di disposizione patrimoniale che trae ragione dalla spontanea ed autonoma determinazione del suo autore. La clausola della irrevocabilità, pertanto, contrasta con la natura della donazione e ciò esclude l’applicabilità della prima parte dell’art. 1329, comma 2 (in questo senso anche il remoto precedente Cass. n. 2811 del 1961).

Nessun rilievo, in tale contesto, può ascriversi alla deduzione del ricorrente secondo cui la proposta di donazione venne all’epoca formulata anche in ragione di uno specifico interesse della proponente, ulteriore rispetto alla causa di liberalità vera e propria. E’ sufficiente al riguardo rilevare che, al di là di ogni giudizio sulla loro rilevanza, si tratta di allegazioni di fatto che, non risultando dedotte nei gradi di giudizio precedenti, debbono qualificarsi del tutto nuove, con la conseguenza che esse non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 782, 1328 e 1350 cod. civ. e contraddittoria motivazione, censurando sentenza impugnata per avere ritenuto valida la revoca della proposta di donazione intimata dalle attrici nel 1992, sul presupposto che per tale atto non fosse necessario il rispetto della forma solenne prevista dalla legge per la donazione.

Il quarto motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2938, 2943, 2946 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ. ed insufficiente contraddittoria motivazione, investe il capo della decisione che ha ritenuto valida la revoca della proposta di donazione posta in essere dalle attrici nel 1992, sul presupposto che la clausola della proponente di mantenere ferma la proposta fino all’ottenimento della autorizzazione ad accettarla da parte dell’Autorità competente non potesse considerarsi prestata per un tempo indefinito, ma doveva ritenersi sottoposta ad un limite di durata, pari quanto meno al termine di prescrizione ordinario previsto dalla legge in materia di diritti.

Entrambi i motivi vanno considerati assorbiti in ragione della reiezione del terzo motivo, investendo una ratio decidendi della sentenza impugnata – l’avere cioè ritenuto il giudice di secondo grado valida ed efficace la revoca della proposta comunicata dalle attrici alla controparte nel 1992 – che, nel percorso motivazionale della decisione, si aggiunge a quella che ha dichiarato la caducazione e quindi la sopravvenuta inefficacia della proposta a causa della morte della proponente prima della sua accettazione, argomentazione che di per sè ha carattere autonomo ed è in grado, da sola, di sorreggere la conclusione accolta.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in favore del solo controricorrente costituito, non avendo gli altri intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto e condanna il Comune di Cecina al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte costituita, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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