T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 28-06-2011, n. 966

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il provvedimento in questa sede impugnato è stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno al cittadino del Marocco M.H., in quanto è risultato che egli, in data 15.1.2001, aveva riportato condanna dal Tribunale di Milano, irrevocabile il 12.3.2002, alla pena di anni 4, di reclusione e alla multa di Lire 9.000.000 per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti in concorso art. 73 del DPR 309/90.

Il ricorrente lamenta che il diniego si fonda esclusivamente su tale sentenza di condanna, senza alcuna disamina della concreta pericolosità sociale del soggetto anche in relazione alla condotta susseguente al reato e alle condizioni di vita del medesimo, che si caratterizzano per la presenza regolare nel territorio nazionale dal 1996 e per la sussistenza di attività lavorativa continuativa.

Il ricorso risulta fondato.

Il diniego di rinnovo è stata opposto dall’Autorità di PS in dichiarata applicazione dell’art. 5, comma 5 e dell’art. 4, comma 3 del D.Lgs. 25.7.1998 n. 286, come modificati dalla L. n. 189/2002.

L’art. 4 c. 3 prevede che: "Non è ammesso in Italia lo straniero…o che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.

A sua volta l’art. 5 comma 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato

Viene in rilievo, sotto un primo profilo, il tema della valutazione della pericolosità sociale.

L’art. 4, comma 3, del D. Lgs. n. 286 del 1998 (come modificato dall’art. 4 comma 1 lett. b della legge 30.7.2002 n. 189 c.d. BossiFini) nel prevedere, la non ammissione e l’impossibilità di continuare il soggiorno in Italia per quei cittadini di origine extracomunitaria che siano stati condannati per determinate categorie di reati oggettivamente gravi e che comunque destano particolare allarme sociale, introduce un automatismo che opera solo nel caso in cui la responsabilità del cittadino straniero risulta essere stata accertata dall’Autorità Giudiziaria a seguito di procedimento penale e conclusiva sentenza di condanna nei suoi confronti.

In altri termini il citato art. 4 D. Lgs, n. 189/2002, individua una serie di condotte, quelle integratrici delle fattispecie criminali menzionate dalla norma, e le considera come oggettivi indici di pericolosità sociale. Esse, dunque, vengono considerate dalla legge come requisiti individuali negativi, ostativi all’inserimento dello straniero nella comunità nazionale.

Il riferimento legislativo alle inerenti condanne deve quindi ritenersi come volto ad individuare i fatti probanti (cioè le condanne) la sussistenza di quei requisiti negativi.

Trattasi, in definitiva, di una valutazione di pericolosità sociale già effettuata dal legislatore che ha ritenuto, del tutto ragionevolmente e nell’ambito della discrezionalità che gli compete, la sussistenza di tale elemento nella responsabilità del soggetto, accertata giudizialmente, per la commissione di reati di particolare gravità (cfr. TAR Parma 7.4.2005 n. 207).

Resta da vedere se sia possibile un’applicazione della norma in esame anche alle sentenze intervenute antecedentemente alla introduzione della stessa, come è accaduto nella fattispecie all’esame, essendo la condanna penale del 15.1.2001 (irrevocabile dal 12.3.2002).

All’interrogativo deve darsi risposta negativa (cfr. TRGA 10.4.2006 n. 124, più di recente, Cons. St., Sez. VI, 21 aprile 2010, n. 2239; T.A.R. Campania sez. VI 3 febbraio 2011 n. 651).

In applicazione di un criterio di interpretazione costituzionalmente orientato, deve ritenersi che la norma di legge intenda riferirsi solo all’avvenire e non per anche al passato.

È utile ricordare che la retroattività della legge è fatto eccezionale. Anche volendosi prescindere dall’affermazione, fatta in passato, che essa comporta violazione del patto sociale, resta che la legge serve a porre una regola di condotta, la quale può essere osservata solo dopo che sia stata posta, conosciuta e entrata in vigore. È sempre valida, quindi, l’osservazione che, se il divieto di dare efficacia retroattiva alla legge opera, per principio costituzionale, solo con riguardo alle leggi punitive, tuttavia anche negli altri campi del diritto la retroattività della legge può essere iniqua, se non giustificata da un grave interesse generale, il quale richieda che la nuova legge regoli anche fatti del passato.

Inoltre, anche sul piano strettamente logico e tecnico, deve affermarsi che, in mancanza di una disposizione esplicita di retroattività della legge, l’interprete, dato il carattere eccezionale di tale efficacia, può ricavare la mens legis, rivolta a attuarla, sull’unica base della locuzione testuale della norma, solo, cioè, se il significato letterale non sia compatibile con la normale destinazione della legge a disporre esclusivamente per il futuro. L’eventuale deroga deve, quindi, potersi desumere in modo non equivoco da elementi obiettivi della norma. Quando, invece, tale compatibilità sussiste, l’interprete è tenuto a ritenere osservati e a osservare egli stesso i principi generali sulla legge, orientando l’interpretazione al rispetto di tali principi.

Nella specie, non si è in presenza di norma interpretativa, ma è stata espressamente modificata una norma che antecedentemente non conteneva tale automatismo, di guisa che deve ritenersi che la stessa non possa che operare per il futuro.

Pertanto, il Collegio reputa che nel caso in cui sussista una condanna penale intervenuta in data antecedente all’entrata in vigore della norma posta dalla l. BossiFini – come per i precenti penali non rientranti nell’ambito dell’art. 4. c. 3 – l’Autorità di PS non possa operare in via di mero automatismo, ma debba procedere alla concreta disamina della sussistenza della pericolosità sociale.

In tal caso, deve dunque procedersi, con discrezionale apprezzamento, alla disamina del tipo di reato commesso, della sua gravità, dell’entità della pena e dell’allarme sociale, nonché alla valutazione dell’intera personalità del soggetto, quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita.

Il provvedimento impugnato non sviluppa però tale analisi, limitandosi a svolgere astratte considerazioni d’ordine generale sull’allarme sociale derivante dalla commissione di reati in tema di droga, nonché sulla discrezionalità spettante all’Amministrazione nel valutare la pericolosità sociale dei soggetti, anche a prescindere dalla sussistenza di condanne penali.

Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato, fatto salvo l’ulteriore potere dell’Amministrazione di provvedere all’esito della disamina della concreta pericolosità sociale del ricorrente.

Sussistono, infine, giusti motivi per addivenirsi alla compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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