Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-06-2011, n.Reati edilizi 25217

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Roma,con sentenza del 15 gennaio del 2010, in riforma di quella pronunciata il 29.9.2008 dal tribunale della medesima città, condannava P.D. alla pena di mesi cinque di reclusione,quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, del reato di cui agli artt. 48 e 480 c.p., perchè, presentando un’ingannevole domanda di condono edilizio n. (OMISSIS), con la quale si intendeva sanare la trasformazione di un locale "cabina idrica" sito all’ultimo piano dello stabile di (OMISSIS), in locale abitativo, induceva in errore l’Amministrazione comunale che rilasciava la concessione in sanatoria n. (OMISSIS), con cui attestava e legittimava falsamente l’esistenza di una nuova costruzione – ampliamento di mq. 30 con destinazione d’uso residenziale. In (OMISSIS).

Con la medesima sentenza la Corte assolveva,con la formula "perchè il fatto non costituisce reato", l’imputato dal delitto di cui all’art. 483 del c.p. come richiamato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 76 perchè, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, resa ai sensi dell’art. 47, D.P.R. citato a corredo della domanda di condono edilizio di cui al capo che precede, aveva attestato, contrariamente al vero, di essere "proprietario unico" dell’unità immobiliare ivi indicatala quale invece apparteneva alla "Flavia 90 s.r.l.", che in data 27.5.2003 aveva ceduto il diritto di proprietà e il diritto di abitazione sulla stessa rispettivamente a P. L. e A.R., figlia e coniuge del prevenuto;

dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al reato di cui all’art. 81 c.p., del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 perchè, quale committente, aveva effettuato, in area sottoposta a vincolo paesaggistico ex art. 134, lett. a) del D.Lgs. citato ed in zona A) del piano regolatore, (al cui interno erano consentiti soltanto interventi conservativi), lavori edilizi, consistiti nella trasformazione del locale cabina idrica di cui ai capi che precedono in un’unità abitativa, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesistica.

Per quanto ancora rileva in questo grado dagli accertamenti compiuti dai giudici del merito era emerso che nella domanda di rilascio di concessione in sanatoria avanzata a norma della L. n. 724 del 1994, che è più permissiva per il condono in zone vincolate, era stato falsamente attestato il completamento dell’ampliamento di mq. 30 e la trasformazione del locale in funzione residenziale in epoca antecedente al (OMISSIS), in quanto il sopralluogo del (OMISSIS) aveva permesso di accertare che il bene era stato ampliato di soli mq. 6 ed era stato adibito a sgabuzzino e che solo in un successivo sopralluogo eseguito nel (OMISSIS) si era accertata l’avvenuta trasformazione del locale in mini appartamento in violazione della disciplina che prevedeva il rilascio del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica, mediante lo sfruttamento della falsa sanatoria in precedenza conseguita.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo la mancata assunzione di prove decisive nonchè mancanza e/o contraddittorietà della motivazione sul punto, per avere il tribunale prima e la Corte dopo immotivamente escluso la prova testimoniale articolata, diretta fra l’altro a dimostrare che la trasformazione era stata effettuata prima del rilascio della concessione in sanatoria e quindi l’insussistenza del falso all’epoca della realizzazione dei lavori.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza del motivo.

Effettivamente il prevenuto aveva chiesto di provare che all’epoca della istanza della concessione in sanatoria, aveva stipulato un contratto preliminare con la società proprietaria dell’immobile e quindi aveva la disponibilità dell’immobile. Di conseguenza aveva potuto eseguire l’ampliamento oggetto della concessione in sanatoria.

La prova è stata legittimamente ritenuta irrilevante dal tribunale.

In primo luogo perchè nel documento oggetto della contestazione del reato di falso l’imputato non si era limitato a dichiarare di avere la materiale detenzione dell’immobile, ma si era qualificato proprietario esclusivo per potere giustificare il diritto alla trasformazione del locale, circostanza quest’ultima non corrispondente al vero. In secondo luogo perchè da documenti di fede privilegiata ossia dai verbali di sopralluogo redatti dai funzionari del Comune era emerso che i lavori di trasformazione erano stati effettuati in epoca successiva al rilascio della concessione in sanatoria.

Il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello può essere anche implicito e può desumersi dal contenuto della decisione. Invero,secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la rinnovazione, ancorchè parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Ne deriva che mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento.(cfr per tutte Cass 15320 del 2010; n 47095 del 2009: n 8891 del 2000) Nella fattispecie la Corte,richiamando sul punto anche la decisione di primo grado (le motivazioni delle due sentenze essendo conformi si integrano a vicenda) ha accertato e dato atto che il primo marzo del 1995 il prevenuto presentò al Comune di Roma una domanda di autoirizzazione in sanatoria per l’ampliamento di mq 30 asseritamente effettuato nel locale cassone tra il (OMISSIS).

Successivamente, invitato a presentare documentazione integrativa, il (OMISSIS), depositò un atto nel quale si dichiarò proprietario unico del bene. Entrambe le affermazioni in ordine alla data dell’ampliamento ed alla titolarità del locale sono risultate inequivocabilmente false sulla base di atti pubblici facenti fede fino a querela di falso. Invero,per quanto concerne l’epoca dell’ampliamento,nel sopralluogo effettuato dal geometra comunale il (OMISSIS), emerse che non v’erano lavori in corso ma in tempi pregressi era stato effettuato un ampliamento di soli sei mq .

Fu effettuato un secondo sopralluogo il (OMISSIS) nel quale emerse che allora erano in corso opere di rifacimento degli intonaci,realizzazione di un angolo cottura, impianto di riscaldamento, ecc.. Di conseguenza appare evidente che i lavori di ampliamento per trasformare il locale cassoni in un mini appartamento non esistevano al momento della richiesta della concessione in sanatoria.

Per quanto concerne la titolarità del bene. Come dianzi precisato, il (OMISSIS), il prevenuto aveva prodotto un atto notorio nel quale si era dichiarato proprietario unico del bene. Invece, all’epoca, tale bene apparteneva alla società Flavia 90 s.r.l nella quale il prevenuto non svolgeva alcun ruolo. Solo il (OMISSIS) successivo l’immobile venne trasferito alla moglie ed alla figlia del prevenuto.

Sulla base di tale inequivocabile documentazione pubblica appare evidente l’inutilità della prova sollecitata dall’imputato.

L’inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza del motivo impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni munite di questa Corte con la sentenza del 22 novembre del 2000. De Luca.

Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p., DICHIARA inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *