T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 28-06-2011, n. 959 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Legambiente ed alcuni cittadini di Toscolano Maderno impugnano gli atti di approvazione del programma integrato d’intervento denominato Borgo +39 S., che ha ad oggetto la trasformazione urbanistica di un’area industriale dismessa di circa 17.900 mq (edificata per una volumetria pari a 32.684 mc) e di un’area di proprietà comunale di 38.600 mq costituita dal campo da calcio e da un adiacente parco, area collocata quasi sulle rive del lago di Garda, e destinata ad essere sostituita negli intendimenti dell’amministrazione comunale con un insediamento turistico costituito da circa 200 nuovi appartamenti, una struttura alberghiera da 4.000 mc., un doppio parcheggio interrato ed attrezzature pubbliche a servizio, con un aumento (calcolato dai ricorrenti) del 70% della volumetria esistente.

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 14 e 92 l.r. 12/05 in quanto il piano avrebbe dovuto essere approvato entro il termine di 60 gg. dalla scadenza delle osservazioni;

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 16 co. 3 l. 1150/42 e del d.lgs. 42/04 perché il piano è stato approvato senza il parere della Soprintendenza, che è necessario in caso di trasformazione urbanistica di area sottoposta a vincolo;

3. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 4 l.r. 12/05 e della direttiva 2001/42/CE, in quanto la procedura di screening per la esclusione della valutazione ambientale strategica si sarebbe svolta a valle del processo decisionale (e segnatamente dopo la prima adozione, poi revocata, del piano), mentre una corretta lettura delle norme comunitarie avrebbero imposto si svolgesse a monte;

4. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 4 l. r. 12/05 e del d.lgs. 152/06, in quanto è stato individuata come autorità competente per la valutazione ambientale strategica lo stesso funzionario (ing. Nicola Zanini) responsabile del procedimento di approvazione del programma integrato d’interevento;

5. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 91 l.r. 12/05 in quanto i documenti allegati al progetto non sarebbero rispettosi delle indicazioni della delibera di giunta regionale 6/44161 (mancherebbe ad esempio il planivolumetrico in scala 1:1.000; le simulazioni tridimensionali contestualizzate, lo schema tipologico degli edifici) e la delibera di consiglio comunale che ha prescritto dei documenti diversi dovrebbe essere disapplicata in quanto viziata da incompetenza funzionale (il potere di indicare documenti diversi da quelli previsti dalla giunta regionale spetterebbe ex lege alla giunta comunale, non al consiglio);

6. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 18 e 92 l.r. 12/05 e dell’art. 29 n.t.a. P.T.C.P. della Provincia di Brescia, in quanto la Provincia di Brescia aveva espresso un parere favorevole condizionato al recepimento di prescrizioni (si chiedeva, ad esempio, la rivisitazione del peso insediativo del progetto per contenere l’impatto visivo di blocchi di edifici non coerenti con l’assetto paesistico) che sono state disattese dall’amministrazione comunale nell’approvazione definitiva del piano;

7. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 12, 16, 21 piano territoriale parco regionale dell’Alto Garda bresciano, in quanto il parere favorevole espresso dalla Comunità montana sarebbe nella sostanza contrario, perché la stessa rileva che non è possibile comprendere gli effetti del piano sulla qualità del territorio posto che il progetto è in realtà un metaprogetto non ancora compiutamente sviluppato;

8. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 146, co. 3, d.lgs. 42/04 per il macroscopico travisamento del fatto nella valutazione dell’incidenza paesistica del progetto, cui viene attribuita una incidenza paesistica bassa;

9. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 25 l.r. 12/05 in quanto la norma transitoria in parola vieta di approvare programmi integrati d’intervento in variante ad eccezione di quelli che prevedono infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico di carattere strategico ed essenziali per la riqualificazione dell’ambito territoriale, mentre nel caso in esame non ci si sarebbe preoccupati di chiarire quali sono le infrastrutture che il programma si propone di realizzare;

10. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione della l.r. 12/05 in quanto il Comune in sede di approvazione ha introdotto delle modifiche sostanziali (è stata prevista la possibilità di realizzare una struttura alberghiera di 5.000 mq di slp) ed avrebbe dovuto quindi ripubblicare il piano.

Si costituivano in giudizio il Comune di Toscolano Maderno, la Provincia di Brescia, la Regione Lombardia, la S. srl, che deducevano l’inammissibilità del ricorso (per mancanza di legittimazione di Legambiente regionale, nonché di Legambiente nazionale in quanto costituita attraverso il presidente regionale per clausola statutaria attribuzione non prevista dall’art. 18 l. 349/86, nonché per mancanza di legittimazione ed interesse dei cittadini ricorrenti), e comunque l’infondatezza dei relativi motivi.

Nessuno si costituiva per le altre parti convenute in giudizio.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 25. 5. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I. Preliminarmente, le eccezioni di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti – presentate sia dalla Provincia di Brescia che dalla controinteressata – non sono fondate.

Le eccezioni sono state proposte sia contro la legittimazione di Legambiente onlus, sia contro la legittimazione di Legambiente Lombardia, sia contro i singoli cittadini di Toscolano Maderno che hanno ritenuto di presentare ricorso.

Però:

– le questioni che hanno ad oggetto Legambiente Lombardia sono inconferenti, perché questo ricorso è presentato dall’associazione nazionale Legambiente, e non dalla sua articolazione locale. L’intestazione del ricorso reca infatti "Legambiente con sede in Roma – via Salaria 403" e non reca alcun riferimento a Legambiente Lombardia. E’ solo il mandato difensivo apposto a margine che cita anche Legambiente Lombardia, in quanto è sottoscritto da "Cosimo Damiano Di Simone, in qualità di presidente di Legambiente lombardia onlus, nonché di rappresentante legale in giudizio anche di Legambiente onlus ex art. 24 dello Statuto".

Ma, a prescindere dalla doppia qualità di chi firma il mandato, l’associazione si costituisce in giudizio soltanto nella sua struttura nazionale, e non nella articolazione locale, essendo sul punto decisiva la intestazione del ricorso;

– le questioni che hanno ad oggetto Legambiente nazionale non sono fondate in quanto in esse si sostiene che la stessa non si potrebbe costituire attraverso il presidente regionale per clausola statutaria, che non può allargare la attribuzione di legittimazione ex lege prevista dall’art. 18 l. 349/86 (e si cita a sostegno il precedente di questo Tribunale 4456/2010).

In realtà, il precedente citato riguardava una costituzione in giudizio di Legambiente Lombardia, e non dell’associazione nazionale, e sosteneva che la clausola statutaria che attribuisce legittimazione anche ai presidenti locali non può servire ad estendere la legittimazione ex art. 18 l. 349/86 a soggetti diversi da quelli iscritti nell’elenco (e Legambiente Lombardia è soggetto diverso da Legambiente nazionale).

Nel caso in esame, in cui il ricorso è presentato da Legambiente nazionale, però, questa giurisprudenza non è conferente, in quanto la clausola statutaria che attribuisce rappresentanza legale dell’associazione nazionale ai vertici locali non ha allargato affatto la legittimazione ex lege ad una persona giuridica diversa da quella prevista dall’elenco (perché Legambiente nazionale era legittimata a ricorrere, ed è Legambiente nazionale che ricorre), ma solo ad una persona fisica diversa dal presidente nazionale. E resta una mera questione interna alla persona giuridica legittimata ex lege (Legambiente nazionale) stabilire quali debbano essere le persone fisiche legittimate a rappresentarla in giudizio;

– le questioni che hanno ad oggetto la legittimazione di singoli abitanti di Toscolano Maderno che hanno presentato il ricorso come coricorrenti non sono fondate, perché esse partono dal rilievo che trattandosi di soggetti che risiedono in aree comunque esterne al perimetro del programma integrato d’intervento (non sono certo né i proprietari, né i custodi dell’area industriale dismessa) non sarebbero direttamente incisi dallo stesso, se non come disagio dovuto alla durata dei lavori e per la minore vivibilità del contesto a causa dell’incremento insediativo che però la controinteressata sostiene essere indimostrata.

In realtà, non è seriamente discutibile che i cittadini di Toscolano Maderno possano agire in giudizio contro la presentazione del programma integrato d’intervento in parola. Premesso che legittimazione ed interesse a ricorrere si esauriscono nella mera affermazione (e non nella prova) della necessità di tutela giurisdizionale derivante dalla lesione di un proprio interesse, perché legittimazione ed interesse non sono altro che modalità della domanda giudiziale, ma non attengono ancora al merito, si discute in questo giudizio in ogni caso di una trasformazione urbanistica che porterà alla realizzazione di 200 nuovi appartamenti e di una struttura alberghiera da 4.000 mc. La maggiore antropizzazione di un territorio determinata dall’aumento del carico urbanistico, generando l’obbligo per chi era già insediato sul territorio di dividere standard e servizi con i nuovi arrivati (Toscolano Maderno attualmente ha circa 7.000 abitanti, la creazione di 200 appartamenti potrebbe portare all’aumento anche del 10% del numero di persone che gravitano sull’area) e di patire la presenza di altre fonti di rumori e polveri, induce a ritenere sussistente l’interesse al ricorso di chi agisce contro il provvedimento che determina tale aumento del carico (in senso analogo, cfr. T.r.g.a. Trento 46/2010, in cui si sostiene che "sono legittimati all’impugnazione coloro che possono lamentare una pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio per effetto della realizzazione dell’intervento controverso").

II. Nel merito, il ricorso è fondato.

III. Si ritiene in particolare di affrontare il secondo motivo di ricorso in cui si deduce la violazione dell’art. 16 co. 3 l. 1150/42 perché il piano è stato approvato senza adottare il parere della Soprintendenza che è necessario in caso di trasformazione urbanistica di area sottoposta a vincolo.

Si ricorda che si tratta di un’area posta pressoché sulle rive del lago di Garda, dell’estensione di circa 17.900 mq., più altra area ad essa contigua di 38.600 mq., che verrà completamente stravolta (ed auspicabilmente migliorata, visto che una parte di essa è costituita da un’attività industriale dismessa) dalla costruzione di 200 appartamenti con palazzine di 5 piani fuori terra, oltre alberghi, oltre parcheggi, e servizi. Le forme dell’antropizzazione delle sponde del lago di Garda nel territorio di Toscolano saranno completamente riscritte dall’intervento in parola, così come cambierà a seguito di esso la forma del paesaggio di quel tratto di Garda bresciano.

Eppure per un intervento del genere, su area sottoposta a vincolo di tutela paesaggistica, non è stato acquisito alcun parere della Soprintendenza, parere che la proprietà ritiene di dover chiedere solo in occasione della richiesta dei singoli interventi edilizi (cioè quando la Soprintendenza potrà soltanto salvare il salvabile, limitandosi a contestare la forma architettonica dei singoli fabbricati, ma senza poter più incidere sulle volumetrie previste e sull’impianto complessivo della trasformazione urbanistica).

In ricorso si sostiene che la mancata richiesta di parere della Soprintendenza sarebbe illegittima ai sensi dell’art. 16 l. urbanistica, il cui co. 3 dispone in effetti che "i piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposti alla competente Soprintendenza ovvero al Ministero della pubblica istruzione quando sono approvati con decreto del ministro per i lavori pubblici".

La norma dell’art. 16, co. 3, citata cita espressamente i "piani particolareggiati", che era la tipologia di strumento urbanistico che nella impostazione del legislatore della legge urbanistica era diretto a dettare concretamente l’assetto dei suoli. Va quindi preliminarmente verificato se essa sia applicabile anche alle numerose tipologie di piani attuativi in variante previsti dalla legislazione successiva, ed in particolare ad un piano integrato di intervento, quale quello in esame.

I programmi integrati di intervento, infatti, non esistevano nel momento in cui è stata dettata la previsione dell’art. 16 legge urbanistica della cui applicazione di controverte, e sono stati istituiti dalla l. 17 febbraio 1992, n. 179, importando nell’ordinamento italiano un modello mutuato da quello dell’amendment statunitense, che va quindi nella direzione dell’urbanistica contrattata, e sono stati definiti "come strumenti urbanistici di secondo livello rispetto al p.r.g., con finalità di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale del territorio, e sono caratterizzati tra l’altro, dall’integrazione di differenti tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione. In particolare, essi mirano ad obiettivi di riqualificazione dei tessuti urbani, anche in relazione all’aspetto ambientale, mediante un insieme coordinato di interventi e risorse, pubblici e privati" (Tar Lombardia, Milano, II, 28 marzo 2007, n. 1241).

Nel senso che la previsione dell’art. 16, co. 3, sui piani particolareggiati debba essere ritenuta applicabile anche ai piani attuativi previsti dalle leggi speciali successive si è già espresso questo Tribunale, sede di Milano, II, 6541/07, secondo cui "il piano particolareggiato era in origine previsto per dare attuazione alle previsioni contenute nello strumento urbanistico generale senza che le fosse riconosciuta la possibilità di apportare variazioni al piano regolatore generale. La prassi di utilizzare tale strumento pianificatorio, anche in ragione della sua scarsa flessibilità, è poi venuta scemando quando, con il PRG, le amministrazioni comunali hanno cominciato ad inserire prescrizioni conformative della proprietà privata e quindi autoesecutive. Da qui la sostituzione nella prassi di tale strumento con i piani attuativi ai quali la normativa statale ha riconosciuto la possibilità, come detto, di apportare variazioni alla pianificazione generale sostituendosi, di fatto, alla pianificazione particolareggiata. Ad ogni modo, sia il piano attuativo che quello particolareggiato condividono la stessa ratio e natura atteso che tali strumenti hanno la funzione, oltre che di attuazione delle prescrizioni conformative della proprietà privata contenute nel PRG ovvero nella variante contenuta nello stesso piano, di regolamentare la gestione dell’attività di trasformazione del territorio. In ragione di ciò, non sembra dubitabile che l’art. 16, comma 3, della Legge n. 1150/1942, sebbene riferita espressamente ai piani particolareggiati, vada applicata anche nel caso dell’approvazione dei piani attuativi in variante, proprio in ragione della medesima funzione che svolgono e della loro alternatività".

Nello stesso senso si è espresso, con riferimento ad un piano di recupero, Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 1531/97, secondo cui "qualora le aree inserite in un piano di recupero siano dichiarate di notevole interesse pubblico e sottoposte a vincolo ex l. n. 1497 del 1939, è necessario ai fini dell’approvazione del piano il parere della competente soprintendenza che deve essere emesso entro 2 mesi dalla richiesta".

III. 1. Posta, pertanto, la applicabilità della norma dell’art. 16, co. 3, legge urbanistica alle varie tipologie di piani attuativi, anche in variante, previsti dalla legislazione speciale, che ha integrato il sistema piano regolatore /piano particolareggiato previsto dalla legge urbanistica, occorre affrontare gli argomenti introdotti dalla controinteressata che contestano l’applicabilità in concreto di tale norma al piano integrato d’intervento di cui è causa.

Gli argomenti introdotti sono i seguenti:

– l’art. 16 co. 3 l.u. sarebbe superato dal d.lgs. 42/04 che ha approvato una disciplina organica di gestione dei vincoli che non prevede nessun parere sui piani attuativi;

– in subordine, se anche fosse ancora applicabile tale norma, non dovrebbe ammettersi l’estensione ai PII in quanto essi presentando caratteristiche di specialità rispetto ai piani attuativi,

– in ulteriore subordine, nella sola regione Lombardia non sarebbe applicabile l’autorizzazione preventiva della Soprintendenza;

– in ulteriore ed estremo subordine, una circolare del 1967 del Ministero L.P. stabiliva che i piani andavano sottoposti al controllo ex art. 16 dopo la loro approvazione, e quindi non poteva essere viziato ciò che c’era stato prima.

In realtà, questi argomenti non possono essere condivisi.

III. 2. L’approvazione del d.lgs. 42/04 non è una ragione sufficiente per ritenere implicitamente superata una norma ancora attualmente vigente quale quella dell’art. 16, co. 3, legge urbanistica.

Una norma più risalente può essere implicitamente abrogata da una norma successiva quando vi è un contrasto tra l’una e l’altra, in applicazione del criterio cronologico, che è uno dei criteri attraverso cui vengono risolte le antinomie presenti nell’ordinamento. Ma occorre pur sempre dimostrare che vi sia un contrasto tra le due norme, perché altrimenti il criterio di soluzione delle antinomie non scatta.

Nel caso in esame, non è stata individuata alcuna specifica norma del d.lgs. 42/04 con cui l’art. 16, co. 3, legge urbanistica si porrebbe in antinomia, ma è stato sostenuto che il contrasto sussisterebbe con l’impostazione generale del Codice dei beni culturali.

Già così l’asserita antinomia diventa molto labile, finendo per pretendere la disapplicazione di una norma vigente come quella dell’art. 16 sulla base di un generico e soggettivo contrasto con la impostazione di fondo di altra normativa.

Inoltre, se l’antinomia sussiste non con una specifica norma, ma con l’impostazione generale di un intero Codice, a quel punto essa potrebbe essere risolta, anziché applicando il criterio cronologico, mercè l’applicazione del principio di specialità, che porta a ritenere comunque applicabile la legge speciale, quale nel caso di specie sarebbe l’art. 16 che sopravviverebbe pertanto all’entrata in vigore del d.lgs. 42/04.

Da ultimo, occorre considerare che non si comprende come l’approvazione del d.lgs. 42/04 possa aver mutato i termini della questione. Il d.lgs. 42/04 è solo la codificazione di alcune normative (segnatamente, quelle che interessano i beni paesaggistici sono la l. 1497/39 e la l. 431/85), che prevedevano già l’autorizzazione dei singoli interventi edilizi che incidono su beni paesaggistici, e che coesistevano con la norma dell’art. 16, co. 3, che chiedeva a monte l’autorizzazione anche sui progetti urbanistici. Non si vede perché con la codificazione questa doppia tutela debba essere venuta meno, limitandola solo alla meno incisiva tutela sul solo progetto edilizio (a parametri urbanistici ormai dati).

III. 3. Né è corretto l’argomento che la norma dell’art. 16, co. 3, l. urbanistica sia stata implicitamente abrogata dalla normativa regionale lombarda. Sul punto, per il vero, si è già pronunciato questo Tribunale, sede di Milano, sez. II, 6541/07 che si era posto il problema "di verificare se la L.R. n. 12/2005 contempli una disciplina diversa rispetto a quella statale con riferimento ai piani particolareggiati e agli strumenti attuativi. Ora, sebbene la normativa regionale detti una disciplina dei piani attuativi comunali, nulla dice in ordine al regime di approvazione di strumenti urbanistici nei quali siano ricompresi immobili di interesse storico – artistico ovvero soggetti alla legge n. 1497/1939 sulla protezione delle bellezze naturali, tanto che, in ragione del principio di "autocompletamento" dell’ordinamento giuridico, deve ritenersi ancora applicabile alla fattispecie in esame l’art. 16, comma 3, della legge n. 1150/1942. A ciò si aggiunga che l’art. 103 della L.R. n. 12/2005 (rubricato "disapplicazione di norme statali") non contempla tra le normative da disapplicare la legge n. 1150/1942 ma si limita a richiamare alcune norme del DPR n. 327/2001 e del DPR n. 380/2001, il che depone a ulteriore favore del fatto che la legge urbanistica statale costituisce ancora normativa fondamentale sul punto che può essere derogata nel caso in cui la legislazione regionale rechi una disciplina generale ed esaustiva della materia di che trattasi".

La normativa regionale della Lombardia, pertanto, non contiene deroghe alla legge urbanistica.

Va, peraltro, aggiunto che – diversamente da come sembrerebbe concludere il Tribunale milanese – in ogni caso una eventuale norma regionale derogatoria dell’art. 16, co. 3 (e quindi una norma regionale che decida di sopprimere un controllo di un organo statale a tutela del paesaggio nel procedimento di pianificazione, demandato per il resto agli enti territoriali), rischierebbe di essere giudicata incostituzionale, in quanto finirebbe con il dettare previsioni di minor tutela su materia riservata alla competenza legislativa dello Stato, operazione già giudicata incostituzionale in diverse pronunce (cfr. per tutte Corte Cost. 182/06: "La tutela tanto dell’ambiente quanto dei beni culturali è riservata allo Stato….: da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, e, dall’altro, le leggi regionali, emanate nell’esercizio di potestà concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato. Appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l’intervento normativo statale o regionale di maggior protezione dell’interesse ambientale").

III. 4. Non si può neanche sostenere – come fa la difesa del controinteressato – che il piano integrato d’intervento avrebbe caratteristiche di specialità tali da sottrarlo alla disciplina dettata per gli altri piani attuativi. L’obiezioni si fonda su una frase riportata nella sentenza Tar Milano 6541/07 più volte citata, secondo cui l’art. 16, co. 3, sarebbe applicabile per tutti piani attuativi, salvo che non siano previste discipline speciali. Il passaggio della motivazione della sentenza citata non è altro che ricognitivo dell’elementare principio di specialità sulla soluzione delle antinomie esistenti nell’ordinamento, per cui se da qualche parte è prevista una norma speciale derogatoria si applica la norma speciale.

Ma nella normativa sui piani attuativi non è prevista alcuna norma speciale derogatoria, ed in ricorso la specialità del piano integrato d’intervento la si vorrebbe ricavare dalle peculiarità della sua struttura, il che pare francamente tirato.

Senza considerare che, come evidenziato da Cons. Stato, sez. IV, 3889/06, "il programma integrato di intervento di cui alla l. reg. Lombardia 12 aprile 1999 n. 9 è uno strumento urbanistico di secondo livello rispetto al piano regolatore generale, ha la finalità di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale del territorio ed è caratterizzato dalla presenza di una pluralità di funzioni, dall’integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione capace di incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di risorse finanziarie pubbliche o private; l’ampiezza di funzioni e di contenuti, pertanto, ne definisce la peculiarità rispetto ad altri strumenti di pianificazione ad orientamento settoriale, mirando ad obiettivi di riqualificazione dei tessuti urbani, anche con riguardo all’aspetto ambientale, mediante un insieme coordinato di interventi e risorse, pubblici e privati, incidenti anche sulle opere di urbanizzazione e la dotazione degli standards".

Si tratta cioè di un piano che ha caratteristiche molto più invasive di altri, e che ha come conseguenza proprio la riqualificazione urbanistica di un’area con conseguenza tali sull’ambiente da rendere – al contrario – particolarmente appropriata la necessità di un parere preventivo della Soprintendenza.

III. 5. Da ultimo, la difesa del controinteressato sostiene che la circolare del 28. 10. 1967 del Ministero L.P. stabiliva che i piani andavano sottoposti al controllo ex art. 16 dopo la loro approvazione, previsione da cui si ricaverebbe che quindi comunque non potrebbero essere viziati gli atti impugnati che erano ad essi precedenti.

In realtà, questo argomento non è corretto. L’art. 16, co. 3, afferma esplicitamente che i piani sono preventivamente sottoposti alla competente Soprintendenza. Una circolare interpretativa che va in senso diverso dall’esplicito dettato della norma non può assumere alcun valore interpretativo.

IV. Restano assorbiti gli ulteriori motivi formulati in ricorso. Infatti, "nel giudizio amministrativo, l’accoglimento di una censura, che sia in grado di provocare la caducazione dell’atto impugnato, fa venire meno l’interesse del ricorrente all’esame degli altri motivi da parte del giudice e la potestà di questi di procedere a tale esame, autorizzando la dichiarazione di assorbimento" (Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4829).

V. Le spese seguono la soccombenza (che viene addossata soltanto al Comune di Toscolano Maderno ed alla S. immobiliare srl, in quanto le altre amministrazioni resistenti hanno posto in essere solo pareri endoprocedimentali, ma non hanno avuto alcun ruolo nella decisione di procedere anche senza aver acquisito il parere della Soprintendenza; sono pertanto compensate le spese tra ricorrenti e Regione Lombardia e Provincia di Brescia, pur soccombenti in giudizio, che sopporteranno le spese della propria attività difensiva senza però doverle rifondere ai vincitori; la S. immobiliare è coinvolta invece nel giudizio di soccombenza in quanto soggetto che ha ricevuto un interesse economico dall’indebita accelerazione e semplificazione della procedura amministrativa) e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

CONDANNA il Comune di Toscolano Maderno e la S. immobiliare srl, in solido tra loro, al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di lite, che determina in euro 3.000, oltre i.v.a. e c.p.a. (se dovuti).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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