Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-06-2011, n. 25204

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 29.10.2009 il Tribunale di Cremona condannava S.R.G., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena (condonata) di Euro 2.000,00 di multa per il reato di cui alla L. n. 22 del 1997, art. 51 "perchè in qualità di titolare dell’omonima azienda agricola, effettuava attività di smaltimento rifiuti, costituiti da materiale plastico, carta, cartoni, mediante incenerimento in carenza di autorizzazione".

Riteneva il Tribunale che l’attività di incenerimento del materiale di cui all’imputazione fosse estranea alla normale attività di impresa agricola e pertanto configurasse il reato contestato.

2) Avverso la predetta sentenza proponevano appello i difensori dell’imputato, chiedendo l’assoluzione del medesimo perchè il fatto non costituisce reato o con altra formula. Erroneamente, secondo il primo giudice, qualsiasi attività di bruciamento, posta in essere nell’ambito di un’azienda agricola, costituisce smaltimento di rifiuti, non tenendosi conto che è sempre invalsa la prassi di bruciare legna e sterpaglia. L’imputato si è comportato secondo i principi della conduzione agraria senza porre in essere, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, alcuna fattispecie criminosa.

Il modesto bruciamento non atteneva a rifiuti propriamente detti (essendo parte della conduzione agricola), mentre il materiale da smaltire era stato accantonato in attesa di trasporto in discarica;

2.1) Essendo la sentenza inappellabile, la Corte di Appello di Brescia trasmetteva gli atti ex art. 568 c.p.p., comma 5 a questa Corte.

3) L’impugnazione "risente" palesemente del fatto che si intendeva proporre appello. Si propongono infatti censure di merito in ordine alla "natura" del materiale oggetto del "bruciamento".

Il Tribunale sulla base delle risultanze processuali, ed in particolare della testimonianza dell’ufficiale di p.g. P. e dei rilevi fotografici, ha accertato che si trattava di una catasta di residui, comprensivi di plastica e cartoni relativi a socchi di cemento, materiale questo certamente estraneo alla normale attività di impresa agricola. A prescindere quindi dalla legittimità dell’uso del fuoco in agricoltura, nel caso di specie ci si trovava, secondo il Tribunale, in presenza di un’attività non consentita, per cui era configurabile il reato contestato sotto il profilo oggettivo e soggettivo (trattandosi di contravvenzione è sufficiente la colpa).

Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. E’ necessario cioè accertare se nell’interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità:

la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.

Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).

3.1) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p.;

3.1.1) Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare la prescrizione, maturata successivamente alla sentenza impugnata. Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent. n. 23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perchè contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art. 606, comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale".

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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