Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-06-2011, n. 25196 Diritti d’autore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Napoli,con sentenza del 26 settembre del 2008, confermava quella resa con il rito abbreviato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere,in data 3 novembre del 2005, con cui M. G. era stato condannato alla pena ritenuta di giustiziatale responsabile del delitto di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, lett. a), per avere detenuto al fine di venderli 400 CD e 3 DVD illecitamente duplicati e privi del contrassegno della SIAE. Fatto accertato in (OMISSIS);

Il M. era stato sorpreso su una pubblica via mentre offriva in vendita ai passanti i CD ed i DVD illecitamente duplicati e privi del contrassegno della SIAE. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo: 1) la violazione dell’art. 171 ter, lett. d), per avere la corte omesso di considerare che a seguito della sentenza della Corte di Giustizia Europea dell’8 novembre del 2007, pronunciata nel processo Schwibbertre delle sentenze di questa Corte del 12 febbraio del 2008 (cfr per tutte la n 13816 del 2008), il reato di cui all’art. 171 ter, lett. d), che si fonda sull’omessa applicazione del contrassegno della SIAE, non sussiste per l’omessa comunicazione alla Commissione Europea del regolamento contenente l’obbligo del contrassegno, il quale obbligo costituisce una regola tecnica e,come tale, in base alla direttiva Europea 83/189/CEE del 28 marzo del 2003, andava comunicato alla Commissione Europea; la mancata comunicazione rende l’obbligo di apposizione del contrassegno inopponibile al privato;

la violazione dell’art. 171 ter, comma 2, lett. a), per l’insussistenza dell’ipotesi prevista dal citato articolo, in quanto, per la configurabilità di tale reato, non è sufficiente la detenzione per la vendita di oltre cinquanta copie,ma è necessario che vi sia un effettivo atto di vendita, atto che è carente nella fattispecie perchè l’unica persona trovata sul posto era l’imputato.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi In proposito occorre anzitutto puntualizzare che al prevenuto non sono state contestate due ipotesi criminose ossia quelle di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) e d), comma 1, ma un solo reato e precisamente quello di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a), per il quantitativo dei supporti messi in commercio.

Nella sua formulazione originaria il comma 2, dell’articolo dianzi citato prevedeva una mera circostanza aggravante delle ipotesi delittuose contemplate nel comma 1, nel caso in cui una delle condotte ivi previste fosse stata di rilevante gravità. L’articolo è stato poi completamente riscritto con la L. n. 248 del 2000, e ulteriormente modificato da una serie di interventi successivi.

Attualmente il secondo comma dell’articolo in questione sanziona, con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da Euro 2582 a Euro 15.493 chiunque:

a) riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo o importa abusivamente oltre 50 copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi;

a-bis) in violazione dell’art. 16, a fini di lucro, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualunque genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa;

b) esercitando in forma imprenditoriale attività di riproduzione, distribuzione, vendita o commercializzazione, importazione di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi, si rende colpevole dei fatti previsti dal comma 1;

c) promuove o organizza le attività illecite di cui al comma 1.

Diversamente da quello che era il contenuto dell’originaria formulazione, non possono sussistere dubbi circa il fatto che il secondo comma dell’articolo in esame contenga attualmente delle fattispecie autonome di reato e non solo delle circostanze aggravanti dei reati previsti dal comma 1. Invero, accanto a delle disposizioni la cui struttura ricalca quella delle circostanze aggravanti (ci si riferisce in particolare alle ipotesi previste dalle lett. b) e C) della disposizione), la norma in esame contempla infatti figure criminose che non sono assolutamente richiamate dal comma 1, e che, di conseguenza, non possono in alcun modo essere ritenute elementi meramente accessori di una delle condotte già previste dalla fattispecie base del reato: si allude in particolare sia alla condotta di cui alla lett. a bis), che sotto il profilo materiale è del tutto diversa rispetto alle condotte descritte all’art. 171 ter, comma 1; che a quella di cui alla lett. a), che in relazione all’oggetto materiale del reato si riferisce a qualsiasi opera dell’ingegno protetta, mentre il comma 1, della disposizione riguarda sempre tipologie particolari e specifiche di opere.. La giurisprudenza di questa sezione è orientata a considerare quella di cui alla lettera A) un’ipotesi autonoma di reato (Cass., sez. 3^, 1.10.2003, n. 42190; Cass., sez. 3^, 1.7.2004, n. 38723).

Ciò precisato, si rileva che nella fattispecie non esplica alcuna effetto la sentenza della Corte di Giustizia Europea citata nel ricorso.

In proposito si osserva che la L. n. 633 del 1941, art. 181 bis, al comma 1, prevede da parte della SIAE (Società Italiana degli autori ed editori) l’apposizione di un contrassegno su tutte le opere destinate al commercio. Il comma 4, prevede che "I tempi, le caratteristiche e la collocazione del contrassegno sono individuati da un regolamento di esecuzione da emanare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dalla presente disposizione, sentite la SIAE e le associazioni di categoria interessate, nei termini più idonei a consentirne l’agevole applicabilità, la facile visibilità e a prevenire l’alterazione e la falsificazione delle opere. Fino alla data di entrata in vigore del predetto regolamento, resta operativo il sistema di individuazione dei tempi, delle caratteristiche e della collocazione del contrassegno determinatosi sotto la disciplina previgente…".

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.P.C.M. 11 luglio 2001, n. 338, modificato con D.P.C.M. 25 ottobre 2002, n. 296.

Sennonchè la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. 3^, in data 8 novembre 2007, nel procedimento C-20/05 Schwibbert, dopo avere premesso che la previsione dell’apposizione di un contrassegno costituisce una regola tecnica, ha stabilito che la normativa sul contrassegno in questione, essendo entrata in vigore dopo la direttiva del Consiglio del 28 marzo 1983 n 83/189/CE,modificata con la direttiva 98/34,la quale prevedeva una procedura d’informazione alla Commissione Europea nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, doveva essere preceduta dalla procedura d’informazione disciplinata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998(Direttiva n 98/34/CE) e che l’omessa comunicazione alla Commissione, rendeva la regolamentazione relativa al contrassegno inopponibile ai privati.

Sulla base di tale decisione da parte di questa Corte si è statuito che in tema di diritto d’autore, la non opponibilità ai privati della normativa sul contrassegno SIAE, quale effetto della mancata comunicazione della stessa alla Commissione Europea in adempimento della normativa comunitaria relativa alle "regole tecniche", nel senso affermato dalla Corte di Giustizia CE, comporta il venir meno unicamente dei reati caratterizzati dalla sola mancanza del contrassegno suddetto, continuando dunque ad essere vietata e sanzionata penalmente qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere dell’ingegno(cfr per tutte Cass. n. 34555 del 2008).

Nella fattispecie si è fatto riferimento alla mancanza del contrassegno non come elemento costitutivo del reato o come ipotesi autonoma di un diverso reato rispetto a quello di cui alla lettera e),ma unicamente come indizio della contraffazione,indizio che è stato utilizzato unitamente ad altri elementi per avvalorare la contraffazione stessa. Secondo il prevalente orientamento di questa Corte,la mancanza del contrassegno,pur se non tempestivamente comunicato,continua a mantenere valenza indiziaria della contraffazione (cfr Cass. n 34266 del 2008; n 129 del 2009). In proposito si deve sottolineare che nella prassi, sovente, si fa riferimento alla mancanza del contrassegno, non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla duplicazione o alla vendita di prodotti illecitamente duplicati, ma solo per evidenziare che la sua mancanza costituisce la riprova dell’illecita duplicazione. In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma perchè il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista e quindi la violazione di una norma contenente una regola tecnica, ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione o detenzione di supporti illecitamente duplicati.

L’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere sempre la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta.

Invero, la mancanza del contrassegno non dimostra sempre e comunque l’illecita provenienza del prodotto e ciò perchè il contrassegno, come risulta dall’articolo 181 bis terzo comma della legge sul diritto di autore, può non essere apposto su determinate opere indicate dalla legge o dallo stesso regolamento. Se però trattasi di opera sulla quale l’apposizione è obbligatoria, la mancanza assume valenza indiziaria in ordine all’illecita provenienza del supporto, ma non può da sola giustificare l’affermazione di responsabilità per l’illegittimità del contenuto perchè la presenza del contrassegno non dimostra in maniera univoca il rispetto della normativa sul diritto d’autore e,viceversa, la sua mancanza non evidenzia con altrettanta univocità la violazione delle norme sul diritto d’autore. Possono esservi infatti prodotti muniti del contrassegno che tuttavia violano il diritto d’autore (si pensi ai prodotti plagiati o commercializzati in numero superiore a quello consentito), viceversa vi possono essere prodotti privi del contrassegno ma non riprodotti o smerciati abusivamente dal titolare del diritto. Invero il contrassegno viene rilasciato secondo le modalità stabilite nel regolamento approvato con il D.P.C.M. n. 338 del 2001, recentemente modificato, in assenza di un esame approfondito circa la titolarità dei diritti – da parte di chi ne ha fatto richiesta. Tuttavia il contrassegno, pur potendo in ipotesi essere rilasciato a chi non ne ha diritto, nella stragrande maggioranza dei casi serve proprio a distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto e costituisce pertanto uno strumento spesso utilizzato dalla Polizia e dalla stessa Magistratura per distinguere il prodotto lecito da quello illecito. Il contrassegno per la legislazione italiana non ha solo lo scopo di condizionare la libera circolazione del prodotto,ma anche quello di favorire una rapida identificazione dei prodotti abusivi,assicurando così una tutela più incisiva e pronta alle violazioni del diritto d’autore. Ha quindi uno scopo più generale che è quello di facilitare la repressione di reati in materia di violazione dei diritti d’autore e tale scopo non contrasta con il diritto comunitario perchè non ostacola la legittima circolazione dei beni. Di conseguenza la decisione Schwibbert impone la disapplicazione della norma contenente l’obbligo del contrassegno allorchè tale elemento lo si utilizza per discriminare la libera circolazione del prodotto, ma non quando lo si valuti come indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, la illegittima duplicazione. Per tale ragione,secondo la giurisprudenza prevalente di questa sezionerà mancanza del contrassegno continua a mantenere valore indiziario in ordine alla prova dell’illecita duplicazione.

La diversa opinione comporterebbe la disapplicazione, non solo delle norme incentrate sull’obbligo dell’apposizione del contrassegno, ma anche di altre norme penali riguardanti la violazione sostanziale del diritto d’autore che non sono state in alcuno modo incise dalla pronuncia della Corte di Giustizia. Come prima accennato, la procedura d’informazione è rivolta a consentire alla Commissione di verificare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo ammissibile solo se necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale. Quindi le norme che contengono riferimenti al contrassegno SIAE devono essere disapplicate dal giudice italiano solo allorchè la sua apposizione venga considerata condizione indispensabile per la libera commercializzazione del prodotto perchè solo in tale caso la normativa statale si pone in contrasto con il diritto comunitario e non pure quando il contrassegno venga considerato indizio d’illecita duplicazione perchè tale valore indiziario essendo diretto a soddisfare più agevolmente la repressione di determinati reati essendo cioè diretto a soddisfare interessi più generali-e diversi da quelli attinenti alla libera circolazione dei beni nell’ambito comunitario non si pone in contrasto con la direttiva richiamata nella premessa.

Con riferimento al secondo motivo si rileva che è ben vero che la norma presuppone la vendita o la messa in commercio,ma è altrettanto certo che per la configurabilità del reato non è necessario che il reo venga sorpreso mentre vende il prodotto contraffatto,essendo sufficiente che dalle modalità del fatto possa desumersi la vendita o la messa in commercio,circostanze queste che nella fattispecie sono state desunte dal fatto che la merce era esposta per la vendita ad un mercato rionale (cfr sul tema per tutte Cass. n 9925 del 2009).

Invero il concetto di messa in commercio è più ampio di quello di vendita e significa immettere sul mercato un bene e favorirne la circolazione,anche attraverso l’esposizione e l’offerta in vendita al pubblico del bene stesso. D’altra parte questa Corte, in relazione ad altre fattispecie criminose,per le quali viene usata la stessa espressione,ha ritenuto che l’esposizione della merce per la vendita e l’offerta stessa integrino ipotesi di "messa in commercio". Si allude all’ipotesi di cui all’articolo 516 c.p. che contempla la messa in commercio di sostanze alimentari non genuine (cfr Cass. n 6667del 1998).

La tesi,in passato sostenuta da questa Corte,che per la configurabilità del reato in esame,era necessario un effettivo atto di vendita (cfr Cass. n 12149 del 2000; 28411 del 2004), si fondava essenzialmente sul raffronto tra le ipotesi di cui al comma primo lett. c) e d), che contemplano anche la detersione a fini di vendita,e quelle di cui al comma 2, che prevedono invece solo la vendita. Tale diversità secondo tali decisioni indicava un precisa scelta del legislatore di sanzionare più gravemente solo gli atti effettivamente lesivi del bene giuridico riservando un trattamento più mite alle ipotesi che costituiscono una mera anticipazione della vendita. Trattasi di argomentazione discutibile perchè non esiste una differenza di disvalore tra la detersione per la vendita di cui al primo comma e la vendita di cui al comma 2, tanto è vero che la disposizione di cui al comma 2, comprende espressamente la duplicazione e la riproduzione,le quali,al pari della condotta di detenzione per la vendita,sono anch’esse condotte antecedenti l’effettiva lesione del bene protetto,sono cioè condotte anticipatrici della vendita o messa in commercio.

Inoltre, come sostenuto dalla dottrina, non si può ricostruire nella materia in esame l’effettiva volontà del legislatore sulla base del raffronto tra le disposizioni di cui al comma 1 e quelle di cui all’art. 171 ter, comma 2, giacchè per le numerose manipolazioni subite dalla norma in esame si deve essere cauti nell’attribuire rilievo all’indicazione o alla mancata indicazione di un termine o di una proposizione. Limitando l’analisi alla norma in questione si può ad esempio osservare che il comma 1, lett. c), contempla la messa in commercio, ma non anche la vendita a differenza di quanto invece previsto dalla lett. d), che contempla sia la vendita che la messa in commercio Sarebbe errato però far discendere dalla mancata indicazione della vendita una diversità di trattamento essendo chiaro che, tra le condotte descritte nella lett. c),anche la vendita, ancorchè non menzionata, è sanzionata perchè chiaramente compresa nel più ampio concetto di messa in commercio. Continuando nell’esemplificazione si richiama il comma 1, lett. a), la quale prevede la duplicazione accanto alla riproduzione,mentre la lettera b) contempla solo la riproduzione. Anche in tal caso però non si potrebbe sostenere che il legislatore abbia voluto escludere la rilevanza penale della duplicazione perchè i termini duplicazione e riproduzione sono spesso utilizzati come sinonimi ed in ogni caso, anche a volere ritenere che la duplicazione esprima un concetto più ristretto rispetto alla riproduzione, è comunque compresa nel più ampio concetto di riproduzione,come la vendita è compresa nel più ampio concetto di messa in commercio.

Il reato contestato è quindi pacificamente configurabile.

L’inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza dei motivi impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni munite di questa Corte con la sentenza del 22 novembre del 2000. De Luca.

Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p..

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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