T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 29-06-2011, n. 939 Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente espone di essere titolare di una ditta di vendita all’ingrosso di alimenti e bevande, avente sede nella zona industriale di Vibo Valentia e, svolgendo anche l’attività di rappresentante, di ricevere direttamente numerosi pagamenti da parte di clienti, trovandosi, di conseguenza, a maneggiare ingenti somme di denaro contante.

Aggiunge il ricorrente di fermarsi spesso fino a tarda sera presso la sede dell’azienda, che si trova in zona isolata, esponendosi, pertanto al rischio di rapine.

Per tali motivi, in data 18.11.2008, il ricorrente presentava alla Prefettura di Vibo Valentia richiesta di rilascio di porto di pistola per difesa personale.

La Prefettura, previa comunicazione ex art. 10 bis della legge n. 241/1990, con decreto n. 1719/AREA I^, notificato in data 15.6.2009, rigettava l’istanza non essendo emersi elementi idonei a supportare il rilascio del titolo abilitativo richiesto.

Avverso detto provvedimento insorge il ricorrente, il quale ne chiede l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, denunciando i seguenti vizi:" I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della L. N. 241/90. Difetto di istruttoria. Violazione del principio del contraddittorio; II) Violazione di legge. Violazione dell’art. 3 L. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Violazione degli artt. 11 e 43 del R.D. n. 773/1931. Difetto di istruttoria travisamento dei fatti."

Resiste in giudizio il Ministero dell’Interno con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, irricevibile o comunque rigettato perché infondato nel merito.

Alla Camera di Consiglio del 19 settembre 2009, il ricorrente ha chiesto la riunione della domanda cautelare al merito.

Alla Pubblica Udienza del 19 maggio 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto.

Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, in quanto l’Amministrazione resistente non avrebbe fornito adeguata motivazione in ordine al rigetto delle argomentazioni svolte dal ricorrente a seguito del preannunciato diniego, limitandosi ad affermare che quanto rappresentato "non è idoneo a modificare le determinazioni di quest’Ufficio".

La censura non ha pregio.

L’art. 10 bis della legge n. 241/1990, introdotto dall’art. 6, l. n. 15 del 2005, stabilisce che l’amministrazione, nei procedimenti ad istanza di parte, debba assumere il c.d. "preavviso di rigetto", che consiste nell’obbligo di comunicazione agli istanti, prima della formale adozione di un provvedimento idoneo ad incidere nella loro sfera giuridica, dei motivi che ostano all’accoglimento della domanda dagli stessi presentata.Si tratta di una norma di garanzia partecipativa che ha la finalità di consentire, anche nei procedimenti ad istanza di parte, gli apporti collaborativi dei privati, allo scopo di porre questi ultimi in condizione di chiarire, già nella fase procedimentale, tutte le circostanze ritenute utili ai fini della definizione della vicenda da cui esiterà l’eventuale provvedimento finale.Come ribadito dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 aprile 2006, n. 1999), l’onere di cui al citato art. 10 bis non comporta la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata nelle proprie osservazioni conseguenti alla comunicazione del preavviso, essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la congruità della motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso. Invero, nella materia qui in rilievo, quel che rileva è la valutazione della sufficienza della motivazione in relazione all’ampiezza dei poteri affidati all’amministrazione e, con riferimento al caso specifico -come si dirà di seguito -, il provvedimento risulta sufficientemente motivato.

In forza di tali argomenti, si deve concludere per l’insussistenza della violazione di legge contestata.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, sostanzialmente, un difetto di motivazione, in quanto il provvedimento impugnato non indicherebbe i concreti elementi di fatto che hanno indotto la Prefettura a rigettare la domanda in questione. Più precisamente, non si comprenderebbe perché, alla luce dell’attività svolta dal ricorrente e dei rischi ad essa connessi, non sussistano gli elementi idonei a determinare l’effettivo bisogno di andare armato, né si capirebbe quali dovrebbero essere tali elementi. Vi sarebbe, inoltre, violazione dei principi espressi dagli artt. 11 e 43 del R.D. n. 773/1931.

Le censure sono infondate.

Si deve osservare in linea generale che il diniego di autorizzazione al porto di pistola per difesa personale è legittimo se risulta motivato con la mancata dimostrazione, da parte del richiedente, dell’assoluto bisogno di portare l’arma, non potendosi tale necessità desumere automaticamente dalla particolare attività professionale dallo stesso richiedente svolta e dalle modalità del suo svolgersi, ovvero dal fatto di operare in una regione ad alto tasso di criminalità organizzata.

Infatti, l’art. 42 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 – norma applicabile al caso in esame – dopo aver disposto il divieto di portare fuori dalla propria abitazione armi ed altri strumenti impropri di offesa, attribuisce al Prefetto la facoltà di rilasciare licenza di porto d’armi "in caso di dimostrato bisogno". Il rilascio della licenza in questione, pertanto, non costituisce una mera autorizzazione di polizia che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva, la quale già fa parte della sfera del privato, ma assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto per il cittadino di portare armi. Appare evidente che, onde superare tale generale divieto, occorre dimostrare particolari esigenze che determinano la necessità di munirsi dell’arma, così costituendo motivata eccezione alla generale regola rappresentata dal suddetto divieto. In sostanza, in materia di armi, incombe sull’istante l’onere di provare il "bisogno" dell’arma (essendo ciò solo l’eccezione) e non già all’Amministrazione di motivare in ordine alla non necessità della stessa, dovendo essa limitarsi a valutare se i dati allegati dall’istante al fine di ottenere il rilascio (che, si ribadisce, è eccezionale) della licenza, siano concreti e sufficienti a pervenire a tale risultato (Consiglio di Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2450; TAR Campania, Napoli, sez. V, 2 marzo 2009, n. 1188).

In tale prospettiva, non può ritenersi sufficiente l’appartenenza dell’interessato ad una determinata categoria professionale o lo svolgimento di una determinata attività economica.

E" stato, inoltre, osservato che, in tema di rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, il fatto che l’attività svolta dal soggetto richiedente sia connessa con il maneggio e la disponibilità di ingenti somme di denaro non giustifica di per sé l’esigenza di girare armati (TAR Puglia Bari, sez. mista 2 agosto 2007, n. 1916).

Giova anche ricordare, che, proprio in virtù di quanto sopra esposto, l’art. 42 (così come il 43) del T.U. n. 773/1931 affida all’autorità di P.S. un giudizio largamente discrezionale sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla norma, che non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza o del travisamento dei fatti (TAR Liguria, sez. II, 14 febbraio 2008, n. 253).

Riportando gli enunciati principi al caso in esame, si deve rilevare come il provvedimento del Prefetto qui impugnato si presenti esente dai vizi denunciati,

Il ricorrente, infatti, tramite la propria domanda e le osservazioni trasmesse a seguito del preavviso di rigetto, ha giustificato la necessità della licenza di porto di pistola sulla base della titolarità di un’azienda con un elevato fatturato e della circostanza che, a causa della propria attività, si trova spesso in orario notturno con ingenti somme di denaro contante, in una zona ad alto rischio.

Tali circostanze, peraltro, non sono idonee a giustificare la necessità di circolare armato, in considerazione dei principi esposti in precedenza. Infatti, la mera necessità, evidenziata dal ricorrente, di portare somme di denaro, nell’interesse dell’azienda di cui è titolare, non costituisce " ex se" valido motivo per il rilascio del titolo di polizia, atteso che la connessa esigenza di sicurezza può agevolmente essere soddisfatta mediante il ricorso alle diffuse forme bancarie sostitutive dei pagamenti ed incassi in contanti; il ricorrente, inoltre, ben potrebbe organizzare in modo diverso e più sicuro la propria attività, dotando, ad esempio, la sede della propria azienda di idonei sistemi di sicurezza od allarme.

Devesi, altresì, rilevare come, a seguito dell’istruttoria compiuta dalla Prefettura, sia emerso che il ricorrente non sia stato fatto oggetto di attentati ovvero di intimidazioni, circostanze queste che avrebbero costituito, se esistenti, eventuali elementi da valutarsi attentamente da parte dell’Autorità Prefettizia.

Pertanto, la valutazione compiuta dalla Prefettura, espressione di un potere ampiamente discrezionale, secondo la quale, nel caso in esame, non sussistono le condizioni ed i presupposti per il rilascio del titolo abilitativo richiesto, risulta immune da quei vizi di illogicità ed irrazionalità che ne avrebbero consentito la censura in questa sede.

In conclusione, deve ritenersi legittimo il provvedimento prefettizio di rigetto in questione, dato che il rilascio dell’autorizzazione, in mancanza di precisi elementi fattuali, non può essere concesso sulla base di un’affermata, potenziale e probabilistica sussistenza di pericolo, come conseguenza dell’attività professionale svolta dal ricorrente (nello stesso senso TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 4 maggio 2004, n. 1007).

Il ricorso, pertanto, è infondato e deve essere respinto.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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