T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 29-06-2011, n. 937 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Le ricorrenti S.P. e N.A. presentavano D.I.A. in data 30.8.2007, successivamente integrata in data 26.2.2008, per la realizzazione di un ascensore interno, opere di modifica interna, oltre ad altri piccoli interventi su di un fabbricato sito nel comune di Montalto Uffugo alla via Leoncavallo.

Assumono le ricorrenti come tali lavori fossero tutti necessari ed improcrastinabili a causa delle condizioni e dello stato di salute della signora S., gravemente disabile, con percentuale di invalidità del 100% invalidità tale da rendere particolarmente penoso affrontare le scale per recarsi alla propria abitazione.

Precisano, altresì, le ricorrenti che tra le opere in questione era prevista anche la realizzazione di una recinzione sul marciapiede per salvaguardare la possibilità di utilizzo del passaggio che conduce al vano ascensore.

Decorsi i termini di legge nel silenzio dell’Amministrazione comunale, i lavori avevano inizio e proseguivano con il completamento delle opere interne e la realizzazione del piccolo muretto esterno, non ancora sormontato dalla prevista ringhiera.

Con nota del 6.12.2008, il Comune informava che, a seguito di un riesame della pratica, era stato rilevato un contrasto della progettazione con lo strumento urbanistico, in particolare con riferimento al rispetto della distanza minima della recinzione dalla strada, e che, pertanto, si comunicava l’avvio del procedimento per l’annullamento della DIA.

Con ordinanza n. 33 del 10.12.2008, il comune di Montalto Uffugo, rilevato che a seguito della presentazione della DIA era stata realizzata anche una recinzione in difformità dalle norme del vigente PRG, in quanto posta ad una distanza minima di cm. 75 dal ciglio della strada a fronte di una previsione minima di m. 1,50, come stabilito dall’art. 7.1.1 delle NTA, ordinava, ai sensi dell’art. 21 del d.P.R. n. 380/2001, di sospendere immediatamente i lavori di costruzione della sola recinzione, riservandosi di emettere i provvedimenti definitivi di cui all’art. 31 del medesimo d.P.R. n. 380/2001.

La signora S. presentava memorie difensive di data 11.12.2008, con le quali contestava il contenuto dell’ordinanza n. 33/2008, sia sotto il profilo dei presupposti di fatto, sia sotto il profilo giuridico e il Comune resistente, attraverso il responsabile della Gestione delle Attività dell’edilizia, con nota di data 16.1.2009, prot. n. 1936, riscontrava le dette memorie, ribadendo la violazione contestata e la possibilità per il Comune di intervenire anche dopo la scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della DIA e concludeva considerando reiterata l’ordinanza n. 33 del 10.12.2008, in attesa di adottare il provvedimento definitivo.

Avverso detti ultimi provvedimenti la signora S. presentava ricorso, rubricato sub n. 214/2009.

L’Amministrazione Comunale, con provvedimento prot. n. 8011 di data 18.3.2009, disponeva l’annullamento d’ufficio, della D.I.A. in questione, limitatamente alla parte di lavori afferente alla recinzione esterna, realizzata mediante blocchetti di pietra sormontati da un ringhiera metallica e cancelletto d’ingresso.

Quest’ultimo provvedimento comunale è stato impugnato in questa sede dalle ricorrenti, le quali ne chiedono l’annullamento, previa sospensione cautelare, denunciando i seguenti vizi:" Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/90; – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7.1.1 e 8 N.T.A. -Eccesso di potere per motivazione erronea, carente e /o incongrua, nonché per presupposto erroneo, sviamento, illogicità e perplessità".

Resiste in giudizio il Comune di Montalto Uffugo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso per infondatezza.

Con ordinanza n. 433, assunta alla Camera di Consiglio del 21 aprile 2009, è stata accolta la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Alla Pubblica Udienza del 19 maggio 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Ad un più approfondito esame della vicenda, il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e vada, pertanto, respinto.

Con l’unico complesso motivo di ricorso, le ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 21 nonies legge n. 241/1990 sotto il profilo della mancanza dei presupposti richiesti dalla norma per poter agire in sede di annullamento d’ufficio; in particolare, si evidenzia la mancanza dell’interesse pubblico, il mancato esercizio entro un termine ragionevole del potere di autotutela e la mancata considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento -in particolare le condizioni di salute della signora S., essendosi limitato il Comune ad evidenziare una pretesa violazione delle N.T.A., violazione, peraltro, anche’essa contestata. Le ricorrenti rilevano, inoltre, come la D.I.A. avesse ad oggetto non solo la recinzione in discussione ma lavori di adeguamento della porzione di fabbricato al fine di renderlo pienamente funzionale alle esigenze della signora S., con particolare riferimento alla realizzazione di un ascensore indispensabile per la stessa S., in considerazione delle sue condizioni di salute: la recinzione sarebbe strettamente connessa alla fruibilità di tali opere interne. La motivazione del disposto annullamento, inoltre, sarebbe illogica atteso che, da un lato, lo stesso Comune ha realizzato sul medesimo marciapiede un restringimento compromettendone quella stessa fruibilità posta a base del provvedimento contestato e dall’altro, la norma sulla distanza minima prevista dall’art. 7.1.1 NTA sarebbe giustificata solo da un eventuale allargamento della strada, irrealizzabile nel caso in esame. Infine, ai sensi dell’art. 8 delle stesse NTA, sarebbe possibile derogare alla distanza minima prevista dal precedente art. 7.

Le censure non sono fondate.

L’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dall’art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, nel disciplinare l’annullamento d’ufficio, individua quattro condizioni che devono sussistere contemporaneamente affinché l’Amministrazione procedente possa agire in via di autotutela: illegittimità dell’atto; la sussistenza di ragioni di interesse pubblico; l’esercizio del potere entro un termine ragionevole; la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all’atto da rimuovere (Consiglio di Stato,sez. IV, 3 agosto 2010, n. 512).

Le ricorrenti, pur affermando che al caso in questione non sarebbe applicabile la previsione di cui all’art. 7.1.1 delle NTA e che, conseguentemente, l’atto non sarebbe illegittimo, sostengono, in ogni caso, la mancanza delle altre tre condizioni sopra ricordate.

La censura non ha pregio.

Il provvedimento di annullamento impugnato, infatti, presenta tutti i requisiti richiesti dall’art. 21 nonies legge n. 241/90. Più precisamente, il provvedimento in questione, dopo aver individuato l’illegittimità dell’atto nel mancato rispetto della distanza minima dalla strada prescritta dall’art. 7.1.1 della NTA per la costruzione o ricostruzione di recinzioni, specifica le ragioni di interesse pubblico che giustificano l’adozione del disposto annullamento, ragioni consistenti nell’interesse al mantenimento del decoro architettonico del centro storico e, soprattutto, nella necessità di garantire la fruibilità del marciapiede da parte della collettività. La recinzione in questione, infatti, – si legge nel provvedimento – "limita o impedisce l’utilizzo del marciapiede ed è ostativa alla circolazione di persone portatrici di handicap, in quanto rappresenta un ingombro ed una modifica in peius della fruibilità della preesistente situazione, ormai consolidatasi. Essa rappresenta un’evidente fonte di pericolo, perché costringe gli utenti pedonali ad invadere la carreggiata di marcia destinata ai veicoli a motore, essendo insufficiente lo spazio per il camminamento che residua….". Il mantenimento della distanza minima della recinzione a 1,5 metri dalla strada, realizza, quindi, l’interesse pubblico consistente nella necessità di garantire la sicura fruibilità del marciapiede, evitando di costringere i passanti ad invadere la carreggiata stradale, con tutti i rischi connessi, e consentendo, altresì, il transito sul marciapiede anche a persone disabili, transito che sarebbe compromesso da una distanza inferiore rispetto a quella prevista dalle norme. L’interesse pubblico come rappresentato nel provvedimento impugnato -a differenza di quanto sostenuto in ricorso – è stato valutato tenendo conto degli interessi dei destinatari del provvedimento medesimo, così come richiesto dall’art. 21 nonies legge n. 241. Infatti, è precisato che il detto interesse pubblico è prevalente rispetto alla evidente inutilità della recinzione per quanto riguarda le esigenze della ricorrente. Sotto questo profilo, per quanto la motivazione sia indubbiamente succinta, si deve rilevare come la recinzione contestata non sia di alcun effettivo e concreto ausilio alla signora S., disabile con invalidità del 100%. Giova ricordare che la D.I.A. presentata dalle odierne ricorrenti aveva ad oggetto la realizzazione di un ascensore interno, oltre ad altre opere interne dirette a rendere l’immobile maggiormente fruibile alla signora S.. In tale prospettiva, se è fuori dubbio che l’ascensore soddisfi pienamente questa esigenza, non si comprende come la recinzione esterna possa essere funzionalmente connessa all’utilizzo del detto ascensore interno. Una simile funzionale connessione non emerge dagli elaborati grafici depositati, né dalla documentazione fotografica. Altrettanto è a dirsi con riferimento alla relazione tecnica allegata al progetto, ove è unicamente affermato che il piano terra "è posto rispetto alla via comunale ad un livello più alto facilmente raggiungibile attraverso una rampetta ed una serie di gradini. Da ciò nasce l’esigenza di recintare parte del marciapiede già esistente antistante l’ufficio". E" del tutto evidente come non sia espressa una ragione tecnica che rende la detta recinzione funzionale all’installazione dell’ascensore interno. Del resto, anche sul piano prettamente logico, non si vede come una recinzione esterna di blocchi in pietra possa essere indispensabile per l’utilizzo di un ascensore interno.

Quanto, infine, al termine ragionevole entro cui assumere l’atto di autotutela, si osserva che la D.I.A. è stata presentata in data 30.8.2007 e integrata in data 26.2.2008, mentre la comunicazione di avvio procedimento di annullamento è intervenuta in data 6.12.2008 e il provvedimento definitivo di annullamento di data 18.3.2009 è stato notificato in data 26.3.2009. Il lasso di tempo intercorrente tra il momento di perfezionamento della D.I.A. e l’avvio del procedimento di annullamento non risulta, pertanto, particolarmente significativo ed idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento in capo alle ricorrenti.

Pertanto, con riferimento ai requisiti richiesti dal citato art. 21 nonies i vizi denunciati in ricorso sono insussistenti.

Sono, altresì, infondate le censure relative alla pretesa legittimità dell’atto annullato.

Premesso che non è discusso tra le parti che la recinzione in oggetto sia posta a 75 cm. dalla strada e che l’art. 7.1.1. delle NTA preveda, invece, una distanza minima di 1,5 m., si osserva che non può essere condivisa la tesi prospettata dalle ricorrenti secondo la quale tale diposizione, prevista per eventuali ampliamenti della strada, non troverebbe applicazione al caso in esame in quanto la strada in questione, di fatto, non può essere ampliata.

Invero, una pretesa (ma, peraltro, non dimostrata) eventuale impossibilità di ampliamento della viabilità esistente non autorizza le ricorrenti a costruire la propria recinzione a distanza inferiore da quella prevista dalla normativa di settore, sia perché non è escluso che l’ampliamento possa avvenire in futuro, sia perché l’inedificabilità è comunque disposta per la fascia di profondità, diversificata in base al tipo di strada ed alla circostanza che essa rientri o meno nei centri abitati, a prescindere dall’ampliamento della strada stessa.

Irrilevante è anche la censura relativa al fatto che l’Amministrazione Comunale avrebbe realizzato a poca distanza e sullo stesso marciapiede un’opera che impedirebbe il transito pedonale, rendendo così del tutto irragionevole il fondamento del provvedimento contestato.

Invero, deve osservarsi che, come si evince dallo stesso provvedimento, il Comune ha realizzato sullo stesso marciapiede un’opera tesa a fare fronte ad una frana; tale opera, se pure impedisce ai pedoni di usufruire di quel tratto di marciapiede, non costituisce certo motivo che giustifica un soggetto privato al mancato rispetto delle norme sulle distanze dalle strade nella realizzazione delle proprie opere di recinzione.

Quanto, infine, al richiamo dell’art. 8 delle NTA, si osserva quanto segue.

L’art. 8 citato disciplina l’ipotesi in cui, in considerazione della preesistenza di immobili costruiti a distanza inferiore rispetto a quella prevista, è ammessa la costruzione di nuovi fabbricati a distanza inferiore a questa, valutando l’intervento con riferimento ai fabbricati già esistenti lungo il fronte della viabilità. E" di tutta evidenza che tale norma riguarda un’ipotesi del tutto diversa da quella oggetto del presente contenzioso, essendo diretta a consentire, a seguito di specifica istruttoria, l’edificazione in linea con preesistenti edifici. La ratio di tale disposizione non è certo utilizzabile con riferimento all’ipotesi in questione, che riguarda la realizzazione di una recinzione a distanza inferiore da quella prevista dalle norme di settore.

In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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