Cons. Stato Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 3934 Competenza e giurisdizione Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Sig.ra I. ha partecipato nel 1988 ad un concorso per assunzione di 50 vigili urbani presso il Comune di Pozzuoli, collocandosi in posizione utile per l’inserimento in ruolo.

Il Comune anziché procedere all’assunzione, con delibera G.M. 447/88, la escludeva dalla procedura, costringendola ad impugnare l’atto lesivo dinanzi al T.A.R. per la Campania che annullava il provvedimento di esclusione con sentenza n. 149/93.

Nonostante tale pronuncia, confermata in appello con sentenza della V sezione di questo Consiglio di Stato n. 543 del 1997, il Comune non provvedeva all’assunzione tanto da costringere la I. ad azionare il giudizio di ottemperanza concluso con la sentenza favorevole n. 404 del 1998 della III sezione del T.A.R. Campania.

Infine, solo a seguito della nomina del commissario ad acta, con provvedimento del 21 gennaio 1999 la Sig.ra I. veniva assunta.

Ritenendo illegittimo il comportamento dell’amministrazione, la predetta adiva il TAR per la Campania chiedendo il risarcimento del pregiudizio subito il quale, con sentenza n. 108/2006, dichiarava inammissibile il ricorso.

Avverso la predetta sentenza la Sig.ra I. ha interposto l’odierno appello, chiedendone l’integrale riforma con conseguente riconoscimento del suo diritto al ristoro dei danno patiti a causa della ritardata assunzione da parte del Comune di Pozzuoli.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione Comunale intimata, chiedendo il rigetto del gravame siccome infondato.

Alla pubblica udienza del 29 marzo 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. Con la sentenza impugnata il giudice di prime cure ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché,a suo avviso proposto oltre il termine fissato dall’art. 69, 7° comma, del D. Lgs. n. 165/01secondo cui, com’è noto, le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del GiudiceAmministrativo "solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre2000".

A tanto il TAR è pervenuto sul presupposto che, per evitare la decadenza de qua, non fossesufficiente notificare il ricorso entro il 15 settembre, come nella specie avvenuto, ma ancheeffettuarne il deposito, poiché a tale atto sarebbe" collegato il perfezionamento dello schema trilaterale che del rapporto processuale costituisce l’essenza".

Dunque, per il T.A.R., entro il 15 settembre 2000 il ricorso non andava solo notificato, ma anchedepositato.

3. L’assunto non può essere condiviso.

Ed invero, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio ormai consolidatosi sul punto, e già condiviso dalla sezione, al fine della corretta discriminazione dei limiti temporali per l’individuazione della giurisdizione in materia di controversie attinenti al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, stabilita al 15 settembre 2000 dall’art. 45 del d. lgs. n. 80/98, deve farsi riferimento alla data di notifica dell’atto introduttivo del giudizio e non a quella del successivo perfezionamento del rapporto processuale che si realizza con il deposito del ricorso (cfr. Cons. Stato Sez. V, 18.02.2009, n. 946; VI, 4.06.2010 n. 3554; IV, 4.11.2008 n. 5481; 19.02.2007 n. 890; VI, 8.08.2008 n. 3909; V, 21.06.2007 n. 3390; VI, 20.02.2007 n. 911; IV, 3.04.2006 n. 1712; 03.04.2006 n. 1714; VI, 3394/2005; IV, 3121/2005).

Ed è proprio questo orientamento che è ritenuto "diritto vivente" dal giudice delle leggi, il quale, a sua volta, ha avuto modo di precisare come " nei giudizi "a quibus" è palesemente irrilevante la previsione di un termine di decadenza, fissato nel 15 settembre 2000, per la proposizione di controversie introdotte con ricorsi notificati anteriormente a detto termine, pur se depositati in data ad esso successiva, giacché, per principio generale del processo, ribadito dalla legge disciplinatrice del processo amministrativo, la controversia deve ritenersi "proposta" e, conseguentemente, impedita ogni decadenza, con la notifica del ricorso, assumendo il deposito del ricorso rilevanza esclusivamente al fine della sua procedibilità. " (Corte Costituzionale, 26 maggio 2005, n. 213).

Il Collegio ritiene di dover aderire alla giurisprudenza prevalente in quanto la tesi che, sotto il profilo logicogiuridico, fa discendere dalla scelta del modello processuale c.d. "da ricorso" la conseguenza che il rapporto processuale si costituirebbe soltanto con il deposito del ricorso e non con la sua notificazione, non considera che la chiave di soluzione del problema sta nello stabilire non il momento in cui il giudice viene concretamente investito dell’onere di decidere la controversia, ma il momento in cui, alle stregua delle norme processuali, debba intendersi concretamente esercitato il diritto d’azione. Diritto, che aldilà della sua connotazione formale, si ricollega, sul piano sostanziale alla situazione giuridica soggettiva che costituisce il titolo della domanda giudiziale, secondo la formula solenne contenuta nell’art. 24 della Costituzione, in forza del quale " tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi".

Ora, se l’azione "deve essere intesa come il diritto potestativo di ottenere, non già una sentenza favorevole, bensì una decisione di merito" (Cassazione civile, sez. I, 29 settembre 2006, n. 21192), sfuggono le ragioni del perché nel processo civile, sia pur ispirato al modello della " vocatio in ius", l’esercizio di tale potere si manifesta, conformemente all’art. 39, ultimo comma, c.p.c., con la notifica della citazione, dell’atto cioè con cui l’attore formula la domanda giudiziale e chiama il soggetto che egli assume essere legittimato passivamente a comparire davanti al giudice ( art. 163 c.p.c.), nel processo amministrativo, per il solo fatto che questo è ispirato al modello della "vocatio iudicis" debba attendersi, per ciò solo, anche l’ulteriore adempimento del deposito del ricorso.

Dal punto di vista strutturale, infatti, i due modelli, per quel che qui interessa, non divergono in modo significativo, perché sia nel processo amministrativo che in quello civile da citazione il giudice in realtà è concretamente investito della controversia solo successivamente alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio. Il primo con il deposito del ricorso notificato, il secondo con la costituzione delle parti e la conseguente iscrizione della causa a ruolo (artt. 165. 166 e 168 c.p.c.).

Se a ciò si aggiunga che anche il processo civile conosce procedimenti costruiti sul modello della "vocatio iudicis", quale quello di ingiunzione, nei quali la pendenza della lite è sempre determinata dalla notificazione del ricorso alla controparte (art. 643 comma 3 c.p.c), ed il fatto che, nel processo amministrativo, la qualità di parte si acquista indubbiamente al momento della notificazione del ricorso, tanto è vero che, ove il ricorrente non provveda al deposito del ricorso, può farlo autonomamente il legittimato passivo non fosse altro che per chiedere al giudice di dichiararlo inammissibile, si può agevolmente concludere nel senso che, come precisato dalla Corte Costituzionale ", per principio generale del processo, ribadito dalla legge disciplinatrice del processo amministrativo, la controversia deve ritenersi "proposta" e, conseguentemente, impedita ogni decadenza, con la notifica del ricorso, assumendo il deposito del ricorso rilevanza esclusivamente al fine della sua procedibilità.

Pertanto il ricorso de quo, essendo stato notificato alla controparte il 15 settembre 2000, è ammissibile contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice.

4. Nel merito, la domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto della ricorrente al risarcimento del danno subito in conseguenza della tardiva assunzione, merita accoglimento nei limiti di seguito precisati.

In via preliminare, osserva il Collegio come tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria siano palesemente presenti nel caso di specie.

Nulla quaestio, infatti, sull’esistenza del danno ingiusto patito dalla sig.ra I. in conseguenza dell’ingiustificato ritardo nella sua assunzione in data 31 gennaio 1999, per addivenire alla quale si sono resi necessari ben tre giudizi e lo specifico intervento di un Commissario ad acta.

Né alcun dubbio può sussistere circa la configurabilità del nesso causale tra l’illegittimo comportamento dell’amministrazione e il danno stesso.

Per quanto attiene, infine, all’elemento soggettivo, può prescindersi da una specifica indagine al riguardo in quanto, nella specie, il danno ingiusto è derivato dalla mancata esecuzione della sentenza del giudice amministrativo da parte dell’amministrazione.

In relazione a tale comportamento, infatti, la colpa si configura come oggettiva ed in re ipsa. In ogni caso, è dirimente rilevare in proposito come l’assunzione della ricorrente sia avvenuta dopo oltre 6 anni dalla prima sentenza del TAR; dopo oltre due dalla sentenza del Consiglio di Stato che ha confermato la decisione del Giudice di primo grado e dopo 8 mesi dalla sentenza di ottemperanza che ha ordinato al Comune di procedere in tal senso.

Per di più si è trattato di adempimento che il Comune non ha eseguito neppure motu proprio, rendendosi invece necessaria la nomina di un commissario ad acta, ciò che non può non far qualificare come grave la colpa dell’amministrazione, attesa peraltro la mancanza di qualsiasi oggettiva giustificazione al riguardo in sede difensiva da parte di quest’ultima.

5. Venendo ora alla quantificazione del danno risarcibile, ed iniziando dal lucro cessante, non può accogliersi la richiesta dell’appellante di commisurare tale danno all’intero ammontare delle retribuzioni non percepite a partire dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio. Infatti, come costantemente precisato dalla giurisprudenza anche di questa Sezione, in sede di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica in astratto nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione (elementi che comporterebbero una vera e propria restitutio in integrum e che possono rilevare soltanto sotto il profilo, estraneo al presente giudizio, della responsabilità contrattuale), occorrendo invece caso per caso individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. V 10 maggio, n.2750; sez. IV, 6 luglio 2009, n. 4325; Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2007, n. 62282; id., 21 dicembre 2000, n. 1324).

Tanto premesso, nel caso di specie è certamente ed intuitivamente percepibile l’esistenza di un grave pregiudizio materiale per effetto della mancata assunzione, e non può altresì non assumere rilievo la gravità della colpa riferibile alla amministrazione comunale la quale si è scientemente e ripetutamente sottratta all’obbligo di dare puntuale esecuzione alle ripetute sentenze giurisdizionali, come già evidenziato.

Pertanto il danno risarcibile può essere quantificato equitativamente e, in applicazione del combinato disposto degli atti artt. 2056, commi 1 e 2, e 1226 c.c., determinato in una somma pari all’80 % delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte nel periodo decorrente dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio, con esclusione di quanto a qualsiasi titolo percepito dall’interessata nel medesimo periodo per attività lavorative; al riconoscimento delle spettanze retributive si ricollega l’obbligo di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (sempre nei limiti appena precisati).

Le somme così determinate andranno incrementate per rivalutazione monetaria e interessi compensativi al tasso legale, questi ultimi nella misura eccedente il danno da svalutazione, da calcolarsi a partire dalla data di pubblicazione della sentenza.

6. Non può trovare accoglimento, invece, l’ulteriore domanda intesa al risarcimento dei danni morali ed esistenziali che l’appellante assume di aver patito, siccome non assistita da alcun principio di prova.

Pertanto, non può aderirsi alla prospettazione dell’istante, secondo cui il mancato reperimento di altro impiego sarebbe da ricondurre causalmente alla frustrazione cagionata dalla vicenda amministrativa per cui è causa, piuttosto che alle ordinarie e notorie difficoltà che affliggono il mercato del lavoro in territori come quello della Regione Campania.

7. In conclusione, va ordinato all’Amministrazione appellata, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., di formulare un’offerta risarcitoria sulla base dei criteri sopra individuati al punto 5 nel termine di sessanta, giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

Qualora tra le parti non si raggiunga l’accordo sulla somma da corrispondere, alla determinazione di questa provvederà questa Sezione in sede di ottemperanza, su richiesta di parte.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Pozzuoli al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di entrambi i gradi del giudizio, che liquida in euro 5.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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