Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 28.04.2005 il Tribunale di Matera, in funzione di giudice del lavoro, respingeva la domanda, proposta da P. I., vigilatrice d’infanzia nell’ospedale di (OMISSIS), con ricorso in data 28.03.1997 e volta alla declaratoria del suo diritto alla rendita da infortunio sul lavoro, per difetto di prova sulla eziopatogenesi lavorativa della patologia denunciata.
Avverso tale decisione proponeva appello l’assicurata con ricorso depositato in data 18.10.2005, denunciando "omessa e/o errata o comunque insufficiente valutazione delle prove, anche di natura presuntiva", e deducendo che, nell’indagine sull’eziologia dell’infezione denunciata, il Giudice di primo grado aveva errato limitando la ctu esclusivamente alla verifica della sussistenza del nesso eziologico tra l’episodio del (OMISSIS) – allorchè la mano lesionata della ricorrente si sarebbe imbrattata con il sangue di una neonata partorita da madre sieropositiva e subito dopo il parto riscontrata positiva anchèessa – e detta infezione. Al contrario, "il Tribunale avrebbe dovuto far estendere l’indagine del CTU anche sulla sussistenza o comunque sulla probabilità che esso potesse ravvisarsi di un nesso di causalità tra la patologia e l’attività in un reparto, quale quello in cui operava la P., ove non venivano usati mezzi di prevenzione nemmeno quando l’operatore si trovava costretto a lavorare con lesioni alle mani e dove per di più non infrequentemente … venivano trattate donne infette da HIV".
Concludeva per la riforma dell’impugnata sentenza con declaratoria del diritto alle "prestazioni previste dal D.P.R. 30 novembre 1965, n. 1124, art. 66" e condanna dell’INAIL alla corresponsione di "una rendita rapportata al grado di invalidità accertato, con decorrenza e nella misura di legge, oltre agli accessori".
Si costituiva l’INAIL, chiedendo il rigetto del gravame.
L’adita Corte di Potenza, disposto il rinnovo delle operazioni peritali, rigettava l’impugnazione con sentenza del 16 ottobre-11 dicembre 2008, ritenendo non adeguatamente provata l’esistenza del nesso eziologico tra l’infortunio subito dalla P. od altri eventi professionali potenzialmente infettanti, e la contrazione dell’infezione da HIV. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre P.I. con tre motivi. Resiste l’INAIL con controricorso.
MOTIVAZIONE
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la P., denunciando omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, dopo avere dato atto che correttamente la Corte territoriale aveva riconosciuto fondata la censura rivolta alla sentenza di primo grado, che, contrariamente a quanto dedotto nella domanda, aveva ritenuto questa rapportata, ai fini del riconoscimento del diritto alla rendita, ad un unico episodio, quello del giorno (OMISSIS), e non ad una generale esposizione a gravi rischi di infezione presente nel reparto ove svolgeva la sua attività, lamenta l’avvenuta limitazione della effettuata valutazione a detto episodio per una inesistente rinuncia a quanto chiaramente desumibile dalla originaria domanda.
Più in dettaglio, la ricorrente evidenzia come una tale rinuncia non sarebbe mai avvenuta, tant’è che anche nelle conclusioni definitive rassegnate dalle parti all’udienza di discussione la richiesta rimaneva ancorata al contesto lavorativo, tale da rendere probabile la contrazione dell’infezione in occasione dello svolgimento della sua attività in quanto tale, svincolata quindi da ogni eventuale specifico episodio.
Si sostiene una contraddittorietà tra l’affermazione della richiesta nelle conclusioni di un accertamento ambientale ed il rilievo dato allo specifico episodio.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando erronea ed illogica motivazione su un punto essenziale della controversia nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta che la Corte territoriale abbia dichiarato l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 38 del 2000, nonostante l’assenza di una domanda fondata su tale normativa, riferita, invece, alla disciplina di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, successivamente modificata dal suddetto D.Lgs..
Con il terzo motivo, infine, la ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, comma 1 e artt. 2727 e 2729 c.c., sostenendo che la Corte si sarebbe limitata a contestare l’esistenza del nesso causale tra la malattia e l’evento del febbraio 1989 così disapplicando i principi regolatori delle richiamate norme senza alcuna convincente motivazione.
Ritiene il Collegio che il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, non meriti accoglimento.
Invero, la Corte d’appello, pur affidando al CTU il compito "… di ricerca di dati epidemiologici al fine della formulazione di un giudizio anche probabilistico sganciato dal caso concreto del febbraio 1989) addotto quale esempio …", da atto della risposta, fornita dal CTU, di "plausibilità e possibilità" sul nesso causale tra attività lavorativa e malattia unitamente alla dichiarazione della inutilità di una indagine statistico-epidemiologica. E proprio in relazione a tale risposta la sentenza sostiene che tale iniziativa del CTU, non essendo stata censurata dall’appellante, che anzi avrebbe apprezzato il modus operandi dell’ausiliario e, così facendo, "valorizzato" l’episodio del 21.2.89 come probabile fattore causale del contagio, comporterebbe l’abbandono, da parte della P., della domanda di accertamento del nesso causale in relazione ad una speciale nocività dell’ambiente di lavoro tale da esporre la P., a cagione delle sue funzioni, al rischio specifico di contrarre la malattia.
Tale abbandono" avrebbe ristretto lo spettro della causa petendi" con rinuncia alla più ampia prospettazione.
Orbene, anche a voler condividere l’assunto della ricorrente in ordine alla assenza della affermata rinuncia, le censure formulate non conducono all’auspicato risultato di annullamento della impugnata decisione.
Invero, occorre considerare, per un verso, che la contestata pronuncia si è basata su un corretto principio di diritto secondo cui la causa della origine professionale della infermità non può essere fondata su una mera possibilità ma deve essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità, nella specie inesistente; e, per altro verso, che il ricorso, ancorchè deducendo l’assenza della affermata rinuncia ad una indagine dai risvolti più ampi perchè estesa all’ambiente lavorativo, non offre elementi specifici per giustificare la presenza di un rischio ambientale, che consenta di pervenire alla conclusione della sussistenza di un rilevante grado di probabilità piuttosto che di una mera possibilità o plausibilità, come sostenuto dal CTU. Giova in proposto rammentare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in caso di malattie ad eziologia plurifattoriale – come nella specie, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità (Cass., 8 ottobre 2007, n. 21021).
Per quanto precede, non incidendo le censure della ricorrente sull’esito della contestata pronuncia della Corte di Potenza, il ricorso va rigettato.
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
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