Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-11-2011, n. 23715 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che A.V., con ricorso del 6 maggio 2009 (r.g. n. 11630 del 2009), ha impugnato per cassazione deducendo numerosi motivi di censura, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 26 maggio 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dell’ A. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 7.760,00 a titolo di equa riparazione, ed ha liquidato le spese del giudizio, determinandole in Euro 632,46, di cui Euro 190,00 per diritti ed Euro 420,00 per onorari;

che, con distinto ricorso del 10 luglio 2009 (r.g. n. 17217 del 2009) il Ministro della giustizia ha impugnato per cassazione – deducendo nove motivi di censura – il medesimo decreto;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 17.125,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto di secondo grado – proposta con ricorso del 29 settembre 2006 era fondata sui seguenti fatti: a) l’ A., asseritamente creditore di somme a titolo di interessi e di rivalutazione su prestazioni previdenziali, aveva proposto la relativa domanda dinanzi al Pretore di Napoli in funzione di giudice del lavoro; b) il Tribunale di Napoli, adito in sede di appello con ricorso del 16 marzo 1995, aveva deciso la causa con sentenza dell’11 aprile 2005;

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato – detratti due anni di ragionevole durata del processo presupposto in grado d’appello – ha liquidato per i residui otto anni ed un mese di irragionevole ritardo, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di Euro 7.760,00, sulla base di un parametro annuo di Euro 960,00.

Motivi della decisione

preliminarmente, che il ricorso principale (r.g. n. 11630 del 2009) ed il ricorso incidentale (r.g. n. 17217 del 2009), in quanto proposti contro lo stesso decreto, debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, il ricorrente principale denuncia come illegittimi: a) la considerazione del solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto, anzichè l’intera durata dello stesso; b) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; c) il mancato riconoscimento del diritto al supplemento di indennizzo per il danno non patrimoniale, in relazione al bonus forfetario dovuto in ragione della materia previdenziale trattata nel processo presupposto; d) la violazione dei minimi tariffari forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito;

che, a sua volta, il ricorrente incidentale, con i primi cinque motivi, denuncia l’omessa pronuncia dei Giudici a quibus sull’eccezione di prescrizione sollevata nel giudizio a quo, sostenendone poi la fondatezza nel merito, mentre, con i motivi dal sesto al nono, critica il decreto impugnato, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che gli stessi Giudici, avendo indicato come sentenza conclusiva del processo presupposto quella emessa dal Tribunale di Napoli in sede di appello in data 11 aprile 2005, avrebbero dovuto rilevare d’ufficio la decadenza del ricorrente principale dal diritto di proporre la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 8 9 del 2001, art. 4 in quanto dallo stesso decreto impugnato risulta che tale domanda è stata proposta in data 29 settembre 2006, cioè ben oltre il termine semestrale stabilito a pena di decadenza dalla cit. L. n. 89 del 2001, art. 4;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte -condiviso dal Collegio, in tema di equa riparazione per superamento della durata ragionevole del processo, quando si deduca la causa di decadenza per il mancato rispetto del termine semestrale per la proposizione della relativa domanda, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 il giudice è tenuto a rilevarla, anche d’ufficio e in sede di legittimità, ed a dichiarare l’improponibilità dell’azione, in quanto, mentre il diritto all’equa riparazione spettante al privato ricorrente in base alla citata legge è disponibile, non lo è, invece, la posizione del soggetto passivo rispetto a tale diritto, cioè dell’amministrazione pubblica chiamata a corrispondere il richiesto indennizzo, non potendo detta amministrazione, soggetta alle norme sulla contabilità pubblica ed agli specifici vincoli di bilancio richiamati dall’art. 7 della stessa Legge, rinunciare alla decadenza, avuto riguardo agli interessi pubblici che presiedono alla erogazione delle spese gravanti sui pubblici bilanci, con la conseguenza che, in tale ipotesi, non opera il limite che non consente di prospettare, con il motivo di ricorso, questioni nuove in sede di legittimità, giacchè tale preclusione non vale allorchè si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 13287 del 2006 e 19976 del 2009);

che, alla luce di tale orientamento, debbono essere preliminarmente esaminati i motivi dal sesto al nono proposti dal ricorrente incidentale;

che tali motivi sono fondati, in quanto dallo stesso decreto impugnato risulta che il processo presupposto d’appello – di cui si denuncia l’irragionevole durata – "si è concluso con sentenza in data 11/4/2005" (Cfr. decreto, pag. 1) e che il ricorso per equa riparazione è stato "depositato in data 29/9/2006" (ibidem), circostanza, quest’ultima, confermata dallo stesso ricorrente principale , laddove deduce che, "Al momento del deposito del ricorso innanzi alla Corte d’Appello di Roma, il ritardo è stato calcolato fino al 20/09/2006" (Cfr. Ricorso, pag. 3);

che, pertanto, il decreto impugnato, in relazione alle censure accolte, deve essere annullato senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, secondo periodo, perchè la causa non poteva essere proposta;

che, conseguentemente, restano assorbiti sia i primi cinque motivi del ricorso incidentale, sia il ricorso principale;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate in favore del Ministro della giustizia – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegate al Decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, accoglie i motivi dal sesto al nono del ricorso incidentale, assorbiti i motivi dal primo al quinto dello stesso ricorso incidentale ed il ricorso principale; cassa senza rinvio il decreto impugnato e condanna il ricorrente principale al rimborso, in favore del Ministro della giustizia, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 800,00, oltre alle spese prenotate a debito.

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