Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent. n. 889/09

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Vincenzo Antonio Borea – Presidente

Riccardo Savoia – Consigliere

Alessandra Farina – Consigliere, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 3509/2004 proposto da Erbì Raniero, rappresentato e difeso dagli avv. Gian Luca Garbin e Paolo Zanardi, con domicilio presso la Segreteria T.A.R.,

contro

il Ministero della giustizia in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege presso la sua sede in Venezia, San Marco, 63,

per l’annullamento

del provvedimento in data 16.9.2004 n. 0322065/19721/DS10; della nota in data 5.10.2004 prot. n. 613/F.1; per l’accertamento del diritto del ricorrente ad essere riammesso in servizio dal 15.5.2002; nonché per la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dalla medesima data, con gli accessori di legge.

Visto il ricorso, notificato il 19.11.2004 e depositato presso la segreteria il 17.12.2004 con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione del Ministero della giustizia,

visti gli atti tutti della causa;

uditi alla pubblica udienza del 29 gennaio 2009 (relatore il Consigliere Alessandra Farina) gli avvocati: Zanardi per il ricorrente e Gasparini per il Ministero della giustizia;

ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

Fatto

Il ricorrente è dipendente dell’Amministrazione Penitenziaria con la qualifica di Agente scelto.

Riferisce parte istante di essere stata oggetto di procedimenti penali afferenti avvenimenti accaduti nel 1993 e nel 1994.

In particolare, per quanto riguarda i fatti risalenti al 1994, dopo un primo periodo di sospensione cautelare dal servizio, con decreto 18.10.1994 veniva disposta la sospensione obbligatoria dal servizio per effetto dell’avvenuto arresto del ricorrente in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP presso il Tribunale di Padova il 30.9.1994.

Con decreto 23.5.1997, perdurante la suddetta sospensione cautelare obbligatoria, veniva dato atto che a carico del ricorrente era stata emessa altra ordinanza di custodia cautelare, datata 12.5.1997, in quanto indagato per altri fatti, diversi da quelli precedentemente considerati, risalenti al 1993.

In data 14.5.1998 il Tribunale Sezione GIP di Venezia revocava la custodia cautelare del 12.5.1997: tuttavia, con decreto 10.7.1998, per tali specifici fatti, l’amministrazione di appartenenza del ricorrente disponeva la continuazione della sospensione cautelare a titolo precauzionale.

Con riferimento all’ordinanza di custodia cautelare del 30.9.1994, con successivo decreto del 20.7.1999 veniva dato atto dell’intervenuta cessazione degli effetti della sospensione dal servizio (per i fatti del 1994), stante la revoca della disposta custodia in carcere: tuttavia, per il ricorrente continuava a rimanere sospeso cautelarmene dal servizio per effetto del decreto del 10.7.1998 (relativo ai fatti del 1993).

In data 13.5.2002 l’Ufficio disciplina trasmetteva al ricorrente l’avviso di avvio del procedimento per la prosecuzione della sospensione dal servizio, invitando l’interessato a svolgere le proprie osservazioni.

Benché il ricorrente avesse esposto le proprie ragioni, opponendosi alla prosecuzione della sospensione cautelare dal servizio, nessuna determinazione veniva assunta dall’amministrazione, la quale si rivolgeva in più occasioni all’autorità giudiziaria incaricata dell’indagine penale per conoscere l’evoluzione del procedimento avviato per i fatti contestati.

Infine, con decreto del 16.9.2004, l’Ufficio disciplina comunicava al ricorrente la prosecuzione della sospensione, ai sensi degli artt. 8 del D.lgs. n. 449/92 e 92 del D.P.R. n. 3/1957 ed avviava in data 21.9.2004 inchiesta disciplinare ai sensi dell’art.6, comma 2, lett. a), b), c) e d) del D.lgs. n. 449/92.

Il procedimento disciplinare così avviato veniva quindi sospeso in attesa delle definizione del procedimento penale.

Avverso il provvedimento di prosecuzione della sospensione cautelare del 16.9.2004 e la nota del 5.10.2004 di avvio del procedimento disciplinare, e per il loro annullamento è stato proposto il gravame in oggetto, con il quale il ricorrente ha altresì chiesto l’accertamento del proprio diritto alla riammissione in servizio a decorrere dal 15.5.2002, con condanna dell’amministrazione intimata al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dalla medesima data, con gli accessori di legge.

A sostegno delle richieste così avanzate parte istante ha dedotto i seguenti motivi di diritto:

– Violazione di legge – art. 9 della legge 7.2.1990, n.19.

Il periodo di sospensione cautelare dal servizio, disposta a titolo facoltativo da parte dell’amministrazione una volta venuti a cessare i presupposti per la sospensione obbligatoria in costanza di detenzione, risulta illegittimamente prorogato, essendo decorso il termine massimo di cinque anni stabilito dalla legge per la sospensione facoltativa.

Secondo parte ricorrente, anche a voler computare il suddetto termine a partire dalla misura cautelare disposta per il secondo gruppo di fatti addebitati, risalenti al 1993, il periodo di sospensione sarebbe dovuto cessare, automaticamente per espressa previsione di legge, alla data del 14.5.2002.

Per l’effetto, considerata come revocata di diritto la sospensione protratta oltre la data del 15.5.2002, parte istante chiede che venga dichiarata l’intervenuta cessazione della sospensione cautelare a decorrere dal 15.5.2002, il diritto alla riammissione in servizio con la stessa decorrenza e venga disposta la corresponsione delle differenze retributive dal 15.5.2002 al 15.9.2004, con gli accessori di legge.

– Violazione di legge – art. 8 D.lgs. n. 449/92 ed art. 92 D.P.R. n. 3/1957 – Eccesso di potere per sviamento – Eccesso di potere per mancanza e/o insufficienza di motivazione.

Nel provvedimento del 16.9.2004 con il quale è stata disposta la sospensione del ricorrente dal servizio in attesa della definizione del procedimento penale, viene invocato il principio espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 447/95, secondo il quale, anche dopo la decorrenza del quinquennio indicato come durata massima della sospensione facoltativa, possono sussistere valide ragioni per mantenere lo stato di sospensione dal servizio.

Parte istante ritiene che a fondamento di tale determinazione non possa essere richiamata la mera esistenza del procedimento penale a carico del dipendente, dovendo essere esternate le ulteriori e pregnanti motivazioni che ostacolano la riammissione in servizio.

Peraltro, il provvedimento di sospensione è stato assunto prima dell’avvio del procedimento disciplinare, senza alcuna ragione espressa che giustifichi la limitazione delle garanzie di partecipazione e di difesa dell’interessato.

Nelle successiva contestazione di addebito i fatti ivi contestati vengono richiamati negli stessi termini con i quali sono stati considerati in sede penale, senza alcuna puntuale e specifica motivazione con riferimento all’addebito disciplinare.

Infine, la reiterata sospensione dal servizio non prevede alcun termine finale, essendo stata disposta fino alla conclusione del procedimento disciplinare, peraltro a sua volta sospeso in attesa della definizione di quello penale.

– Violazione di legge – art. 9 D.lgs. n. 449/92 e 117 D.P.R. n. 3/57- Violazione di legge per carenza e insufficiente motivazione.

L’atto di contestazione degli addebiti è ugualmente viziato.

Gli addebiti ivi considerati sono i medesimi del procedimento penale : di conseguenza, il procedimento disciplinare non poteva neppure essere avviato, in quanto doveva ritenersi sospeso sino alla definizione di quello penale con sentenza passata in giudicato.

In ogni caso, il procedimento disciplinare risulta viziato in ragione del lasso di tempo (11 anni) trascorso tra la contestazione degli addebiti e l’epoca in cui i fatti sono avvenuti.

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio, richiamando nelle proprie difese la relazione del Ministero della Giustizia – Ufficio del Capo del Dipartimento Contenzioso del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, debitamente allegata agli atti, concludendo per la reiezione del ricorso .

All’udienza del 29 gennaio 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Diritto

Con il ricorso in esame e per i motivi riassunti in fatto, l’odierno istante, Agente scelto dell’Amministrazione Penitenziaria, denuncia l’illegittimità del provvedimento assunto in data 16.9.2004, con il quale è stata decretata la continuazione della sospensione dal servizio, per motivi cautelari, ai sensi dell’art. 8 D.lgs. n. 449/94 e dell’art. 92 del D.P.R. n. 3/1957, sino all’esito del procedimento disciplinare di prossima istruzione.

Con il medesimo gravame parte istante impugna altresì la nota 5.10.2004 di avvio del richiamato procedimento disciplinare, con la quale vengono formulate le contestazioni di addebito con riferimento ai fatti, imputati al dipendente, già oggetto di procedimento penale.

Contestualmente, parte istante chiede l’accertamento del proprio diritto alla riammissione in servizio, con tutte le conseguenze sul piano economico, in ragione dell’intervenuta decadenza di diritto della sospensione cautelare facoltativa già disposta dall’amministrazione per i medesimi addebiti, essendo ormai decorso il termine quinquennale individuato dal legislatore quale durata massima della sospensione cautelare facoltativa.

Già sono stati ricordati nell’esposizione in fatto gli avvenimenti, risalenti al 1993 ed al 1994 ed oggetto di indagine penale, che hanno dato origine alla sequenza provvedimentale che ha comportato l’adozione nei confronti del ricorrente dei provvedimenti di sospensione obbligatoria cd. “necessaria” (in quanto connessa allo stato di detenzione) ed a quella comunque obbligatoria, ugualmente prevista dall’art. 91del D.P.R. n. 3/1957 (in considerazione della pendenza del procedimento penale e strettamente connessa alla sola esistenza di tale condizione, senza che all’amministrazione residui alcun margine di apprezzamento).

Come ricordato dalla stessa difesa istante la sospensione del ricorrente ha avuto le seguenti scansioni temporali:

dal 16.6.1994 al 29.9.1994, sospensione cautelare facoltativa;

dal 30.9.1994 al 14.5.1998, essendo sopravvenuto il provvedimento restrittivo, la sospensione è divenuta obbligatoria;

dal 15.5.1998 al 15.9.2004, sospensione cautelare in relazione al procedimento penale.

Al termine di tale sequenza, valutata la sussistenza di valide ragioni per non riammettere in servizio il dipendente ed in previsione dell’avvio del procedimento disciplinare è stata disposta la prosecuzione della sospensione cautelare, così come statuito con il decreto del 16.9.2004.

Al riguardo, la difesa ricorrente contesta la legittimità della sospensione cautelare facoltativa mantenuta oltre il termine quinquennale, decorso il quale, cessati automaticamente gli effetti della sospensione, l’amministrazione avrebbe dovuto riammettere in servizio il dipendente.

Per l’effetto, la riammissione in servizio doveva aver luogo a decorrere dalla data del 15.5.2002, decorsi cinque anni dall’inizio della sospensione cautelare disposta in ragione della pendenza del procedimento penale, risalente al 15.5.1997.

A tale conclusione si oppone l’amministrazione, la quale conferma la legittimità della mantenuta sospensione oltre il termine quinquennale, invocando i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 447/95, ritenuta la necessità di prolungare ulteriormente la sospensione in attesa del procedimento disciplinare.

Osserva in primo luogo il Collegio che, per quanto riguarda la pretesa ad essere riammesso in servizio a decorrere dalla data del 14.5.2002, questa debba essere ridimensionata, tenuto conto dei provvedimenti che in successiva progressione hanno caratterizzato la vicenda penale ed amministrativa del ricorrente.

Invero, come peraltro inizialmente dichiarato in termini corretti, la sospensione cautelare connessa alla pendenza del procedimento penale, è stata disposta per il periodo che va dal 15.5.1998 al 15.9.2004 e pertanto il termine quinquennale, previsto dal legislatore come durata massima della sospensione così disposta, è venuto a scadere il 15 maggio del 2003 e non del 2002.

Ciò in quanto tra il 1997 ed il 1998 la sospensione per il secondo gruppo di fatti addebitati e risalenti al 1993 è stata di tipo “necessario” in virtù dello stato di detenzione dell’imputato, successivamente venuto a cessare a decorrere dal 15.5.1998.

Di conseguenza, come peraltro indicato nel prospetto riassuntivo redatto dalla stessa difesa istante, solo da tale data è possibile computare la durata della sospensione obbligatoria per procedimento penale, di cui all’art. 91 D.P.R. n. 3/57.

Chiarito tale punto, si tratta ora di vedere se legittimamente sia stata disposta la protrazione della sospensione cautelare oltre la data del 15.5.2003, in applicazione del disposto dell’art. 92 del richiamato D.P.R., in attesa della definizione del procedimento disciplinare di prossima attivazione.

A tale riguardo possono essere richiamate le considerazioni svolte riguardo all’applicazione degli istituti della sospensione obbligatoria e facoltativa, di cui ai richiamati artt. 91 e 92, dalla Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza n. 447/1995, pronunciata in occasione del vaglio della legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2 della legge n. 19/1990 – “Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti”.

In tale occasione la Corte ha ricordato come, dopo l’avvenuta eliminazione della previsione che imponeva la destituzione di diritto del dipendente quale conseguenza automatica di una condanna penale, richiedendo per tale grave provvedimento la preventiva valutazione degli addebiti nell’ambito di un procedimento disciplinare, anche l’istituto della sospensione cautelare del dipendente sia stato oggetto di importanti innovazioni da parte del legislatore.

Sottolinea la Corte che il legislatore, in sede di riforma della materia de qua, privilegiando la valutazione degli addebiti disciplinari in sé piuttosto che far discendere conseguenze di natura disciplinare da addebiti mossi in sede penale, ha ritenuto di limitare il potere dell’amministrazione di sospendere cautelarmene il dipendente, potere che la stessa Corte definisce come “…fondato sul mero dato formale della pendenza di un procedimento penale a carico del dipendente senza necessità di alcuna sommaria cognitio in ordine né alla responsabilità dell’imputato, né al (maggiore o minore) rilievo disciplinare della condotta delittuosa, e solo condizionato – oltre che appunto, alla sussistenza di tale presupposto formale -all’apprezzamento della particolare gravità della natura del reato per il quale si procede”.

Relativamente a tale ipotesi, nell’ambito della comparazione degli opposti interessi – da un lato quelli dell’imputato alla ripresa del servizio che riflette il diritto al lavoro, costituzionalmente garantito, dall’altro quelli dell’amministrazione al buon andamento, di pari rilievo costituzionale, da cui la necessità di escludere dal servizio soggetti che per i fatti addebitati potrebbero creare ostacoli al buon esercizio della funzione pubblica – è stata ritenuta ragionevole la scelta del legislatore di stabilire un termine massimo di cinque anni per la durata della sospensione cautelare

Tuttavia, non bisogna confondere la cessazione degli effetti della sospensione cautelare disposta per pendenza del procedimento penale, con la diversa ipotesi in cui l’amministrazione ritenga di fare uso del potere di sospensione facoltativa, laddove sussistano gravi motivi che giustifichino la perdurante, anche se non ancora definitiva, estromissione del dipendente dal luogo di servizio.

In merito il Collegio non ha motivo di discostarsi dall’orientamento maggioritario, secondo il quale è da considerare legittimo il provvedimento di sospensione cautelare facoltativa dal servizio, disposta dall’amministrazione, cessati gli effetti di quella necessaria prevista dall’art. 91 del D.P.R. n. 3/57, se la situazione di fatto e di diritto, cui il provvedimento fa riferimento, è rimasta immutata in quanto l’istruttoria penale non si è conclusa e l’autorità giudiziaria non ha comunicato alcun elemento nuovo che modifichi la posizione del dipendente nell’ambito dell’inchiesta.

Invero, come ribadito dalla stessa Corte, sebbene sia da considerarsi congruo il termine stabilito dalla norma per la durata massima della sospensione obbligatoria ex art.91, è peraltro indubitabile che la disposizione in questione, nello statuire la cessazione di efficacia alla scadenza del quinquennio, non comporta l’automatica riammissione in servizio del dipendente.

Diversamente da quanto ritenuto in proposito dalla difesa istante, la quale invece afferma che automaticamente, scaduto il quinquennio, si sarebbe dovuta disporre la riammissione in servizio del dipendente, in base alle norme vigenti non è precluso all’amministrazione mantenere la sospensione, applicando il disposto di cui all’art. 92 del D.P.R. n. 3/57.

La norma richiamata consente infatti di procedere, dopo che risultano esauriti i termini per la sospensione obbligatoria, alla sospensione cd. facoltativa, quale strumento alternativo di cautela e garanzia delle ragioni dell’amministrazione.

La Corte ha quindi ritenuto possibile “…che, pur decorso il termine quinquennale suddetto, sussistano gravi motivi che, ancorchè non sia esaurito il procedimento penale, giustifichino la perdurante (ma non definitiva) estromissione del dipendente dal posto di lavoro, motivi che però non possono consistere più nel mero dato formale dell’imputazione penale, ma possono (e debbono) riguardare la commissione dell’addebito disciplinare; ciò alla luce di una sommaria cognitio dei fatti che, valutando allo stato ogni aspetto soggettivo ed oggettivo della condotta del dipendente, rinvenga in quest’ultima un insuperabile ostacolo alla sua riammissione in servizio”.

Pertanto, anche per quanto riguarda il caso in esame, la sopravvenuta inefficacia di diritto della sospensione cautelare adottata ex art.91, proprio perché si fonda su un presupposto autonomo e diverso da quello della sospensione facoltativa di cui all’art.92, non esclude, né preclude il ricorso a quest’ultima come strumento di tutela e garanzia delle ragioni dell’amministrazione.

Nel caso di specie, pur essendo scaduti i termini della sospensione obbligatoria, non poteva darsi luogo all’automatica riammissione in servizio del ricorrente, bensì sussisteva l’obbligo dell’amministrazione di attivarsi al fine di valutare la situazione, con particolare riguardo all’evoluzione del procedimento penale, in ragione del pubblico interesse, onde determinarsi nel senso di una riassunzione in servizio ovvero della reiterazione della sospensione (questa volta non obbligatoria, ma discrezionale).

In tale senso si è quindi attivata l’amministrazione intimata (la quale già in precedenza si era orientata in tal senso, comunicando l’avvio del procedimento per l’adozione del provvedimento di sospensione ex art.92), rivolgendosi in più riprese all’autorità giudiziaria titolare dell’inchiesta penale per conoscere gli sviluppi e l’evoluzione del procedimento in corso.

All’esito di tali indagini, ritenuta la sussistenza di gravi motivi che giustificavano in considerazione dei fatti imputati l’impossibilità di riammettere in servizio il dipendente, è stato assunto il provvedimento impugnato, sulla base di una valutazione che, pur nella sua ampia discrezionalità, risulta adeguata e non irragionevole, irrazionale o contraddittoria, in considerazione del discredito che la stessa amministrazione potrebbe subire da una eventuale riammissione in servizio del ricorrente e del disagio che tale rientro avrebbe creato nella sede di lavoro.

Appare, peraltro, doveroso precisare, a confutazione di quanto denunciato in ricorso, che la disposta sospensione, la quale, come si ricava dal dispositivo del decreto del 16.9.2004, dispone la continuazione di quella già in atto, è comunque soggetta a termine finale, atteso che la sospensione è disposta sino all’esito del procedimento disciplinare ed a quello penale, eventi che, pur se incerti nel “quando”, sono comunque certi nell’ “an”.

Va inoltre precisato che tale diverso tipo di sospensione, proprio perché basata su un presupposto di carattere sostanziale, consistente nella valutazione del pregiudizio derivante dalla riammissione in servizio del dipendente, comporta, come sottolineato dalla Corte nella più volte citata sentenza, a garanzia del diritto di difesa del dipendente, che nel termine di quaranta giorni dalla data in cui il provvedimento è stato comunicato all’interessato, siano in ogni caso contestati i relativi addebiti.

In tal modo il dipendente ulteriormente sospeso potrà difendersi e negare la sussistenza o l’idoneità della disposta sospensione in rapporto ai gravi motivi ad essa sottesi.

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, ove con il provvedimento del 5.10.2004 è stato comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento disciplinare, contenente la contestazione degli addebiti e l’assegnazione dei termini a difesa.

Detto procedimento disciplinare, peraltro, è stato poi correttamente sospeso, essendo detta sospensione obbligatoria in pendenza del procedimento penale, così come previsto dall’art. 117 del medesimo D.P.R. n. 3/57 : pertanto, per effetto del combinato disposto dell’art.92 e dell’art.117, come confermato ancora una volta dalla Corte nella richiamata pronuncia, l’obbligatoria sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale si ha non appena comunicata tale contestazione.

In conclusione, per tutte le considerazioni sin qui svolte, ritenuta la legittimità dell’operato dell’amministrazione e l’insussistenza del diritto all’automatica riassunzione in servizio del ricorrente alla scadenza del termine quinquennale di durata della sospensione obbligatoria ex art.91 D.P.R. n.3/57, il ricorso va respinto.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni altra domanda o eccezione, lo respinge.

Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, addì 29 gennaio 2009.

Il Presidente L’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Prima Sezione

T.A.R. per il Veneto – I Sezione n.r.g. 3509/04

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

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