Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-04-2011) 24-06-2011, n. 25457

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione A.E.R. e A. G.G. avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta in data 23 marzo 2010 con la quale – a parte il riconoscimento del condono al solo A.G. – è stata confermata la sentenza di primo grado, affermativa della loro responsabilità in ordine al reato di minacce gravi commesse, con l’uso di un bastone, ai danni di C.S. nel (OMISSIS).

Deducono:

1) La violazione degli artt. 612 e 339 c.p..

La Corte avrebbe dovuto riconoscere la insussistenza della aggravante contestata atteso che non tutti i bastoni possono essere ritenuti armi improprie.

Ne doveva conseguire il proscioglimento dalla fattispecie semplice, per mancanza di querela ovvero, attese le dichiarazioni della persona offesa a verbale, in ipotesi tali da integrare la condizione di procedibilità, la applicazione della sanzione della sola multa;

2) La violazione di legge in relazione alle statuizioni civili.

In merito alla quantificazione del danno morale nella somma di Euro 1000 complessivamente, il giudice di primo grado non aveva speso alcuna argomentazione. Tale vizio, eccepito dinanzi alla Corte d’appello, avrebbe dovuto da questa essere rilevato, con conseguente declaratoria della relativa nullità, e non emendato con una motivazione integratrice;

3) La stessa violazione di legge con riferimento alla condanna di A.G. al pagamento delle spese sostenute nel grado di appello dalla parte civile. Già il giudice di primo grado aveva evidenziato in sentenza che la costituzione di parte civile non aveva riguardato la posizione di A.G. – temporaneamente, all’epoca, separata.

Il giudice dell’appello, includendo anche il graziano tra i soggetti soccombenti ai fini delle statuizioni civili, aveva dunque operato una reformatio in pejus non giustificata;

4)la violazione degli artt. 75 e 541 c.p.p. e nonchè del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110.

La parte civile era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, al pari degli odierni ricorrenti.

Pertanto gli altri appellanti, non ammessi allo stesso beneficio, non avrebbero dovuto essere condannati al pagamento delle spese della parte civile, in favore della stessa, bensì in favore dello Stato.

Avendo invece il giudice dell’appello pronunciato condanna degli appellanti in solido al pagamento in favore della parte civile, ne deriva che costei è titolata ad agire personalmente anche contro gli odierni ricorrenti, invece ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

Il ricorso di A.G. è fondato nei termini che si indicheranno.

L’ulteriore ricorso deve essere rigettato.

Il primo motivo è invero inammissibile per genericità.

Invero i ricorrenti lamentano la inconferenza della giurisprudenza alla quale si è rifatta la corte nissena, giurisprudenza secondo la quale integra il delitto di minaccia aggravata ai sensi dell’art. 612 c.p., comma 2, la minaccia fatta con un bastone, considerato che nel novero delle armi rientrano non solo quelle proprie ma anche quelle improprie e cioè gli strumenti atti ad offendere dei quali è vietato dalla legge il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo, ex art. 585 c.p., comma 2, (Rv. 235776).

Tuttavia non indicano la ragione in fatto per la quale tale giurisprudenza sarebbe non calzante in relazione alla fattispecie concreta e soprattutto non allagano neppure di avere rappresentato tale questione, nei necessari termini di specificità richiesti dall’art. 581 c.p.p., al giudice dell’appello. Ne consegue che la intera tematica è preclusa.

Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.

Costituisce orientamento condiviso dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il potere di annullamento della sentenza impugnata, tipico della giurisdizione di legittimità, è esercitato in appello nei soli casi previsti dall’art. 604 c.p.p..

Al di fuori di queste ipotesi tassative, in cui non trova collocazione quella della carenza, sia pur totale, di motivazione, si applicano i principi di conservazione degli atti e di economia processuale, in forza dei quali è riconosciuto al giudice di appello il potere di sostituirsi, nella valutazione del fatto al giudice di primo grado, mediante la correzione, la integrazione e, persino, la integrale redazione della motivazione (Rv. 197335; Rv. 215726; Rv.

231702; Rv. 236181; Rv. 232058; Rv. 236062; Rv. 240554 ;Rv. 244118;

Rv. 246227).

Il terzo motivo, riguardante, come sopra rilevato, la posizione del solo A.G., deve essere accolto.

Dalla lettura della sentenza di primo grado si evince che effettivamente la costituzione della parte civile non ha riguardato la posizione di A.G., il quale, conseguentemente, non è stato condannato, dal Tribunale di Gela al pagamento delle spese della parte civile e tantomeno al risarcimento del danno da questa patito.

Tale situazione era destinata a produrre i propri effetti anche in appello, sicchè la statuizione contenuta nella sentenza impugnata, di condanna di A.G., in solido con gli altri appellanti, alla rifusione delle spese sostenute in quel grado dalla parte civile, deve essere eliminata.

Infondato infine è l’ultimo motivo di ricorso.

La richiesta della difesa è quella di dare applicazione al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, che prevede che, in caso di accoglimento della domanda di risarcimento danni della parte civile che sia stata previamente ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, l’imputato "non" ammesso al medesimo beneficio deve essere condannato al pagamento delle spese della parte civile "in favore" però "dello Stato".

Ebbene una simile richiesta non può certo più riguardare la posizione di A.G., nei confronti del quale è stata riconosciuta la assenza di costituzione di parte civile, ossia del titolo che, solo, avrebbe legittimato, in questo processo penale, la persona offesa, a richieste di tipo civilistico nei suoi confronti.

Per quanto concerne la posizione di A.E., d’altra arte, si rileva in primo luogo che il ricorrente ha omesso di allegare, anche solo in copia, il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello stato che riguarderebbe sia la sua situazione che quella della parte civile. E già tale lacuna vale a connotare di genericità il motivo di ricorso che, come stabilisce l’art. 581 c.p.p., deve essere specifico e, in base alla costante giurisprudenza, deve essere anche autosufficiente ossia recare in allegato il documento che costituisce la base della censura mossa.

In più la difesa chiede la applicazione della suddetta norma che concerne imputati "non ammessi" al gratuito patrocinio e non anche quelli ammessi, categoria nella quale, stando alle prospettazioni del ricorso, dovrebbe rientrare A.E.. Ogni questione derivante dalla esecuzione del titolo di spesa, d’altro canto, ben potrà trovare soluzione in sede civile mediante la opposizione agli atti esecutivi.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna di A.G.G. al pagamento, in grado di appello, delle spese della parte civile, statuizione che elimina.

Rigetta nel resto il ricorso del suddetto A.G.G. e rigetta altresì il ricorso di A.E.R., condannando quest’ultimo al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *