Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-03-2011) 24-06-2011, n. 25354

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 10.8.2010 il Tribunale del Riesame di Catanzaro rigettava il ricorso proposto da B.M. avverso l’ordinanza cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro in data 17.7.2010 per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p. (capo 1), art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e art. 628 c.p., n. 1 e 3 e D.L. n. 152 del 1991 art. 7, (capo 2) art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e art. 628 c.p., n. 1 e 3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (capo 3) artt. 110 e 81 D.L. n. 152 del 1991, art. 629 c.p., comma 2 con riferimento all’art. 628 c.p., n. 1 e 3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (capo 3- bis) artt. 110 e 56 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e art. 628 c.p., n. 1 e 3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, (capo 4) art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 con riferimento art. 628 c.p., n. 1-3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, (capo 7) artt. 110 e 81 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e art. 628 c.p., n. 1-3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (capo 8), art. 81 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e art. 628 c.p., n. 1-3 e art. 7 D.L. n. 152 del 1991 (capo 9-bis); artt. 56 e 81 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e art. 628 c.p., n. 1-3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (capo 9-ter) art. 110, D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, conv. L. n. 356 del 1992, D.L. n. 152 del 1991, art. 7, (capo 25); D.L. n. 306 del 1992, artt. 110 e 12 quinquies, conv. L. n. 356 del 1992, D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (capo 26). La vicenda cautelare in argomento costituisce l’epilogo di una complessa attività di indagine svolta dal GICO di Catanzaro e dai CC del Comando Provinciale di Cosenza (operazione Santa Tecla) finalizzata ad accertare le attività delittuose svolte nella zona di (OMISSIS) da soggetti appartenenti o comunque gravitanti attorno al "locale di (OMISSIS)".

Il Tribunale premetteva che la sussistenza sin dagli anni 90 del secolo scorso di un’associazione per delinquere di stampo mafioso in Corigliano era già stata accertata con sentenze passate in giudicato.

Dopo un excursus storico che dava conto della genesi del locale di (OMISSIS) sottolineava come gli arresti e poi le condanne nel processo c.d. "Set Up" conclusosi con la sentenza del dicembre 2005, ormai passata in giudicato, avevano determinato un forte ridimensionamento della cosca coriglionese che era degradata al rango di ‘ndrina subordinata al locale zingaro di (OMISSIS).

La genesi del locale zingaro di (OMISSIS) era stato il tema del processo c.d. "Sibarys" che si era concluso nel giugno 2008 con la condanna, fra gli altri, di A.F. noto come "(OMISSIS)" e P.D..

Nel 2002 era uscito dal carcere F.G. che non solo aveva rivendicato l’egemonia del locale di (OMISSIS), ma aveva preteso di restaurare i vecchi rapporti. Per questo fu ucciso da killers degli A..

Nel novembre 2006 veniva eseguita la c.d. operazione "Corinan" che ricostruiva alcuni affari della cosca e che dava luogo ad un processo conclusosi nel settembre 2009 che riconosceva la persistenza del locale coriglianese.

Secondo il Tribunale le indagini svolte nell’ambito del presente procedimento, consistite nell’ascolto di intercettazioni telefoniche ed ambientali; servizi sul territorio che hanno portato ad arresti e sequestri di armi e stupefacenti; acquisizione di documentazione contabile; dichiarazione di numerosi collaboranti di giustizia, di indiscussa attendibilità, quali: R.T., C.G., B.G., CI.An., CA.An., C. G., A.C., CU.Vi., hanno permesso di accertare, come l’assenza di un capo incontrastato che dirigesse il sodalizio criminoso, aveva determinato il sorgere di un contrasto fra B.M., rimasto legato agli zingari, e M.P. S., che si muoveva invece in autonomia, per l’assunzione della leadership, di individuare l’organigramma delle fazioni in lotta tra loro, di pervenire all’identificazione di molti componenti dell’associazione e di delinearne i compiti.

Le ragioni della contesa trovavano origine nella pretesa di monopolio dell’offerta di stupefacente il B. imputava al M. di importare cocaina da (OMISSIS) in autonomia rispetto al gruppo. Le indagini hanno accertato che effettivamente M.P.S., tramite la famiglia PRESTA di (OMISSIS), acquistava cocaina a (OMISSIS) ed altrove per farla spacciare a (OMISSIS).

Con riguardo al ricorrente sosteneva il Tribunale la sussistenza della gravità indiziaria con riguardo a tutti i delitti contestati al B. In particolare con riguardo al capo 1) sottolineava come sia CO.Gi. che A.C. avevano riferito della posizione e dei compiti svolti dal B. in seno alla cosca coriglianese.

CO.Gi. lo aveva indicato prima come dirigente e poi come contabile della cosca. Le sue dichiarazioni erano confermate dall’ A., cognato e autista del B., che aveva riferito dell’importanza e del rispetto che quest’ultimo vantava all’interno del locale di (OMISSIS) e della sua vicinanza con AB. F. alias (OMISSIS), che all’inizio degli anni 2000 concordò con PE.Na., all’epoca detenuto, l’investitura di B. quale responsabile della predetta consorteria, nonchè quale referente degli zingari in (OMISSIS). Fu lui a condurre il cognato alla riunione ove gli fu riconosciuto il prestigioso incarico.

Da quel momento il B. iniziò a gestire le estorsioni nella zona di (OMISSIS) su incarico degli ABBRUZZESE. L’attività di indagine aveva consentito anche di accertare che la ditta del fratello di B.M., BA.Fa., costituita nel gennaio 2001 ed operante nel settore della tinteggiatura e posa in opera di vetrate, veniva utilizzata dalla cosca per veicolare i profitti illeciti nelle casse dell’associazione in argomento. Con riguardo all’estorsione di cui al capo 2) venivano richiamate le dichiarazioni delle parte lesa CU.Pi. e A. C., con riguardo al capo 3) le dichiarazioni di C.P. riscontrate dagli accertamenti bancari e fiscali e dall’esito delle conversazioni intercettate, con riguardo al capo 3-bis) le dichiarazioni de relato di A.C. riscontrate dalla persona offesa R.C., con riguardo al capo 4) le dichiarazioni di A., CU.Vi. con riguardo al capo 7) dalle dichiarazioni della parte offesa CU.Pi. riscontrate dai collaboratori AL. e C.; con riguardo al capo 8) dalle dichiarazioni della parte offesa CU.Pi.; con riguardo al capo 9-bis) dalle dichiarazioni di AL. e CU. riscontrate dalle dichiarazioni degli imprenditori vessati ( O.P.P. e R.C.); con riguardo al capo 9-ter) dalle dichiarazioni di AL. riscontrate dalle dichiarazioni della parte offesa V. F. e dagli accertamenti contabili; con riguardo ai capi 25) e 26) le dichiarazioni di A.C. e CU.Vi. che indicano CI.Lu., titolare della ditta individuale " C. L." come prestanome della cosca, cioè soggetto pulito cui gli uomini del locale di (OMISSIS) in particolare B.M. e MA.Gi. avevano deciso di intestare ditte esercenti attività di fornitura di prodotti di cartoplastica al fine di scongiurare sequestri o misure di prevenzione. Analoghe considerazioni erano indicate con riguardo a M.L. C. titolare della ditta individuale M.L.C, di M.C. L..

Ricorre per Cassazione il difensore dell’indagato deducendo che l’ordinanza impugnata è incorsa in :

1. violazione degli artt. 238 bis, 187 e 192 c.p.- vizio motivazionale ed erronea valutazione dei fatti accertati con sentenze irrevocabili. Contesta il ricorrente che i giudici del Riesame hanno ignorato gli accertamenti contenuti nelle sentenze irrevocabili richiamate e non hanno spiegato le ragioni per cui hanno indicato il B. come reggente del locale di Corigliano.

2. erronea valutazione delle fonti indiziarie, travisamento dei fatti. Omessa motivazione. Sostiene il ricorrente che la motivazione dell’ordinanza è solo apparente in quanto i collaboratori indicati non hanno mai rivestito ruoli primari all’interno del locale di (OMISSIS).

3. vizio motivazionale in ordine ai gravi indizi di colpevolezza del B. con riguardo a tutti i reati a lui contestati. Contesta l’attendibilità di A.C. in rapporti di inimicizia con la famiglia BARILARI. Sottolinea come sia stato accertato che il collaboratore, all’interno di questo procedimento, abbia accusato falsamente la famiglia R.N., F.L. e MA.Ro.. Lamenta che il Tribunale non ha motivato le contraddizioni fra le dichiarazioni dell’ AL. e la documentazione prodotta dalla difesa che attesta una controversia giudiziaria fra quest’ultimo e M.L.C.. Per quanto riguarda la tentata estorsione in danno di MA.Ma. eccepisce anche che il procedimento era stato archiviato dal GIP del Tribunale di Rossano e che il P.M. non aveva richiesto la revoca del provvedimento d’archiviazione con conseguente improcedibilità dell’azione.

4. violazione di legge per insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di estorsione. Sottolinea il ricorrente come per ottenere i lavori e poi il pagamento non sia mai stata utilizzata violenza o minaccia e come il B. dall’esecuzione dei lavori a CU.Gi. e ai soci R. – O. non abbia tratto profitto. Evidenzia come le presunte estorsioni in danno di CU. G., consumate secondo l’accusa con l’emissione di fatture gonfiate, andavano meglio qualificate come truffe.

Il ricorso è infondato.

Con i motivi di cui ai punti 1, 2 e 3 lamenta il ricorrente un vizio della motivazione.

In proposito vanno richiamati i principi, ripetutamente affermati da questa Corte, che regolano il sindacato del giudice di legittimità.

La mancanza di motivazione consiste nell’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito, non già nell’insufficienza di essa o nella mancata confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che è stato trattato dal giudice del provvedimento impugnato, con implicito rigetto della diversa valutazione operata da quella della parte.

Così come il controllo di legittimità non si estende alle incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici e tali, perciò, da costituire fratture logiche, all’interno del discorso giustificativo, tra premesse e conclusioni. La verifica che la Corte di Cassazione, in forza dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è abilitata a compiere sulla correttezza e completezza della motivazione riguarda la congruità logica e l’interna coerenza dell’apparato argomentativo posto a base della decisione impugnata e non va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito.

La Corte Suprema non è quindi legittimata a controllare la rispondenza alle risultanze processuali e l’adeguatezza in concreto delle scelte operate, nell’ambito delle sue esclusive attribuzioni, dal giudice di merito in ordine alla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, ma soltanto a riscontrare l’esistenza di una reale e non apparente struttura motivazionale, completa e logicamente coerente con il materiale probatorio valutato.

Esclusa pertanto una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, non può integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. Un., 29.1.1996, Clarke; 23.2.1996, P.G., Fachini e altri; 22.10.1996, Di Francesco; 2.7.1997, Dessimone e altri).

La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi.

Deve aggiungersi che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure, che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente.

Deve altresì rilevarsi che non è certamente questa, del sindacato di legittimità, la sede dove possa essere rimesso in discussione l’apprezzamento fattuale, riservato ai giudici del merito, sulle circostanze caratterizzanti la credibilità soggettiva e l’intrinseca affidabilità del racconto del collaboratore. Ma è precipuo compito della Corte di cassazione verificare se sia stata fatta, o non, corretta applicazione del criterio stabilito dall’art. 192 c.p.p., comma 3 ai fini della valutazione dell’effettiva consistenza probatoria delle chiamate in reità.

Risulta invero ormai compiutamente delineata nella giurisprudenza di legittimità, in tema d’interpretazione del canone di valutazione probatoria fissato dall’art. 192 c.p.p., comma 3, l’operazione logica conclusiva di verifica giudiziale della chiamata in reità di un collaboratore di giustizia, alla stregua della quale essa, perchè possa assurgere al rango di elemento di prova pienamente valido a carico del chiamato ed essere posta a fondamento di un’affermazione di responsabilità, seppure in termini di gravità indiziaria, necessita, oltre che del positivo apprezzamento in ordine alla sua intrinseca attendibilità, anche di riscontri esterni, i quali debbono avere carattere "individualizzante" per il profilo dell’inerenza soggettiva al fatto, cioè riferirsi ad ulteriori, specifiche, circostanze, strettamente e concretamente ricolleganti in modo diretto il chiamato al fatto di cui deve rispondere. Con il lineare corollario che le accuse introdotte mediante dichiarazioni de relato, aventi ad oggetto la rappresentazione di fatti noti al dichiarante non per conoscenza diretta ma perchè appresi da terzi, in tanto possono integrare una valida prova di responsabilità in quanto, oltre che intrinsecamente affidabili con riferimento alle persone del dichiarante e delle fonti primarie, siano sorrette da convergenti e individualizzanti riscontri esterni, in relazione al fatto che forma oggetto dell’accusa ed alla specifica condotta criminosa dell’incolpato, essendo necessario, per la natura indiretta dell’accusa, un più rigoroso e approfondito controllo del contenuto narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa.

Ciò detto deve evidenziarsi che il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei criteri ermeneutici sopra indicati.

Con riguardo al terzo motivo di doglianza con motivazione logica e coerente il Tribunale ha dato conto dell’attendibilità intrinseca dei chiamanti, sottolineando in particolare l’inconferenza delle illazioni addotte dalla difesa allo scopo di dimostrare che dette dichiarazioni accusatorie erano mosse da ragioni di inimicizia del collaboratore AL., cognato del ricorrente, nei confronti di quest’ultimo e, per estensione di tutti i famigliari. Ha infatti sottolineato la convergenza delle dichiarazioni di AL. e CO. che avevano riferito della posizione e dei compiti svolti dal B. in seno alla cosca coriglianese. Dichiarazioni che trovavano conferma, con riguardo agli specifici reati contestati, anche in quanto affermato da CU.Vi. e dalle parti offese CU.Pi., O.P.P. e R.C..

A fronte di tale specifico quadro probatorio le doglianze difensive realizzano delle generiche censure in fatto che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.

Generiche sono anche le doglianze indicate ai punti 1 e 2 del ricorso secondo le quali vi sarebbe un difetto di motivazione o comunque un’erronea valutazione con riguardo ai fatti accertati nelle sentenze irrevocabili acquisite in atti ed avendo il Tribunale giudice dato un’erronea valutazione delle fonti indiziarie.

Il Tribunale del Riesame ha infatti dato conto del proprio convincimento sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, esaurientemente argomentando circa la sussistenza del quadro indiziario Nell’esame operato le acquisizioni probatorie risultano interpretate nel pieno rispetto dei canoni legali di valutazione e risultano applicate con esattezza le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la conferma dell’ordinanza cautelare impugnata.

Inoltre il ricorrente non indica, neppure in modo sommario, il contenuto delle prove travisate, così non consentendo l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte o malamente risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifica di questa Corte Suprema (cfr. ad es. Cass. Sez. 6A n. 21858 del 19.12.2006, dep. 5.6.2007; Cass. Sez. 2A n. 27044 del 29.5.2003, dep. 20.6.2003; Cass. Sez. 5A n. 2896 del 9.12.98, dep. 3.3.99; Cass. S.U. n. 21 dell’I 1.11.94, dep. 11.2.95).

Generica è anche la doglianza avanzata con riguardo alla violazione dell’art. 414 c.p.p..

Va, innanzi tutto, precisato che la riapertura delle indagini in violazione dell’art. 414 c.p.p. comporta solo l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dal PM dopo il provvedimento di archiviazione. Il ricorrente non ha precisato nè gli atti di indagine che sarebbero colpiti da tale inutilizzabilità, nè la loro influenza sulla decisione finale.

Generico e versato in fatto è anche il quarto motivo. Lamenta il ricorrente, sulla scorta delle risultanze processuali, la non corretta valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del delitto di estorsione.

Deve però osservarsi che, quando la doglianza, come nel caso in esame, fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante l’allegazione del contenuto degli atti specificatamente indicati, essendo precluso alla Corte l’esame diretto degli stessi, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr.

Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08).

Nel caso in esame il ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare la sussistenza o l’insussistenza di fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti.

In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una ordinanza, come quella impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata.

Il ricorso è pertanto infondato e deve essere respinto. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p.. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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