Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-03-2011) 24-06-2011, n.Detenzione, spaccio, cessione, acquisto 25351

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 5.8.2010 il Tribunale del Riesame di Catanzaro rigettava il ricorso proposto da M.A. avverso l’ordinanza cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro in data 17.7.2010 per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3 e 5 in relazione all’art. 80, comma 1, lett. c) ed e), comma n. 2 (capo 1-bis).

Il Giudice del Riesame, richiamata integralmente l’ordinanza applicativa con riguardo alla descrizione dei fatti delittuosi, contestati al M., rappresentava che la vicenda cautelare in argomento costituiva l’epilogo di una complessa attività di indagine svolta dal GICO di Catanzaro e dai CC del Comando Provinciale di Cosenza (operazione Santa Tecla) finalizzata ad accertare le attività delittuose svolte nella zona di (OMISSIS) da soggetti appartenenti o comunque gravitanti attorno al "locale di (OMISSIS)".

Il Tribunale premetteva che la sussistenza sin dagli anni 90 del secolo scorso di un’associazione per delinquere di stampo mafioso in Corigliano era già stata accertata con sentenze passate in giudicato.

Dopo un excursus storico che dava conto della genesi del locale di (OMISSIS) sottolineava come gli arresti e poi le condanne nel processo c.d. "Set Up",conclusosi con la sentenza del dicembre 2005, ormai passata in giudicato, avevano determinato un forte ridimensionamento della cosca coriglionese che era degradata al rango di ‘ndrina subordinata al locale zingaro di (OMISSIS).

La genesi del locale zingaro di (OMISSIS) era stato il tema del processo c.d. "Sibarys" che si era concluso nel giugno 2008 con la condanna, fra gli altri, di A.F. noto come "(OMISSIS)" e P.D..

Nel 2002 era uscito dal carcere F.G. che non solo aveva rivendicato l’egemonia del locale di Corigliano, ma aveva preteso di restaurare i vecchi rapporti. Per questo fu ucciso da killers degli A..

Nel novembre 2006 veniva eseguita la c.d. operazione "Corinan" che ricostruiva alcuni affari della cosca e che dava luogo ad un processo conclusosi nel settembre 2009 che riconosceva la persistenza del locale coriglianese.

Secondo il Tribunale le indagini svolte nell’ambito del presente procedimento, consistite nell’ascolto di intercettazioni telefoniche ed ambientali; servizi sul territorio che hanno portato ad arresti e sequestri di armi e stupefacenti; acquisizione di documentazione contabile; dichiarazione di numerosi collaboranti di giustizia, di indiscussa attendibilità, quali: R.T., C.G., B.G., C.A., CA.An., C. G., A.C., CU.Vi., hanno permesso di accertare, come l’assenza di un capo incontrastato che dirigesse il sodalizio criminoso, aveva determinato il sorgere di un contrasto fra B.M., rimasto legato agli zingari, e M.P. S., che si muoveva invece in autonomia, per l’assunzione della leadership, di individuare l’organigramma delle fazioni in lotta tra loro, di pervenire all’identificazione di molti componenti dell’associazione e di delinearne i compiti e la struttura.

Le ragioni della contesa trovavano origine nella pretesa di monopolio dell’offerta di stupefacente: il B. imputava al M. di importare cocaina da (OMISSIS) in autonomia rispetto al gruppo.

Le indagini hanno accertato che effettivamente M.P. S., tramite la famiglia P. di (OMISSIS), acquistava cocaina a (OMISSIS) ed altrove per farla spacciare a (OMISSIS). Il Tribunale affermava che le emergenze investigative hanno accertato l’esistenza di una struttura organizzata, costituita da M.S.P., che aveva approfittato di un momento particolare della malavita coriglianese, rimasta priva di un capo carismatico, attiva nel traffico degli stupefacenti a partire dal 2005 con ramificazioni non solo nel territorio calabrese (in particolare a (OMISSIS)) ma anche in (OMISSIS), operante in un apprezzabile arco temporale e volta alla realizzazione di un numero indefinito di condotte delittuose, poste in essere secondo uniformi modalità attuative indicative della pregressa intesa plurisoggettiva. Con riguardo alla partecipazione del M. il Tribunale richiamava l’imponente materiale di accusa confluito nell’ordinanza applicativa e consistito in particolare dagli esiti di intercettazioni telefoniche che attestano la sistematica dedizione dell’indagato allo spaccio e la sua costante e consapevole collaborazione con P.R. il cui ruolo era quello di raccordo con i vertici dell’associazione, composto dai suoi fratelli A. e G. e da M.P.S..

Il giudice del Riesame riteneva sussistenti le esigenze cautelari di reiterazione del reato, tutelabili solo con la detenzione carceraria secondo anche il disposto di legge ( art. 275 c.p.p., comma 3 nella nuova formulazione).

Ricorre per Cassazione il difensore dell’indagato deducendo che l’ordinanza impugnata è incorsa in violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 273 c.p.p..

Lamenta il ricorrente la mancanza , incongruenza, contraddittorietà della motivazione. Sottolinea come al M. non sia contestato alcun reato scopo e che le intercettazioni richiamate riguardano solo due giorni. In data 11.3.2011 depositava memoria con la quale sottolineava che all’indagato era stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini nel quale il capo di imputazione era rimasto immutato. Nessuna contestazione di reati fine era stata avanzata nei confronti del M..

Il ricorso è infondato.

Lamenta il ricorrente un vizio della motivazione con riguardo all’apparato logico argomentativo dell’ordinanza impugnata.

In proposito vanno richiamati i principi, ripetutamente affermati da questa Corte, che regolano il sindacato del giudice di legittimità.

La mancanza di motivazione consiste nell’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito, non già nell’insufficienza di essa o nella mancata confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che è stato trattato dal giudice del provvedimento impugnato, con implicito rigetto della diversa valutazione operata da quella della parte.

Così come il controllo di legittimità non si estende alle incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici e tali, perciò, da costituire fratture logiche, all’interno del discorso giustificativo, tra premesse e conclusioni. La verifica che la Corte di Cassazione, è abilitata a compiere sulla correttezza e completezza della motivazione riguarda la congruità logica e l’interna coerenza dell’apparato argomentativo posto a base della decisione impugnata e non va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito.

La Corte Suprema non è quindi legittimata a controllare la rispondenza alle risultanze processuali e l’adeguatezza in concreto delle scelte operate, nell’ambito delle sue esclusive attribuzioni, dal giudice di merito in ordine alla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, ma soltanto a riscontrare l’esistenza di una reale e non apparente struttura motivazionale, completa e logicamente coerente con il materiale probatorio valutato.

Deve aggiungersi che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure, che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente.

Ciò detto deve rilevarsi che il Tribunale con motivazione coerente e logica ha dato conto delle ragioni che lo hanno portato alla conferma del provvedimento restrittivo nei confronti del M. richiamando specifici atti di indagine (esiti di intercettazioni telefoniche riscontrati da perquisizioni e sequestri) dai quali erano emersi elementi indicativi della sistematica dedizione dell’indagato allo spaccio di sostanza stupefacente, ma soprattutto la sua costante e consapevole collaborazione con P.R. e tramite lui con altri sodali. Il giudice del Riesame ha altresì dato atto di avere valutato le interpretazioni alternative degli elementi indiziari fornite dalla difesa ma che le stesse erano rimaste assorbite nell’apprezzamento complessivo del quadro d’accusa che aveva determinato la conferma del provvedimento impugnato.

A fronte di un’ ordinanza che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di reato a carico del M. in ordine alla partecipazione alla associazione in esame, le doglianze difensive realizzano delle generiche censure in fatto che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.

Il ricorso è pertanto infondato e deve essere respinto. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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