Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-03-2011) 24-06-2011, n. 25329

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1.3.2010 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del GUP presso il Tribunale di Roma che, in data 28.11.2006, aveva condannato L.R., alle pene ritenute di giustizia, per violazione in concorso del D.L. n. 143 del 1991, art. 12.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è nulla per violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. e per illogicità, contraddittorietà e apoditticità della motivazione. Contesta il ricorrente la valutazione operata dai giudici di secondo grado con riguardo alle dichiarazioni dei correi A.R. e C.C. e sostiene la buona fede dell’imputato, esclusa in maniera irragionevole dalla Corte Capitolina. Il ricorso è inammissibile perchè generico e versato in fatto. Lamenta il ricorrente un vizio di motivazione. Sul punto va ricordato che anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi, (cfr, tra le tante: Cass. Sez. 2 n. 38915/07; Cass. Sez. 4 n. 35683/07; Cass. Sez. 4 n. 15556/08; Cass. Sez. 6 n. 18491/10).

Ciò detto le censure del ricorrente si appalesano manifestamente infondata perchè il L., sotto il profilo del vizio di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati di fatto non consentita in questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti sempre un giudizio di legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito Nel caso in esame la Corte territoriale ha dato contezza con argomentazione coerente e logica delle ragione che l’hanno portata ad affermare la responsabilità dell’imputato rispondendo a tutte le doglianze.

L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce la declaratoria di prescrizione maturata, nel caso in esame, il 9.7.2010 e quindi dopo la sentenza impugnata (Sez. un., 27 giugno 2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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