Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-03-2011) 24-06-2011, n. 25388 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente D.C.D.V.G. impugna per cassazione la sentenza in epigrafe indicata resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. che gli ha applicato la pena, secondo la concorde richiesta delle parti, per quattro reati di cui all’art. 316 ter c.p..

Deduce che:

– il patteggiamento si è proceduralmente reso possibile a seguito della modifica dell’imputazione originaria del delitto ex art. 640 bis c.p. in quella del delitto ex art. 316 ter c.p., ma tale possibilità in realtà non sussisteva in quanto non c’è stata alcuna contestazione di fatto diverso, bensì una mera sostituzione della indicazione del secondo articolo a quello precedentemente indicato;

– la suddetta riqualificazione non è stata motivata ed è in insanabile contrasto col tenore dell’imputazione, che fa riferimento ad "artifizi e raggiri".

Il collegio premette che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte sua il giudice ha il potere dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerge in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p.. Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 c.p.p. – l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie perchè essi sono coperti dal patteggiamento.

Tanto premesso il Collegio osserva che il ricorso è inammissibile, in quanto, al di là di ogni discorso sull’interesse e sulla legittimazione dell’imputato a ricorrere (essendosi, la presunta illegittimità denunciata, tradotta nell’offrirgli una opportunità in più e verificata col suo concorso determinante):

– con il primo motivo si pretende di negare che nella specie vi sia stata una effettiva contestazione di un fatto diverso in base al rilievo meramente formale che nel capo di imputazione è rimasto il riferimento agli artifizi e raggiri, laddove è evidente che con la derubricazione del fatto a quello di cui all’art. 316 ter c.p. si è proprio inteso negare che la condotta ascritta abbia integrato i detti artifizi e raggiri, così risultandone una oggettiva modifica della sua delineazione fattuale;

– col secondo motivo si pretende di contestare la operata riconfigurazione del fatto sulla base dello stesso equivoco appena riferito e si denuncia una carenza motivazionale, che non è ravvisatole, in relazione agli obblighi al riguardo incombenti (e onorati, col riferimento alla correttezza della qualificazione giuridica dei fatti) sul giudice, che, nell’applicare la pena concordata, si sia adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le parti (Sez. un., u.p. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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