Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-05-2011) 27-06-2011, n. 25620

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. B.F.L., assistito dal suo difensore di fiducia, proponeva ricorso in appello avverso la sentenza resa il giorno 8 luglio 2009 dal Tribunale di Trento, nella sezione distaccata di Borgo Valsugana, con la quale era stato condannato alla pena di Euro 200,00 di ammenda perchè giudicato colpevole della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., per non aver eseguito l’ordine datogli dal guardiacaccia L.W. di consegnargli il fucile usato in violazione delle norme sulla caccia. In (OMISSIS).

La Corte adita, rilevata l’inammissibilità dell’appello dappoichè proposto avverso condanna alla sola pena pecuniaria e, quindi, in violazione dell’art. 593 c.p.p., comma 3, ne ordinava la trasmissione al giudice di legittimità, a mente dell’art. 568 c.p.p., comma 5. 2.1 Col gravame in parola il ricorrente sviluppa quattro motivi di impugnazione, col primo dei quali denuncia difetto di motivazione sulla sussistenza stessa dei fatti contestati.

Deduce in particolare sul punto la difesa ricorrente che non risulta affatto provato, in termini di certezza quanto meno, che l’imputato abbia sconfinato dalla zona delimitata per il legittimo esercizio dell’attività venatoria (infrazione questa che avrebbe poi giustificato l’invito alla consegna del fucile) giacchè la prova di ciò sarebbe stata dedotta da un accertamento empirico, operato dal guardiacaccia denunciante il giorno seguente ai fatti e sulla base di una osservazione eseguita il giorno prima dallo stesso con un cannocchiale ad oltre un chilometro di distanza.

2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 650 c.p. giacchè insussistente il reato contestato, in particolare osservando che l’ordine la cui inottemperanza è imputata al ricorrente, non appariva legalmente dato, giacchè impartito da soggetto non legittimato quale è il guardiacaccia, cui non può essere riconosciuta la qualifica di agente di p.g..

2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione sul rilievo che farebbe difetto nella fattispecie l’elemento soggettivo del reato in capo all’imputato, giacchè convinto il prevenuto che l’ordine era illegittimo, sia per la persona fisica che glielo rivolgeva, sia perchè non consumata alcuna violazione.

2.4 Col quarto motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente l’illegittimità e l’immotivato diniego della attenuanti generiche, tenuto conto, tra l’altro dell’età dell’imputato, (OMISSIS).

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1 In tema di disciplina della caccia, le guardie volontarie delle associazioni di protezione ambientale rivestono la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, atteso che la L. 11 febbraio 1992, n. 157 attribuisce espressamente alle stesse i compiti di vigilanza venatoria sulla applicazione della medesima legge, in essi ricomprendendosi il potere ispettivo, quello di controllo della fauna abbattuta o catturata ed il potere di accertamento dei reati, cui è necessariamente collegato il dovere di acquisire gli elementi probatori e di impedire che i reati vengano portati ad ulteriori conseguenze (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro dell’arma e delle cartucce operato nell’esercizio dei poteri assegnati alle guardie volontarie venatorie con Cass., Sez. 3, 02/02/2006, n. 6454).

Non ignora certo il Collegio che tale principio non risulta concordemente affermato da questa Corte (si veda, in contrario, e per nulla isolata: Cass., Sez. 3, 9.4.2008, n. 23631) ma nel caso di specie l’imputato rifiutò la consegna del fucile da caccia con il quale aveva commesso l’infrazione faunistica a persona pacificamente e legittimamente investita del ruolo di guardiacaccia provinciale, ma non solo ad essa. Il guardiacaccia agiva infatti contestualmente, come evidenziato dal verbale di trasgressione, a tale S. M., guardia in forza all’ufficio distrettuale Forestale di Primicerio, di guisa che il rifiuto per cui è causa fu, nello specifico, opposto non solo al guardiacaccia, bensì anche a chi l’accompagnava, sul cui ruolo di agente di P.G. non può certamente dubitarsi, a mente del disposto della L. 11 febbraio 1991, n. 157, art. 28. 3.2 Ogni altra censura difensiva involge palesemente i fatti di causa così come motivatamente ricostruiti dal giudicante. L’infrazione infatti non può essere posta in dubbio giacchè accertata da operatori di P.G. e contrastata difensivamente da affermazioni puramente apodittiche (l’accertamento sarebbe avvenuto da lontano e con l’ausilio di un cannocchiale) alle quali il giudicante ha opposto la perfetta conoscenza dei luoghi del guardiacaccia accertatore.

L’elemento psicologico del reato, nella fattispecie punito a titolo di colpa, rinviene con certezza dalla motivata ricostruzione degli accadimenti e nessun valore può essere riconosciuto alla convinzione dell’imputato di non aver violato alcunchè, non potendosi riconoscere a tale convinzione alcun effetto esimente. Motivatamente è stata infine negata la concessione delle attenuanti generiche, il cui effetto sulla pena inflitta nel caso concreto è comunque da considerarsi di rilevanza appena apprezzabile. E’ noto infatti l’insegnamento di questo giudice di legittimità, il quale ha avuto modo più volte di ribadire che, ai fini dell’applicabilità o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il riferimento ad una specifica ragione prevista dalla legge, ritenuta degna di particolare valorizzazione, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza nell’irrogazione della pena, nello specifico, come detto, già di contentissima rilevanza concreta (tra le tante, Cass., Sez. 5, 06/09/2002, n.30284).

4. Il ricorso pertanto, giacchè fondato su argomentazioni del tutto incoerenti con il sistema normativo di riferimento, è inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1000,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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