Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-05-2011) 27-06-2011, n. 25619

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 12.03.2010 la Corte d’appello dell’Aquila, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, esclusi alcuni episodi ritenuti estinti per prescrizione, riduceva la pena nei confronti dell’imputato C.R., per i reati di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2, e art. 336 c.p., avvinti in continuazione, ad anni 1 e mesi 4 di reclusione.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione deducendo: a) le ipotesi ritenute integrare il cit. art. 9, comma 2, avrebbero dovuto essere qualificate ex comma 1, con conseguente estinzione di tali reati per prescrizione; b) per l’episodio di cui al procedimento riunito n. 2045/01 doveva valere l’autorizzazione data dal Tribunale di Chieti il 23.07.2001; c) l’illecito di cui al procedimento n. 1231/03 non poteva sussistere essendo stato commesso dopo la scadenza della vigenza della sorveglianza speciale; d) anche gli episodi del (OMISSIS) dovevano essere qualificati ex art. 9, comma 1, da dichiarare prescritti; e) il fatto riconosciuto come reato ex art. 336 c.p. doveva essere qualificato come minaccia verbale semplice, improcedibile per mancanza di querela.

3. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile con tutte le dovute conseguenze di legge.

Tutti i motivi del ricorso sono, invero, del tutto infondati.

Quanto alla deduzione relativa alla qualificazione giuridica dei fatti ex L. n. 1423 del 1956, art. 9 (comma 1 – si sostiene – e non comma 2, come ritenuto), occorre rilevare come tale motivo, assolutamente generico ed aspecifico, nulla contesti in punto di fatto in ordine alle condotte contestate, mentre la natura della violazione, e quindi la piena correttezza della decisione, discendono ex lege (oltre che da pacifica giurisprudenza di questa Corte). E’ di conseguenza infondata anche la tesi della già maturata estinzione di tali fatti per prescrizione.

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla pretesa autorizzazione avuta dal Tribunale di Chieti, è quanto mai generico, nulla aggiungendo, ed anzi solo ripetendo, quanto già dedotto nelle precedenti fasi di giudizio, e già correttamente disatteso dai giudici del merito. Nulla, in realtà, il ricorrente deduce in ordine alla motivazione della Corte territoriale secondo cui detta autorizzazione non consentiva al C. di recarsi ad (OMISSIS), ove veniva sorpreso in patente violazione alle prescrizioni della misura di prevenzione.

E’ palesemente infondato, altresì, l’ulteriore motivo di ricorso – meramente ripetitivo di argomento già correttamente disatteso nelle precedenti sedi – con il quale si deduce che il fatto commesso in data (OMISSIS) sarebbe successivo alla scadenza della misura, avendo ben motivato i giudici del merito in ordine al fatto che la sorveglianza triennale a carico del C. decorresse – contrariamente a tale infondato assunto – dal 06.03.2001.

Gli episodi in data (OMISSIS) configurano esattamente l’ipotesi delittuosa ex art. 9, comma 2 (e non comma 1, come erroneamente dedotto) proprio perchè – come si legge nello stesso ricorso – esso C. si era portato, senza autorizzazione, in località diverse ((OMISSIS)) da quella prescritta. Non si tratta, dunque, di ipotesi estinte per prescrizione.

Anche l’ultimo motivo di ricorso, relativo al reato ex art. 336 c.p., peraltro generico e meramente assertivo, è inammissibile per proporre una diversa lettura in fatto, non consentita in questa sede di legittimità. Sullo specifico punto, peraltro, la Corte territoriale ha esplicato corretta ed adeguata motivazione, coerente ed immune da vizi logici.

Il ricorso, palesemente infondato in ogni sua deduzione, deve pertanto essere dichiaro inammissibile ex art. 591 c.p.p., e art. 606 c.p.p., comma 3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente imputato al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato e, per certi versi, anche generico (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente C. R. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somme di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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