Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-05-2011) 27-06-2011, n. 25632 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 21.09.2010 il Tribunale di Napoli, costituito ex art. 324 c.p.p., accoglieva parzialmente il ricorso proposto dai coniugi N.P. e C.A. avverso il decreto di sequestro preventivo in data 26.07.2010, limitatamente all’immobile intestato al N. sito in (OMISSIS) ed ai beni intestati alla "Matese Ambiente", rigettando nel resto il ricorso stesso.

Rilevava invero detto Tribunale come risultasse sufficiente fumus di commissione del reato di cui all’art. 110 c.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies posto che l’intestazione ad essi coniugi di quote della società "Greenline", acquistate nel 2004 e nel 2005 da F.N. e F.L., doveva ritenersi fittizia, atteso che i suddetti coniugi, in precedenza dipendenti della società in questione, non possedevano redditi sufficienti all’acquisto (complessivamente per oltre Euro 700.000) e rilevato che le indagini avevano accertato che vero dominus dell’azienda era rimasto il F..

2. Avverso tale ordinanza proponevano ricorso per cassazione gli anzidetti indagati N.P. e C.A. che motivavano il ricorso, con atto unico, deducendo: a) le conversazioni intercettate non dimostravano in modo univoco che F.N. era il proprietario occulto della "Greenline"; b) comunque non vi era il richiesto dolo di elusione in prospettiva di provvedimenti ablativi, ma di incompatibilità con la carica di consigliere regionale rivestita dal F.; C) l’eventuale ingerenza del F. in una singola circostanza non dimostrava la cessione simulatoria; d) indimostrata era anche la ritenuta aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7; d) errata era anche la ritenuta incapacità reddituale degli indagati.

3. Il ricorso, comune ai due indagati, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile con tutte le dovute conseguenze di legge.

Ed invero deve essere dapprima ricordato come, in subiecta materia, il ricorso per cassazione sia ammesso solo per violazione di legge (cfr. art. 325 c.p.p., comma 1) di tal che devono essere espunte dall’odierno scrutinio di legittimità tutte le deduzioni difensive che – comunque denominate nell’atto di ricorso – in sostanza attengono al costrutto motivazionale dell’impugnata ordinanza, ovvero al substrato fattuale della stessa.

Ciò posto, occorre rilevare – comunque – l’infondatezza palese dei proposti motivi di impugnazione.

L’impugnata ordinanza è immune da censure qui azionabili nella ricostruzione della vicenda – allo stato delle indagini ed a questi fini cautelari – e nella corretta individuazione del fumus di una condotta, ascrivibile ai due odierni ricorrenti, di interposizione fittizia, e dunque di fraudolenta intestazione dei beni in questione.

In tal senso risulta insuperabile, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la rilevata sproporzione tra i redditi leciti dichiarati dei due indagati (in precedenza meri dipendenti della società) – ovviamente prima dell’acquisto fittizio – e l’entità valutaria dell’acquisizione, inarrivabile per i due indagati, e per la stessa impegnativa gestione. A fronte di ciò il ricorso, che ripete il tema già respinto dal giudice del controllo cautelare reale, della provenienza ereditaria dei proventi (per macroscopica inadeguatezza), risulta del tutto generico ed apodittico, mancando anche di esprimere valori utili al confronto. Infine, le conversazioni captate, da cui si ricava con assoluta convinzione che il F. resta unico reale dominus della società nella quale gli odierni ricorrenti restano insignificanti spettatori di decisioni altrui, non fanno che confermare, confluendo nel giudizio complessivo, la realtà dell’interposizione fittizia cui il N. e la C. si sono consapevolmente prestati. Anche sul punto l’impugnata ordinanza ben resiste alle infondate quanto inammissibili censure (in fatto e su profili motivazionali).

Anche in ordine alla confermata aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7 il ricorso, che denuncia vizio di motivazione sul punto, risulta inammissibile, attesa anche la sua assoluta genericità, a fronte di motivazione – che peraltro va integrata con quella del Gip – che ampiamente si diffonde sulla strumentalità della vicenda, inserita nel colossale affare della gestione dei rifiuti in Campania, per la criminalità organizzata della zona (ed invero si fa anche rimando ai correlati provvedimenti restrittivi). Tanto induce pure l’evidenza di un dolo finalizzato all’elusione di eventuali provvedimenti ablativi, rimanendo così irrilevante – e comunque secondaria – eventuale ulteriore prospettiva personale (o politica) del F., che in nessun modo risulta che gli odierni ricorrenti abbiano fatta propria.

Il ricorso, infondato dunque in modo manifesto, deve pertanto essere dichiarato inammissibile, ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3.

Alla declaratoria d’inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso proposto in termini del tutto infondati (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti N. P. e C.A. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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