Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-05-2011) 27-06-2011, n. 25666 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di T.F. avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Roma in data 13.1.2010, con la quale è stata confermata la sentenza di Tribunale di Latina in data 6.10.2005 che riconosceva il Te. colpevole del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (detenzione a fini di spaccio di gr. 44,175 di hashish) condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa. Il T. era stato fermato e controllato mentre era a bordo di un motorino nel cui bauletto oltre che sulla sua persona e nella sua abitazione venivano rinvenuti vari quantitativi di hashish.

Deduce il vizio motivazionale in ordine alla valutazione degli indizi, in ordine alla finalità di spaccio, in relazione alla natura di provento di spaccio della somma di Euro 360,00 rinvenuta in possesso del ricorrente, in ordine alla diversa consistenza dello stupefacente e al luogo del rinvenimento come indizi di spaccio, in ordine al ritrovamento di due coltelli marca Opinel (di cui si contesta la "notoria" funzione di suddividere lo stupefacente in dosi) che non potevano colmare la lacuna del mancato rinvenimento del classico bilancino, all’inidoneità del solo quantitativo per far ritenere la destinazione allo spaccio e alla qualità di tossicodipendente dell’imputato, dal medesimo riferita, che poteva indurre a ritenere la costituzione di una "scorta" per uso personale.

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate, aspecifiche e non consentite nella presente sede di legittimità poichè di mero fatto.

Anzitutto si deve rilevare come sia palese la sostanziale aspecificità delle censure che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con congrua motivazione che ha anche legittimamente richiamato e condiviso quanto osservato al riguardo dal giudice di primo grado e le valutazioni del materiale probatorio da quello effettuate.

Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).

Infatti, la motivazione addotta dal giudice a quo a sostegno della sua decisione è del tutto esaustiva e corretta, esente da vizi logici o giuridici.

Al riguardo, va rammentato che il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" non ha alterato la fisionomia dei giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio di forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all’interno della decisione. Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. Pen. Sez. 2, 15.1.2008, n. 5994; sez. 1, 15.6.2007, n. 24667, rv. 237207; sez. 4, 3.2.2009, n. 19710, rv. 243636).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro mille, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *