Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-11-2011, n. 23794 Domande

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.L., titolare di quote del fondo B.N. Monetario Italia sottoscritte presso la filiale di (OMISSIS) del Banco di Napoli e cointestaria presso la medesima banca, insieme alla figlia G. A., di un c.d. conto corrente di servizio, identificato col n. (OMISSIS), aperto per consentire il temporaneo deposito delle somme provento di eventuali disinvestimenti, in vista dei loro futuri reimpieghi, il 10.8.98 decise di procedere alla vendita delle quote del fondo sottoscritto e chiese al Banco di Napoli di accreditare, mediante bonifico, il netto ricavo del disinvestimento su un conto corrente di corrispondenza da lei acceso presso la Banca Toscana.

Ricevuta tempestiva comunicazione dell’avvenuta vendita dei titoli e dell’accredito del netto ricavo di L. 62.183.548 sul conto corrente di servizio n. (OMISSIS), la C. riscontrò pochi giorni dopo che il Banco di Napoli, anzichè dar seguito alle disposizioni impartitegli il 10.8.98, aveva stornato la somma sul conto corrente n. (OMISSIS), intestato alla Eredi Dragani Antonio s.n.c., utilizzandola per compensare, sino alla sua concorrenza, il debito della società derivante dallo scoperto di tale conto, garantito da fideiussione prestata dalla figlia G.A..

La causa promossa dalla C. nei confronti del Banco di Napoli per ottenere la restituzione della somma, che ella assumeva esserle stata illecitamente sottratta, fu definita in primo grado con sentenza di accoglimento del Tribunale di Chieti, che condannò la banca convenuta a pagare all’attrice Euro 32.115,12, oltre accessori e spese. La decisione fu impugnata dal Banco di Napoli. Nel corso del giudizio d’appello si costituirono, in luogo delle parti originarie, il Sanpaolo IMI s.p.a., incorporante per fusione l’istituto di credito appellante, ed G.A. e M., eredi di C. L., deceduta il (OMISSIS).

La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza del 29.8.05, in accoglimento del gravame, respinse la domanda restitutoria.

La Corte territoriale, ritenuto che il divieto di nuove prove in appello stabilito dall’art. 345 c.p.c. si riferisse esclusivamente alle prove costituende, dichiarò ammissibili i nuovi documenti prodotti dalla banca nel grado; affermò poi l’incapacità a deporre di G.A., escussa quale teste nel corso dell’istruttoria svoltasi dinanzi al Tribunale; nel merito rilevò: che il contratto di conto corrente bancario (di servizio) dedotto in giudizio doveva ritenersi pienamente valido fra le parti, posto che la C. non ne aveva esplicitamente domandato l’annullamento per vizio del consenso con l’atto di citazione e che pertanto la domanda di annullamento, dalla stessa introdotta con la comparsa di risposta depositata in grado d’appello, era inammissibile; che la clausola n. 5 di tale contratto – che ricalcava, ampliandolo, il disposto dell’art. 1853 c.c. – prevedeva la possibilità di compensazione fra più rapporti e più conti, di qualsiasi genere e natura, esistenti fra il Banco e il correntista e precisava altresì, che, se il conto fosse stato intestato a più persone, il Banco avrebbe avuto facoltà di operare la compensazione sino alla concorrenza dell’intero credito risultante dal saldo del conto, anche nei confronti di conti o di rapporti di pertinenza di alcuni soltanto dei cointestatari; che, attesa l’ampiezza e l’onnicomprensività della formula utilizzata, doveva ritenersi che la clausola autorizzasse la compensazione legale tutte le volte che un medesimo soggetto avesse, contemporaneamente, ragioni di credito e di debito con la banca, a nulla rilevando la sua posizione di contraente o di mero garante dell’obbligazione di pagamento; che, sotto diverso profilo, il tenore della clausola rendeva inopponibile alla banca la circostanza che il denaro depositato sul conto cointestato appartenesse al titolare non debitore.

La sentenza è stata impugnata dalle eredi di C.L. con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Il Sanpaolo IMI s.p.a. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, le eredi C. lamentano violazione dell’art. 345 c.p.c. e rilevano che, il divieto di produzione di nuove prove in appello si estende anche ai documenti che la parte non dimostri di non aver potuto allegare in primo grado per fatto ad essa non imputabile.

2) Col secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 246 c.p.c. e art. 2697 c.c., le ricorrenti contestano che G.A. fosse incapace a deporre.

3) Con il terzo motivo, le eredi C. deducono violazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4 e sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la loro dante causa aveva implicitamente richiesto, già nelle conclusioni rassegnate nell’atto di citazione, l’annullamento per vizio del consenso del contratto o, quantomeno, della clausola che ne prevedeva la cointestazione alla figlia.

4) Con il quarto ed il quinto motivo le ricorrenti denunciano infine, rispettivamente, violazione dell’art. 1853 c.c. e dell’art. 1854 c.c. Sostengono, sotto il primo profilo, che, poichè il fideiussore non può essere equiparato al correntista, nel caso di specie difettava il presupposto dell’unicità di soggetti, richiesto dalla legge ai fini della compensazione fra saldi attivi e passivi; rilevano, sotto il secondo, che i soggetti cointestatari di un conto assumono posizione solidale nei confronti dell’istituto di credito esclusivamente in relazione alle posizioni creditorie o debitorie di quel conto.

Appare pregiudiziale l’esame del terzo motivo, che è fondato e merita accoglimento.

Va innanzitutto precisato che l’interpretazione della domanda compiuta dal giudice d’appello costituisce accertamento di merito, che può essere sindacato unicamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La censura svolta dalle eredi C. si risolve, tuttavia, nella deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per aver la Corte territoriale tralasciato di considerare gli elementi che portavano a concludere che la domanda di annullamento del contratto per vizio del consenso fosse stata formulata già nell’atto di citazione, e pertanto il suo esame non risulta precluso dal fatto che le ricorrenti la abbiano erroneamente qualificata, affermandone la riconducibilità al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. n. 4349/00).

Ciò premesso, va sul punto richiamato il costante e consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, si come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (fra molte, Cass. nn. 3012/2010, 19331/07, 23819/07).

Va allora considerato che nell’atto di citazione la C. aveva dedotto di aver acceso il c.d. conto corrente di servizio solo per le pressioni su di lei esercitate da un funzionario del Banco di Napoli, il quale gliene aveva prospettato l’assoluta necessità e per di più, affermando falsamente che ciò corrispondeva ad un suo interesse, l’aveva indotta anche a cointestarlo alla figlia; che, inoltre, proprio sulla scorta di tali circostanze, l’attrice non solo aveva sostenuto che era stata ordita una "macchinazione" a suo danno, ma aveva espressamente invocato il disposto dell’art. 1427 c.c., rilevando come "la fattispecie è (fosse) inquadratile nella normativa che disciplina l’istituto del dolo quale vizio del consenso idoneo ad annullare l’atto". E’ dunque palese l’error in iudicando compiuto dalla Corte di merito che, senza darsi carico del contenuto dell’atto introduttivo, senza tener conto che l’istruttoria condotta in primo grado aveva avuto ad oggetto proprio l’accertamento dei fatti che avevano preceduto l’accensione del conto corrente (ancorchè il G.U. li avesse poi tralasciati in sentenza, non valutando se il contratto fosse o meno annullabile, per aver ritenuto sufficiente all’accoglimento della domanda restitutoria la circostanza che il denaro depositato sul conto fosse di esclusiva titolarità della C.) e senza neppure interrogarsi sul significato da attribuire alla frase "accertata e dichiarata l’illiceità dell’operazione posta in essere dal Banco di Napoli", comunque inserita nelle conclusioni precisate dall’attrice, ha ritenuto che la domanda di annullamento del contratto, avanzata nell’atto d’appello, fosse nuova solo perchè "non esplicitamente" formulata in citazione.

L’accoglimento del motivo, attinente a questione preliminare rispetto ad ogni altra dibattuta nel merito fra le parti, comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi.

La sentenza va, in conclusione, cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rimessa per un nuovo esame alla Corte d’Appello dell’Aquila, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte; accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello dell’Aquila, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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