T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 01-07-2011, n. 1121 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 1881 del 2010 Sergio Donade – proprietario di una casa di abitazione con annesso terreno sito nel Comune di Piave di Soligo, in via Fosse Tonde n.9, località Barbisano, in area classificata dal P.R.G. quale zona agricola E2- ha impugnato l’ordinanza n. 40 del 2 luglio 2010, con la quale l’amministrazione comunale ha ingiunto la demolizione di manufatti accessori realizzati in assenza di titolo edilizio sul suddetto terreno, catastalmente censito al fg. 17, mapp. 174 e 644.

Con il primo motivo di ricorso la difesa del ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, mancando ogni indicazione idonea a consentire l’individuazione dei fabbricati asseritamente privi di titolo abilitativo e considerando che, nella fattispecie, la motivazione avrebbe dovuto essere particolarmente esaustiva tenuto conto della risalenza di tali manufatti ad epoca addirittura precedente al 1967.

Con il secondo motivo di ricorso è stato censurato il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria ed erroneità dei presupposti nonché quello di violazione di legge; ciò in quanto, come comprovato dalla foto aerea dell’Istituto Geografico Militare eseguita in data 19 agosto 1967 e dalle dichiarazioni versate in atti, le opere sono state realizzate in epoca nella quale l’attività edilizia in area agricola era libera e, inoltre, i manufatti si sostanziano in interventi scarso rilievo urbanistico, qualificabili in termini di opere pertinenziali.

Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione della l. n. 765 del 1967 nonché censurato il vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti, a motivo della realizzazione delle opere prima dell’entrata in vigore della disciplina introdotta con il suddetto testo normativo e della circostanza che, proprio in considerazione del luogo tempo decorso dalla realizzazione delle opere, deve ritenersi acquisita per usucapione la servitù avente ad oggetto il mantenimento delle costruzioni a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali.

Il Comune di Piave di Soligo di è costituito in giudizio per resistere al gravame, concludendo per la reiezione del ricorso in quanto infondato.

Con ordinanza n.788/10 del 18 novembre 2010 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare presentata dal ricorrente, ritenendo sussistenti indizi idonei a comprovare l’esistenza delle opere in epoca anteriore al 1967 e valutando il carattere pertinenziale dei manufatti medesimi.

All’udienza del 16 giugno 2011 i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1.Il Collegio ritiene di poter procedere direttamente all’esame del merito, non essendo stata sollevata alcuna eccezione preliminare e non emergendo questioni rilevabili d’ufficio.

2. Il ricorso è infondato.

2.1 Legittimamente l’amministrazione comunale ha adottato l’ordinanza di demolizione gravata, ponendo a fondamento del provvedimento l’assenza del necessario titolo edilizio prescritto dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001 nonché l’avvenuta edificazione "a minor distanza dai confini".

3 Privo di pregio si palesa il primo motivo di ricorso con il quale la difesa del ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, mancando ogni indicazione idonea a consentire l’individuazione dei fabbricati asseritamente privi di titolo abilitativo e considerando che, nella fattispecie, la motivazione avrebbe dovuto essere particolarmente esaustiva tenuto conto della risalenza di tali manufatti ad epoca addirittura precedente al 1967.

3.1 Costituisce ius receptum, infatti, il principio per cui l’ordinanza di demolizione non richiede, in linea generale, una specifica motivazione; l’abusività costituisce di per sé motivazione sufficiente per l’adozione della misura repressiva in argomento. Ne consegue che, in presenza di un’opera abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta ad intervenire affinché sia ripristinato lo stato dei luoghi, non sussistendo alcuna discrezionalità dell’Amministrazione in relazione al provvedere (cfr. ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010, n. 26797).

Contrariamente a quanto affermato dalla difesa del ricorrente, inoltre, il provvedimento gravato consente l’identificazione delle opere abusive contestate, descritte quali "fabbricati accessori" realizzati in assenza del titolo edilizio prescritto dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001 sul terreno catastalmente censito al foglio 17, mappali 174 e 644.

Quanto all’epoca di realizzazione delle opere abusive che, ad avviso della difesa del ricorrente, determinerebbe l’obbligo per l’amministrazione di adeguatamente motivare in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico che giustifica l’adozione del provvedimento demolitorio, il Collegio ritiene, conformemente alla prevalente giurisprudenza, che non possa annettersi alcun legittimo affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può ex se legittimare, con la conseguenza che, ove sussistano i presupposti per l’adozione del provvedimento di riduzione in pristino, lo stesso, come sopra evidenziato, costituisce atto dovuto. (cfr., ex multis, T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 09 febbraio 2011, n. 240).

Oltre a ciò il Collegio sottolinea che, come evidenziato nei capi successivi della presente pronuncia, la difesa del ricorrente non ha fornito alcun elemento idoneo a comprovare l’esecuzione degli interventi abusivi in epoca antecedente al 1967.

4 Anche il secondo motivo di ricorso, diretto a censurare il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria ed erroneità dei presupposti nonché quello di violazione di legge a motivo dell’avvenuta edificazione prima del 1967 e del carattere pertinenziale delle opere contestate, è infondato e va disatteso.

La difesa del ricorrente, infatti, non ha prodotto alcun elemento idoneo a dimostrare, con un apprezzabile margine di certezza, l’epoca in cui è avvenuta l’edificazione abusiva.

Ad un attento esame, infatti, la foto aerea dell’Istituto Geografico Militare eseguita in data 19 agosto 1967 non consente di rilevare la presenza, al tempo, dei manufatti abusivi sia per la qualità della riproduzione sia, soprattutto, in quanto l’area è stata fotografata ad una significativa altezza che non consente di distinguere in maniera sufficientemente nitida gli edifici ed i manufatti insistenti sul terreno.

Quanto alle semplici dichiarazioni prodotte dalla difesa del ricorrente e sottoscritte da due soggetti -Renzo Lorenzon e Fornasier Ornelio – residenti nel medesimo Comune, il Collegio sottolinea che alle stesse non può essere riconosciuta alcuna valenza probatoria in quanto atti privi di valore accertativo e che, comunque, tali dichiarazioni non sono idonee a superare le evidenze agli atti dell’Ufficio edilizia comunale; nello specifico, dall’elaborato tecnico planimetrico prodotto dal ricorrente per il rilascio, nel 1975, di un titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione non figura nessuno dei manufatti oggetto dell’ordinanza di demolizione gravata bensì solo l’edificio destinato ad abitazione.

Il Collegio esclude, inoltre, la possibilità di qualificare le opere contestate (manufatto realizzato con blocchi di cemento, pali di legno e copertura in lamiera, ulteriore manufatto composto da tettoie realizzate con pali in legno e copertura in lamiera e manufatto realizzato in parte in blocchi di cemento ed in parte in mattoni, adibiti a ricovero mezzi agricoli, porcilaia e forno) in termini di opere pertinenziali.

La giurisprudenza consolidata, alla quale il Collegio aderisce, ha avuto da tempo modo di chiarire che il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., Cons. St., sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4636; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 01 settembre 2009, n. 4848).

Applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie oggetto del presente giudizio non vi è dubbio che il carattere pertinenziale delle opere abusivamente poste in essere debba essere escluso, con conseguente applicabilità della sanzione demolitoria, trattandosi di opere dotate di propria autonomia che realizzano una trasformazione irreversibile del territorio e che determinano una incidenza sul carico urbanistico.

Si osserva, peraltro, che la nozione di costruzione, ai fini della necessità del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 25 maggio 2010, n. 2143)

Ciò anche a prescindere da ulteriori considerazioni riferite alla circostanza che l’intervento edilizio è stato realizzato in ZTO E2, la cui edificazione è rigidamente disciplinata.

5 Per le considerazioni sopra esposte, va rigettato anche il terzo motivo di ricorso, con il quale è stata dedotta la violazione della l. n. 765 del 1967 nonché censurato il vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti, a motivo della realizzazione delle opere prima dell’entrata in vigore della disciplina introdotta con il suddetto testo normativo e della circostanza che, proprio in considerazione del luogo tempo decorso dalla realizzazione delle opere, deve ritenersi acquisita per usucapione la servitù avente ad oggetto il mantenimento delle costruzioni a distanza inferiore a quella fissata dalla normativa di riferimento.

5.1 Come evidenziato, infatti, la difesa di parte ricorrente non ha fornito alcun elemento suscettibile di essere apprezzato al fine di collocare temporalmente la realizzazione degli interventi in epoca precedente al 1967 e, peraltro, in assenza di una pronuncia giurisdizionale e, dunque, di un atto costitutivo della servitù, l’amministrazione comunale è tenuta a rilevare eventuali contrasti con la normativa in materia di distanze.

Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di Piave di Soligo, che sono liquidate in Euro 1.500,00 per diritti e onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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