T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 01-07-2011, n. 1110 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

I ricorrenti sono comproprietari di un immobile sito in Comune di Breda di Piave (TV) e situato in zona a destinazione agricola.

L’immobile è stato trasformato (per un volume di mc. 795,04) ad uso residenziale, previa esecuzione di lavori regolarmente assentiti dal Comune di Breda di Piave con concessione edilizia n. 77 del 9 maggio 1991, concessione integrata con le successive n. 104 del 22 giugno 1991 e n. 15 dell’1 febbraio 1993, con le quali vennero autorizzate talune modifiche al progetto originario.

L’edificio è stato dichiarato abitabile ed agibile in data 20 maggio 1996 ed è utilizzato dai coniugi B. come propria abitazione.

Peraltro la signora R.M., che esercita la professione di psicologa e che, nell’ambito di tale professione, s’interessa in particolare dei problemi legati al cosiddetto "disagio giovanile", svolge tale attività presso la propria abitazione, ritenendola il luogo più idoneo per la terapia ad un minore.

Il 16 febbraio 1998, l’Ufficio Tecnico Comunale, in seguito a denuncia dei vicini, effettuava un sopralluogo, finalizzato all’accertamento della conformità del fabbricato a quanto precedentemente assentito, nonché alle modalità di utilizzazione del fabbricato stesso.

A seguito della redazione, da parte del tecnico incaricato, del relativo verbale, il Comune di Breda di Piave emetteva il provvedimento in epigrafe con il quale ordinava, ai ricorrenti, di non variare la destinazione d’uso autorizzata, diffidandoli dallo svolgere nei locali "attività direzionali (uffici e attività professionali), in quanto non ammessi in tale zona agricola ed in tali immobili…. ".

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, i signori B. e R.M. impugnano tale diffida per i seguenti motivi:

1) violazione di legge per carente e contraddittoria motivazione ed eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà di motivazione.

Si sostiene che l’ufficio Comunale, dopo aver verificato che l’immobile sottoposto a sopralluogo era conforme a quanto assentito con le Concessioni edilizie richiamate e che, soprattutto, all’interno dell’immobile non erano state costituite strutture organizzative di tipo direzionale, ha ritenuto, ugualmente di emettere un provvedimento di diffida nei confronti dei ricorrenti che non si giustifica in base ai presupposti di fatto e di diritto relativi alle condizioni di utilizzo dell’immobile; che il provvedimento, costituito da una generica diffida a non compiere, per il futuro, attività in spregio alla normativa vigente, é stato emesso nell’esercizio di un potere estraneo rispetto a quello di vigilanza conferito al Sindaco (e ora ai funzionari comunali) dall’art. 89 della L. R. n. 61/85; che il piano regolatore generale del Comune di Breda di Piave prevede, infatti, nelle zone in questione (a destinazione agricola) la possibilità di autorizzare, come é avvenuto nella specie, la costruzione di immobili residenziali (o la trasformazione dell’uso in residenziale); che come ha avuto modo di accertare il Tecnico comunale, l’immobile, edificato con la tipologia assentita di abitazione, é stato poi effettivamente destinato a residenza dei ricorrenti e non vi é stata insediata alcuna struttura tale da comportare una modificazione dell’utilizzazione urbanistica del bene; che, in tale contesto, è giuridicamente irrilevante che la signora Ribul eserciti, in talune occasioni, presso la propria abitazione un’attività di carattere professionale utilizzando, a tal fine, un locale dell’abitazione stessa, atteso che nell’ambito del concetto di destinazione residenziale non può essere ricondotta esclusivamente l’attività strettamente collegata "all’abitare" ma debbono essere inclusi gli usi destinati alle attività collaterali, ivi comprese anche quelle lavorative, che, per consuetudine o per particolari esigenze, possano essere esercitate nell’abitazione senza comportare modificazione della destinazione della stessa; che un mutamento, attuale o potenziale, della destinazione urbanistica non consegue, quindi, dalla soggettiva od occasionale utilizzazione degli spazi, ma deve essere verificato, in sede di accertamento, sulla base di obiettive caratteristiche strutturali come la tipologia costruttiva o l’organizzazione interna degli spazi.

Il Comune di Breda di Piave si costituiva depositando memoria, datata 20 maggio 1999, con la quale si riservava di esplicare le proprie difese in un atto successivo e concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse o, in subordine, per la reiezione dello stesso.

In seguito il Comune ha depositato una memoria difensiva nella quale ha insistito per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, evidenziato le ragioni poste a fondamento delle proprie conclusioni

All’udienza del 5 maggio 2011, previa audizione dei difensori delle parti il ricorso è stato posto in decisione.

Motivi della decisione

1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, dedotta dal Comune intimato è fondata.

Nondimeno, in ordine a tale condivisa eccezione si impongono alcune precisazioni che appaiono rilevanti ai fini della c.d. soccombenza virtuale e della statuizione sulle spese di lite.

1.1. Nella memoria conclusiva il Comune ha infatti rilevato, preliminarmente, che l’ordinanza oggetto del giudizio sarebbe stata impugnata solo parzialmente, e che i ricorrenti avrebbero prestato acquiescenza alla parte della diffida riferita al ripristino della destinazione di magazzino rurale sottratta dalla soffitta "residenziale", chiedendo in parte qua la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

1.2. In realtà il Collegio non ritiene che sul punto specifico sussista l’eccepita acquiescenza perché la diffida, paradossalmente, non riguarda il c.d. ripristino della destinazione rurale della soffitta.

Infatti, mentre nelle premesse del provvedimento viene rilevato e contestato ai ricorrenti il presunto cambio di destinazione della soffitta che avrebbe modificato quella di magazzino rurale, nella diffida non si ordina, come si assume nella memoria difensiva dell’amministrazione comunale, il ripristino della destinazione agricola ma solo di " non utilizzare i fabbricati o parte di essi per attività direzionali (uffici e attività professionali) in quanto non ammessi in zona agricola per i motivi esposti nella stessa diffida.

1.3. Ne consegue che per questa parte, pur se l’accertamento istruttorio di carattere ispettivo ha rilevato e contestato il predetto mutamento di destinazione, la diffida non contiene alcun riferimento al ripristino della destinazione rurale e quindi non giustifica l’impugnativa del provvedimento da cui l’amministrazione fa discendere la dedotta acquiescenza e la conseguente inammissibilità del ricorso.

2. Quanto al cambiamento di destinazione d’uso riferito all’attività professionale di psicologo terapeuta svolta dalla sig.ra Ribul nello studio al piano terra, la conclusione testuale del tecnico comunale è che in loco "non è stata rilevata la presenza di elementi che depongano per un cambio di destinazione d’uso, da residenziale a direzionale professionale, dell’immobile" in quanto " lo studio al piano terra è di tipo residenziale, non ha caratteristiche e organizzazione tipica di studio professionale (mobilio, computer, dipendenti, parti esclusive); trattasi di vano per soggiorno studio".

In sostanza è verosimile che avendo rilevato che l’attività esercitata in un locale dell’abitazione priva di caratteristiche e di organizzazione proprie dello studio professionale da uno dei soggetti residenti, senza attrezzatura e senza la configurazione esterna dei locali come studio professionale aperto al pubblico, ma piuttosto come attività episodica e marginale, il supposto mutamento di destinazione sia stato escluso.

2.1. D’altra parte, per poter parlare di un mutamento funzionale della destinazione d’uso di un immobile (nella specie parzialmente) da residenziale a professionale -direzionale, occorre riferirsi alle oggettive caratteristiche dei locali interessati dall’intervento di trasformazione, dovendosi escludere tale mutamento quando l’utilizzazione lavorativa dei locali non abbia comportato una modifica della tipologia costruttiva o, quantomeno, dell’organizzazione interna degli spazi (TA.R. Parma Emilia Romagna, sez. 1^ 26 novembre 2009, n. 792, sentenza che richiama anche: T.R.G.A. TrentinoAlto Adige, Trento, 7 maggio 2009, n. 150).

Diversamente opinando si dovrebbe invero concludere che anche lo svolgimento di un’attività professionale svolta senza alcun apparato organizzativo e strumentale nello studio della propria abitazione, ne comporta la trasformazione in immobile ad uso direzionale.

2.2. Pertanto è vero che la diffida impugnata è configurata in apparenza come un provvedimento lesivo, in quanto coercitivo e finalizzato ad un ipotetico e generico divieto di utilizzo del fabbricato, o di parte di esso, per attività direzionali, ma è parimenti vero che, in concreto e per questa parte, il contenuto lesivo del provvedimento si sostanzia – e comunque così deve essere inteso alla stregua delle premesse che lo motivano – in un invito generico a mantenere la destinazione (residenziale ed agricola) dell’immobile in conformità alla concessioni edilizie ed al relativo certificato di agibilità, riservandosi l’amministrazione, in caso di inottemperanza a tale diffida, di procedere coattivamente e quindi ad adottare un eventuale futuro e imprecisato provvedimento sanzionatorio.

2.3. Tale è, d’altronde, anche l’interpretazione che la difesa dell’amministrazione fornisce del provvedimento impugnato e che lascia intendere come allo stato i ricorrenti non abbiano ricevuto altro che un avviso generico di non mutare la destinazione d’uso dell’immobile in funzione di quanto è già implicito nei titoli concessori e di agibilità che allo stesso pertengono.

3. Nei detti limiti il provvedimento non solo non è lesivo perché muove dalla oggettiva condizione giuridica dell’immobile ma è legittimo in quanto non è possibile negare che se nell’immobile, collocato in zona agricola e avente destinazione residenziale e rurale, venisse esercitata un’attività professionale, come quella di studio medico aperto al pubblico, o se ne fosse modificata la destinazione agricola residua dei locali cui è stata impressa tale specifica destinazione, la diffida al recupero della destinazione d’uso sarebbe certamente legittima e non si esporrebbe alle censure articolate nel ricorso.

3.1 Ma poiché, per come sopra chiarito, così non è, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di interesse, non potendo il giudice riferire l’interesse dei ricorrenti ad una pronuncia che accerti in astratto (e non con riguardo alla contestazione mossa in concreto) a quali condizioni il mutamento di destinazione d’uso da residenziale a professionale possa ritenersi legalmente consentito.

4. Residuano le spese di causa, che, tenuto conto del tenore poco perspicuo del provvedimento, nel senso chiarito in motivazione e dell’avviso ex art. 3 l. 241/1990, che ha indotto i ricorrenti a ravvisare. pur se putativamente, i presupposti dell’interesse all’azione, meritano di essere interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo dichiara inammissibile per difetto di interesse.

Compensa tra le parti le spese e le competenze di causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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