Cons. Stato Sez. III, Sent., 04-07-2011, n. 4008 Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato:

– che con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso, proposto dall’attuale appellante, diretto all’annullamento del decreto 9 ottobre 2006 del Questore di Brescia, contenente rigetto ai sensi dell’art. 26, comma 7 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 della sua domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo;

– che il TAR ha basato la reiezione del ricorso in primo luogo sulla situazione penale del signor S., tra cui la presenza di condanna del Tribunale di Brescia, divenuta irrevocabile l’8 luglio 2005, per il reato di introduzione nello Stato di prodotti con contrassegni falsi (art. 474 c.p.), oltre a condanna con decreto del GIP del Tribunale di Verona per il reato di ricettazione e commercio di prodotti con segni falsi del 2004, nonché vari deferimenti all’autorità giudiziaria per ricettazione, introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, contraffazione, alterazione ed uso di segni distintivi di opere dell’ingegno mendaci anche dopo la data di introduzione del ricorso; in secondo luogo, sulla situazione reddituale dell’interessato, il quale presentava per il 2007 due buste paga, mentre risultava aver percepito Euro 299,00 per il 2003 e Euro 6.207,00 per il 2005, nulla per il 2004 ed il 2006, sicché "Non v’ha dubbio che sopravviva ricorrendo al commercio di prodotti contraffatti o alterati (…) punito dagli artt. 473 e 474 c.p."; sulla scorta di dette circostanze e considerazioni, il primo giudice ha concluso osservando che la condanna per gli indicati reati comporta la revoca del permesso di soggiorno e l’automatica espulsione con accompagnamento alla frontiera ai sensi del cit. art. 26, co. 7 bis, il quale si applica anche in sede di richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno;

– che con l’unico, articolato motivo d’appello, di illogicità, erroneità, contraddittorietà della motivazione, si sostiene, in estrema sintesi, che i menzionati precedenti penali, poiché di scarso allarme sociale, non potevano fondare un giudizio di pericolosità sociale, mentre gli esigui redditi quale lavoratore autonomo si sono poi incrementati per il passaggio al lavoro subordinato; si contesta, altresì, l’automaticità del diniego del permesso di soggiorno in caso di condanna per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p., non trattandosi regolarizzazione ma di rinnovo per il quale si richiederebbe la valutazione complessiva ed attuale del soggetto in base ad una pluralità di elementi quali l’inserimento nel tessuto sociale, nella specie presente e da prendere in considerazione ai sensi dell’art. 5, co. 5, del d.lgs. n. 286 del 1998; inoltre, non sarebbe stato tenuto conto della tutela rafforzata degli stranieri di lunga permanenza, il cui allontanamento è previsto dalla direttiva 2003/109/CE solo quando rappresentino una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine e la sicurezza pubblica; quanto poi al menzionato art. 26, co. 7 bis (la cui questione di legittimità costituzionale, pur sollevata dallo stesso TAR di Brescia, è ancora aperta avendone la Corte cost. dichiarato la manifesta inammissibilità per difetto di descrizione della fattispecie), esso recherebbe una norma illogica e fonte di disparità di trattamento, laddove prevede la revoca del permesso di soggiorno a seguito dell’accertata commissione di reati in parola, di scarso allarme sociale tanto che gli stessi clienti sollecitano prodotti falsi di "grandi firme", nonché l’automatica espulsione in via amministrativa che non si inquadrerebbe col regime né dell’espulsione ordinata dal giudice né di quella ordinata dal prefetto;

Osservato che, in relazione alle censure di cui innanzi, sussistono i presupposti per la definizione dell’appello con sentenza succintamente motivata;

Constatata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria;

Preavvertite le parti in proposito;

Considerato:

– che il più volte citato art. 26, co. 7 bis, configura come edittalmente ostativa alla permanenza dello straniero soggiornante per lavoro autonomo nel territorio nazionale la condanna con provvedimento irrevocabile per uno dei reati previsti, tra l’altro, dagli artt. 473 e 474 c.p., qual è quanto meno la citata condanna del signor S. emessa dal Tribunale di Brescia;

– che la norma in parola, dettata testualmente in relazione alla revoca del permesso di soggiorno, è a maggior ragione applicabile in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno scaduto, non essendo ragionevole che l’anzidetta causa ostativa possa agire nel corso di validità del permesso e non anche in siffatta occasione, dovendosi d’altra parte escludere per evidenti ragioni di logica, oltreché di economicità dell’azione amministrativa, che il permesso debba prima essere rilasciato per poi essere immediatamente revocato;

– che tanto è confermato in via generale dal disposto del precedente art. 5, co. 5, il quale prevede, per quanto qui rileva, che il rinnovo del permesso di soggiorno sia rifiutato "quando (…) vengono a mancare i requisiti richiesti per (…) il soggiorno nel territorio dello Stato", qual è per il lavoratore autonomo l’assenza delle condanne del genere sopra precisato;

– che l’inciso "sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili", recato dal detto art. 5, co. 5, si riferisce all’ipotesi che lo straniero non potesse originariamente conseguire il permesso in quanto carente di titolo, e non anche alla diversa ipotesi (che è quella del caso in esame) in cui il rilascio (o il rinnovo) del permesso sia impedito da una specifica causa ostativa quale una pregressa condanna penale – a meno che la sopravvenienza non consista proprio nel venir meno di quella causa ostativa;;

– che la questione di legittimità costituzionale a cui l’appellante allude deve ritenersi, nella specie, manifestamente infondata dal momento che nella norma di cui all’art. 26, co. 7 bis, prevedente anche la pur peculiare misura amministrativa dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, non sono ravvisabili profili di irrazionalità e disparità di trattamento, tenuto conto dell’ampia discrezionalità del legislatore di individuare il livello di gravità ed il ventaglio delle situazioni in contrasto con i valori tutelati, nei quali rientra certamente la proprietà industriale e l’uso di marchi o altri segni distintivi, se non altro stanti i vantaggi che trae l’economia nazionale dalla produzione e commercio dei relativi prodotti, proprio in quanto differenziati da detti marchi e segni – nonché il pericolo di ritorsioni commerciali ad opera di paesi stranieri che si ritengano danneggiati dal commercio abusivo praticato in Italia; di qui la sicura rilevanza dei reati di cui trattasi anche sotto l’aspetto dell’allarme sociale, senza che assuma significato in senso contrario la circostanza che gli acquirenti siano consapevoli della non originalità dei prodotti, in quanto il bene tutelato non è la buona fede dell’acquirente;

– che, infine, l’assenza di reddito alla data della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, nonché a quella dell’adozione del provvedimento di diniego impugnato in primo grado, precludeva comunque il rinnovo del permesso stesso anche a titolo di lavoro subordinato, restando ovviamente irrilevante il successivo impiego dell’interessato alla stregua del noto principio secondo cui la legittimità del provvedimento amministrativo va valutata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto in atto esistente;

Rilevato, pertanto, che per le assorbenti considerazioni sin qui esposte è già sufficiente a sorreggere il medesimo provvedimento di diniego la presenza della condanna suaccennata e che, di conseguenza, l’appello dev’essere in ogni caso respinto;

Ritenuto, tuttavia, che le spese del grado possono restare compensate anche in relazione alla materia trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l "appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Salvatore Cacace, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere, Estensore

Hadrian Simonetti, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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