Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-11-2011, n. 23773 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il decreto impugnato, depositato il 21 gennaio 2009, la Corte d’appello di Genova ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento a favore di C.E. della somma di Euro 6000,00, oltre interessi legali dalla domanda, respingendo ogni ulteriore domanda.

Il ricorrente era stato ammesso al passivo del Fallimento della Società Capital Italia s.r.l., a seguito di istanza depositata il 10/6/92, per la somma di L. 47.808.271, ma la procedura fallimentare, durata oltre sedici anni, non era stata ancora definita, per cui lo stesso aveva agito per ottenere l’equa riparazione per i danni non patrimoniali subiti, e con successivo ricorso, anche per il danno patrimoniale, per perdita di chance da investimento della somma ammessa al passivo,da quantificarsi nella misura degli interessi legali maturati, con riferimento alla durata irragionevole.

La Corte, ritenuta la proponibilità della domanda, la particolare complessità della procedura che aveva coinvolto un gruppo di società e dato adito a numerose causa civili e fiscali non tutte definite, ritenuta la durata ragionevole del procedimento di fallimento in tre anni, aggiunti i sette anni necessari per la definizione del contenzioso conseguente alla procedura (quattro anni per il primo grado e tre per il secondo), ha concluso per la durata irragionevole di sei anni, riconoscendo l’importo di Euro 1000,00 per anno, in via equitativa,ed avuto riguardo a casi analoghi valutati dalla Corte Europea; ha escluso il danno non patrimoniale, risultando dalla relazione del Curatore che nessuna distribuzione era avvenuta nè era prospettabile per i chirografari.

Ricorre il C. sulla base di cinque motivi.

Il Ministero ha depositato controricorso, con ricorso incidentale affidato a due motivi.

Il C. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU, della L. n. 89 del 1991 e dei parametri della CEDU, per avere la Corte del merito valutato la durata ragionevole del procedimento tributario innestatosi nel procedimento fallimentare in anni quattro per il 1^ grado e tre per il 2^. 1.2.- Con il secondo, il C. denuncia violazione dell’art. 6 CEDU, della L. n. 89 del 1991, degli orientamenti della Corte EDU, per avere determinato la Corte d’appello la durata ragionevole di anni dieci per la procedura fallimentare.

1.3.- Con il terzo, il ricorrente principale denuncia vizio di insufficiente motivazione, per avere la Corte del merito aggiunto alla procedura fallimentare i tempi di definizione del contenzioso dallo stesso conseguente.

1.4.- Con il quarto motivo, il C. denuncia vizio di violazione di legge in punto spese, per violazione delle tariffe professionali di cui al D.M. n. 127 del 2004. 1.5.- Con il quinto motivo, la parte si duole della omessa motivazione in punto riduzione della parcella.

2.1.- Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Ministero denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1991, art. 2 per avere ritenuto la Corte del merito la durata ragionevole di anni tre della procedura fallimentare, che invece per la sua complessità coinvolge in media un periodo di almeno anni sei.

2.2.- Con il secondo motivo, il Ministero denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 1991, art. 3 e ss., laddove la Corte ha censurato la durata ragionevole del processo tributario connesso.

3.1.- I due ricorsi vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c..

4.1.- Per ragioni di ordine logico, vanno esaminati congiuntamente i primi tre motivi del ricorso principale ed i due motivi dell’incidentale.

I motivi primo, secondo e terzo del ricorso principale vanno accolti, nei sensi di cui in motivazione, va accolto nei sensi di cui in appresso il primo motivo del ricorso incidentale, mentre va respinto il secondo motivo.

Va resa applicazione della più recente giurisprudenza di questa Corte in ordine alla durata delle procedure fallimentari che, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Europea, non dovrebbe superare la durata complessiva di anni sette (vedi, tra le tante, Cass. 22408 e 8047 del 2010, 18689/2011), atteso che tenendo conto della peculiarità della procedura fallimentare, il termine di tre anni, che può ritenersi normale in una procedura di media complessità, è stato ritenuto elevabile sino a sette anni allorquando,come nella specie, si presenti particolarmente complesso il procedimento (vedi sentenza 20549/09), ipotesi questa che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, della proliferazione di giudizi connessi alla procedura ma autonomi, e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso, della pluralità di procedure concorsuali indipendenti; nè in tal modo, come ritiene il Ministero, si verrebbe a valutare la durata del connesso giudizio fiscale, atteso che lo stesso rileva solo come parametro della valutazione della durata ragionevole del complessivo procedimento fallimentare, e non già in via diretta, come tale idonea a costituire giudicato (sul principio, vedi le pronunce 22521/2010 e 3434/2011). Da quanto sopra esposto consegue che il decreto impugnato, che, in violazione dei principi dedotti, ha determinato una durata ragionevole di anni dieci, deve essere annullato, con ciò rimanendo assorbite le doglianze di cui ai motivi quarto e quinto del ricorso principale.

Non essendo necessari altri accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e, rilevato che, alla data della domanda, il processo fallimentare presupposto aveva avuto durata di anni sedici, detratta la durata ragionevole di anni sette, si deve concludere per la durata irragionevole di anni nove, per la quale, sulla base dei criteri adottati da questa Corte in materia, va equitativamente determinato il danno non patrimoniale in complessivi Euro 8250,00, oltre interessi legali dalla domanda di equa riparazione e sino al saldo.

Le spese processuali vanno riliquidate sulla base delle tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegata al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, e, avuto riguardo agli importi richiesti dalla parte, rilevato che la stessa non ha documentato le maggiori spese richieste, non ha indicato le specifiche voci dei diritti e le attività svolte al fine del riconoscimento degli onorari in misura più elevata, vanno riconosciuti, per il primo grado, Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 550,00 per onorari (tale è il minore importo chiesto dalla parte), e per il presente giudizio, in Euro 1000,00 complessivamente, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 8250,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio, che determina per il giudizio di merito, nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 550,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, e per il giudizio di legittimità, in Euro 1000,00 complessivamente, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge; rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale.

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