Cons. Stato Sez. III, Sent., 04-07-2011, n. 3987

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante, cittadino turco extracomunitario, nato il 25 gennaio 1992, per l’annullamento del provvedimento del Questore di Trieste, adottato il 15 giugno 2010, concernente il diniego di conversione del permesso di soggiorno per motivi di minore età in permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

L’appellante ripropone le censure disattese dal Tribunale, criticando analiticamente la pronuncia del TAR, mentre l’amministrazione resiste al gravame.

2.. In punto di fatto, è utile evidenziare che l’attuale appellante, cittadino turco nato il 25 gennaio 1992, è giunto in Italia, minorenne, il 3 agosto 2009. Ospitato in una Comunità di prima accoglienza, in data 10 settembre è stato affidato alla tutela provvisoria del comune di Trieste. Ha poi iniziato un programma di integrazione sociale e civile e, dopo avere cominciato a lavorare il 23 novembre 2009, è diventato maggiorenne il 25 gennaio 2010.

Il provvedimento impugnato in primo grado si basa sulla considerazione che l’interessato, al momento del compimento della maggiore età, non si trovava nelle condizioni soggettive previste dall’articolo 32 del decreto legislativo n. 286/1998, concernenti:

– la permanenza per un periodo minimo di tre anni in Italia;

– l’avvenuta frequentazione di un programma di integrazione sociale della durata non inferiore ai due anni.

3.. L’appellante non contesta, in punto di fatto, la circostanza, documentalmente provata, della concreta carenza dei requisiti indicati dal provvedimento impugnato, ma prospetta una serie di censure incentrate sull’interpretazione della normativa applicabile al caso di specie.

In sintesi, l’appellante sostiene che, ai fini del rilascio del richiesto permesso di soggiorno:

a) è sufficiente dimostrare l’ammissione ad un programma di integrazione biennale, ancorché al momento del compimento della maggiore età il programma non sia stato completato;

b) i minorenni sottoposti a tutela restano assoggettati alla disciplina prevista dall’articolo 32, comma 1, del decreto legislativo n. 286/1998, il quale non richiede il duplice presupposto della permanenza almeno triennale nel territorio dello Stato e lo svolgimento di un programma biennale di integrazione sociale e civile;

c) in ogni caso, la normativa richiamata dall’atto impugnato, entrata in vigore in data 8 agosto 2009, non può essere applicata nel caso concreto, perché l’ingresso nel territorio italiano dell’interessato è avvenuto prima di tale data;

d) secondo tale prospettiva, il permesso di soggiorno deve essere rilasciato a coloro che compiono la maggiore età entro due anni dall’entrata in vigore della nuova disciplina, allo scopo di consentire anche a tali soggetti di partecipare ad un progetto biennale.

4. Per valutare adeguatamente le complesse e articolate censure proposte dall’appellante, è opportuno riassumere l’evoluzione della disciplina della "conversione" del permesso di soggiorno rilasciato ai cittadini extracomunitari, per motivi di minore età.

Nella sua versione originaria, l’articolo 32 del decreto legislativo n. 286/1998 si limitava a stabilire, al comma 1, che "Al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all’articolo 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all’articolo 23."

In altri termini, la norma contemplava la possibilità di una particolare modalità agevolata di "conversione" del permesso di soggiorno rilasciato ai minorenni stranieri, riservandola, testualmente, però, soltanto alle ipotesi del "figlio minore della straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante" (articolo 31) e a quella delle persone affidate ai sensi della legge n. 184/1983.

La disposizione originaria, quindi, non prendeva in considerazione, espressamente, le diverse situazioni dei soggetti minorenni non conviventi con uno dei genitori, e non affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184. Non dettava alcuna disciplina specifica, poi, riferita ai minori "non accompagnati".

5. La carenza legislativa aveva determinato una notevole incertezza applicativa. Da una parte si era prospettata la tesi restrittiva secondo cui soltanto il minorenne facente parte di un gruppo familiare, o affidato ad una famiglia ai sensi della legge n. 184/1983 fosse meritevole di fruire del percorso agevolato di conversione del permesso di soggiorno, prefigurato dall’articolo 32, comma 1.

In senso opposto, però, si era sottolineato che, anche tenendo conto delle norme internazionali in materia di tutela dei minori, proprio i soggetti stranieri privi di ambienti familiari di riferimento (i "minori non accompagnati") avrebbero dovuto ottenere una più intensa tutela al momento del raggiungimento della maggiore età.

Inoltre, si era prospettata l’opinione secondo cui i minorenni sottoposti a tutela o affidati, comunque, ai sensi della legge n. 184/1983, dovessero equipararsi, attraverso un’interpretazione estensiva, ai soggetti esplicitamente contemplati dall’articolo 32, comma 1.

6. Allo scopo di superare il contrasto di opinioni interpretative e la riscontrata disomogeneità applicativa, l’art. 25, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, ha aggiunto, all’articolo 32, due commi (1bis e 1ter), in forza dei quali:

"1bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

1ter. L’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1bis, che l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, che ha seguito il progetto per non meno di due anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato."

7.. L’innovazione normativa del 2002 ha testualmente riguardato, quindi, i soli "minori stranieri non accompagnati". Tale categoria non è definita in modo puntuale dalla norma; tuttavia, è ragionevole ritenere che essa riguardi i soggetti indicati dall’articolo 1, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535 (Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell’art. 33, commi 2 e 2bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), secondo cui per minore non accompagnato "s’intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano".

Secondo l’art. 2 della direttiva comunitaria n. 86/2003 (direttiva concernente i ricongiungimenti familiari dei migranti) si intende per "minore non accompagnato" "il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri".

La norma introdotta nel 2002 prevede che anche questi soggetti ("minori non accompagnati"), raggiunta la maggiore età, possano ottenere un permesso di soggiorno, ma attraverso un percorso diverso e più complesso rispetto a quello delineato dal comma 1 dell’articolo 32.

Infatti, a tale scopo, è necessario dimostrare la presenza, al momento del raggiungimento della maggiore età, di una serie di condizioni soggettive, concernenti, fra l’altro, la permanenza sul territorio nazionale da almeno tre anni e la partecipazione di un progetto di integrazione sociale di durata almeno biennale.

Dunque, secondo l’impostazione prescelta dal legislatore del 2002, resta netta la differenza tra il minore straniero inserito in un ambiente familiare in senso stretto (comprensivo sia della famiglia naturale, sia della famiglia di affidamento ai sensi della legge n. 184/1983) e il minore non accompagnato. Per quest’ultimo, la possibilità di ottenere, al raggiungimento della maggiore età, un permesso di soggiorno è comunque subordinata a specifici e rigorosi presupposti.

8. Anche l’intervento normativo del 2002, tuttavia, non è stato determinante per risolvere tutti i contrasti interpretativi. In tale quadro si sono prospettati dubbi applicativi riguardanti l’esatta delimitazione della nozione di "minore non accompagnato" e il trattamento giuridico del minore sottoposto a tutela, o affidato in forza di disposizioni diverse da quelle racchiuse nell’articolo 2 della legge n. 184/1983.

Con specifico riferimento alla disciplina applicabile al minore sottoposto a tutela, erano state prospettate tre tesi principali.

a) Secondo un primo indirizzo, il minore soggetto a tutela deve essere sempre assimilato ad un minore non accompagnato, perché non rientra nella previsione dell’articolo 32, comma 1, riguardante i soli nuclei familiari "ristretti".

b) Altra diversa opinione ritiene, invece, che la tutela realizzi sempre un vincolo sostanzialmente equiparabile a quello familiare, con la conseguente piena applicabilità del procedimento "agevolato" di conversione del permesso di soggiorno, previsto dall’articolo 32, comma 1.

c) Una terza tesi interpretativa, infine, sostiene che occorra distinguere tra due situazioni contrapposte: se il minore è affidato alla tutela di un parente entro il terzo grado, trova applicazione la previsione dell’articolo 32, comma 1; negli altri casi, comprensivi anche della tutela affidata ad enti pubblici o privati di assistenza, il minore conserva comunque lo status originario di "non accompagnato" e, pertanto, è sottoposto alla disciplina di cui ai commi 1bis e 1ter.

9. Sul punto è poi intervenuta, in modo sostanzialmente risolutivo, la Corte costituzionale, con sentenza n. 198/2003, secondo la quale la disposizione del comma 1 dell’ art. 32 va riferita, in base ad una interpretazione "costituzionalmente orientata", anche ai minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi del Titolo X del Libro primo del Codice civile.

Va evidenziato che l’affermazione contenuta nella sentenza (riconducibile al paradigma delle pronunce interpretative di rigetto), seppure pronunciata relativa ad un giudizio concernente una fattispecie concreta in cui il minore straniero risultava affidato alla tutela di un "cognato", ha una portata molto ampia e generalizzata.

Infatti, nel corpo della motivazione si chiarisce che l’istituto della tutela presenta notevoli analogie con l’affidamento ai sensi della legge n. 184/1983 e, pertanto, non sarebbe giustificato un diverso trattamento giuridico, indipendentemente dal soggetto cui sia conferito l’incarico di tutore (parente, affine, ente pubblico o privato di assistenza).

Pertanto, si può concludere che, nel quadro normativo scaturito dalla modifica normativa del 2002, anche alla luce dell’indirizzo interpretativo espresso dalla Corte costituzionale, il minore straniero sottoposto a tutela rientrasse sempre nel raggio di applicazione dell’articolo 32, comma 1.

In tal senso si è posta, del resto, senza particolari contrasti, la giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui in materia di immigrazione, l’art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 va interpretato nel senso che il permesso di soggiorno al compimento della maggiore età può essere rilasciato non soltanto quando l’interessato è stato sottoposto ad affidamento amministrativo o giudiziario ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 184 del 1983, ma anche a tutela ai sensi degli articoli 343 e seguenti c.c. (Cons. Stato Sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5883).

10. Il sistema legislativo è però successivamente mutato.

In questo quadro, l’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94, entrata in vigore in data 8 agosto 2009, ha ulteriormente modificato la disciplina, incidendo, in particolare, sul procedimento di conversione del permesso di soggiorno di cui al comma 1bis. In forza della nuova legge, risulta diversamente indicato l’ambito soggettivo di applicazione della norma: la previsione riguarda, ora, "i minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela."

Inoltre, anche il comma 1 dello stesso articolo 32 è stato modificato, mediante la precisazione secondo cui la speciale disciplina della conversione prevista fa comunque salva, per i minori affidati ai sensi della legge n. 184/193, la disciplina più restrittiva stabilita dal comma 1bis.

Il nuovo intervento normativo, pertanto, mira a modificare il precedente assetto normativo, assimilando i minori soggetti a tutela o ad affidamento alla regolamentazione prevista per i minori non accompagnati.

Sulla base della nuova disciplina, attualmente vigente, quindi, per conseguire la conversione del permesso di soggiorno, il minore non accompagnato, sottoposto a tutela o in affidamento familiare, al momento del raggiungimento della maggiore età, deve essere nel territorio dello Stato da almeno tre anni e deve avere svolto un programma di integrazione di almeno un biennio.

11. A questo riguardo, tuttavia, l’appellante sostiene che l’unica condizione necessaria per ottenere la conversione del permesso di soggiorno per minore età del soggetto sottoposto a tutela o in affidamento, sia costituita dalla dimostrazione di essere stato ammesso alla frequentazione di un progetto biennale di integrazione. Non sarebbe necessario comprovare, invece, che, al momento del raggiungimento della maggiore età, il soggetto abbia concluso il progetto e si trovi nel territorio nazionale da almeno tre anni.

L’appellante fa leva sulla circostanza che il comma 1 dell’articolo 32 compie un richiamo al solo comma 1bis e non anche al successivo comma 1ter: ciò dimostrerebbe la volontà del legislatore di introdurre la sola condizione dell’ammissione al progetto (prevista, appunto dal comma 1bis), mentre non dovrebbero operare gli ulteriori presupposti riguardanti, al momento del compimento della maggiore età, l’effettivo completamento del progetto stesso e la permanenza triennale nel territorio nazionale (stabiliti dal comma 1bis).

Questa lettura interpretativa della disposizione non è persuasiva.

In primo luogo, è opportuno evidenziare, sul piano strettamente esegetico, che il comma 1 dell’articolo 32 prevede la salvezza del comma 1bis solo con riguardo alle ipotesi dei minori affidati ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 184/1983. Pertanto, la soluzione ermeneutica prospettata dall’appellante non potrebbe trovare applicazione nella presente vicenda, in cui non si è in presenza di tale tipo di affidamento, bensì di una tutela.

In secondo luogo, il rinvio al comma 1bis non può intendersi affatto come escludente l’operatività del successivo comma 1ter, dal momento che si tratta di due commi strettamente connessi, i quali vanno letti in modo coordinato.

In terzo luogo, la previsione del comma 1bis risulta assolutamente chiara nello stabilire che lo speciale percorso per conseguire il permesso di soggiorno riguarda i minori non accompagnati sottoposti a tutela o in affidamento. Il successivo comma 1ter, a sua volta, richiama la previsione del comma 1bis, confermando che vi è perfetta coincidenza tra gli ambiti di applicazione dei due commi.

Pertanto, risulta confermato che, in base alla nuova disciplina legislativa introdotta nel 2009, la conversione del permesso di soggiorno percorso più complesso previsto dai commi 1bis e 1ter riguardo anche i minori sottoposti a tutela, qualificabili come non accompagnati, in quanto privi di una figura familiare di riferimento.

12. L’appellante sostiene, tuttavia, che la nuova disciplina:

a) è incostituzionale, perché, andando in direzione opposta a quanto sancito dalla Corte costituzionale, introduce una ingiustificata disparità di trattamento tra la famiglia "naturale" e i vincoli scaturenti dall’affidamento o dalla tutela, ancorché realizzata nel contesto di istituzioni pubbliche o private di assistenza;

b) non è comunque applicabile alla presente vicenda, perché entrata in vigore dopo l’ingresso del minore nel territorio nazionale.

13.. La Sezione ritiene che il secondo argomento sia condivisibile e, per il suo carattere assorbente, renda priva di concreta rilevanza la prospettata questione di legittimità costituzionale.

Infatti, la nuova disciplina ha inciso su situazioni di fatto già in atto, derivanti dall’avvenuto ingresso di minori stranieri nel territorio nazionale.

In questa prospettiva, non potrebbe pretendersi che, al momento del raggiungimento della maggiore età il minore abbia già concluso il percorso biennale di integrazione: è sufficiente dimostrare, invece, che, in tale data, l’interessato sia stato ritualmente ammesso allo svolgimento del programma e che esso sia regolarmente in atto.

Del pari, non è necessario dimostrare la permanenza almeno triennale nel territori nazionale, dal momento che tale requisito non era prescritto, per i minori sottoposti a tutela, entrati nel territorio nazionale prima della riforma del 2009.

Pertanto, il provvedimento impugnato in primo grado è illegittimo, perché ha erroneamente applicato la normativa sopravvenuta in relazione ad una fattispecie soggetta alla precedente disciplina.

14.. Ne consegue l’accoglimento dell’appello, ne sensi sopra precisati.

Le spese dei due gradi possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l’appello e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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