Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-06-2011) 28-06-2011, n. 25701

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In parziale riforma della decisione del Tribunale, la Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto P.M. responsabile delle usurpazioni di pubbliche funzioni di cui alle lett. A, B e C dell’imputazione (nonchè al correlativo illecito amministrativo di cui al combinato disposto dell’art. 498 c.p. e L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 2 e art. 24) ed anche dell’interruzione di pubblico servizio di cui alla lett. E dell’imputazione.

2. Ricorre il P. che, rilevato che l’usurpazione sarebbe derivata dal fatto che avrebbe continuato ad esercitare le sue funzioni ed attribuzioni di Capo della Polizia Municipale di San Donà di Piave, nonostante le sospensioni disciplinari infittegli, deduce che mancava l’esecutività di tali sospensioni mai divenute definitive. Ciò perchè il P. (avendone il diritto per effetto del D.Lgs. n. 156 del 2001, art. 56 in relazione all’art. 6 CCNQ 23 marzo 2001) aveva impugnato le sospensioni davanti al Collegio Arbitrale di disciplina del Comune di San Donà, con effetto sospensivo dell’efficacia dei provvedimenti. L’Amministrazione, nonostante l’istituzione e la disciplina di tale Collegio per regolamento comunale, non aveva tuttavia mai attivato detto organo e tale mancata costituzione aveva provocato l’invalidità della sanzione come chiarito dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, tanto più che il regolamento comunale collega alla violazione del termine di 90 giorni per la decisione la conseguenza espressa della decadenza della sanzione disciplinare. Nè si sarebbe dovuto trascurare che la sanzione era stata irrogata al P. proprio in base a detto regolamento.

D’altronde il P. aveva impugnato la sanzione anche dinanzi ai collegi provinciali di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro e anche detta impugnazione aveva determinato la sospensione del provvedimento sanzionatorio (contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza). Inoltre v’era senz’altro la possibilità di concorrenza tra il ricorso al Collegio Arbitrale di disciplina del Comune e quello presso la Direzione Provinciale e ciò per evitare disparità di trattamento tra settore privato e settore privatizzato.

Pertanto anche a ritenere che la mancata costituzione del collegio di disciplina comunale abbia comportato l’inesperibilità del relativo ricorso, in ogni caso il ricorso al collegio provinciale avrebbe prodotto la sospensione dell’efficacia della sanzione e quindi l’inapplicabilità della norma penale per mancanza del presupposto.

Tant’è che la stessa Amministrazione ha ritenuto legittimi gli accertamenti compiuti dal P. nel preteso periodo di efficacia della sanzione a suo carico.

3. Con un secondo motivo il P. contesta la configurabilità dell’illecito amministrativo per assorbimento di questo nel reato di cui all’art. 347 c.p..

Con un terzo motivo il ricorrente lamenta che non sia stata riconosciuta la scriminante dell’esercizio di un diritto, costituito dal diritto a ricorrere al Collegio di Disciplina non cancellabile dall’inadempienza del Comune che tale Collegio non ha attivato.

Nel quarto motivo si contesta la sussistenza dell’elemento psicologico dell’arbitrarietà perchè il ricorrente non ha mai avuto contezza che le sanzioni fossero efficaci.

In ogni modo, quinto motivo, la mancata attivazione del Collegio avrebbe rappresentato un elemento tale da escludere il dolo.

4. Quanto all’art. 340 c.p. dalla stessa sentenza si ricava che non v’era alcun rapporto di causalità tra la condotta del ricorrente e la chiusura del Comando. Ma non v’era stato nemmeno un turbamento rilevante per il servizio nel suo complesso, essendo state rivolte le richieste solo a uno dei componenti dell’ufficio.

Non sussisteva in ogni modo l’elemento psicologico del reato, ma anzi il ricorrente agiva nella convinzione di esercitare un suo diritto.

Con l’ottavo motivo il P. si duole della determinazione della pena e della mancata sua sostituzione con sanzione pecuniaria nonchè del diniego di attenuanti generiche.

Con il nono motivo il ricorrente contesta la liquidazione del danno in favore del Comune.

5. Il P. ha presentato motivi nuovi.

Nel primo ribadisce la vigenza dell’istituto del Collegio Arbitrale di Disciplina al quale aveva presentato ricorso e a riprova cita il disposto del D.Lgs. 29 ottobre 2009, n. 150, art. 73.

Lamenta quindi che la Corte d’Appello, in assenza di impugnazione sul punto da parte del p.m., abbia revocato la sospensione condizionale della pena.

4. Ha presentato memorie anche la parte civile Comune di San Donà di Piave che ribadisce per contro che il Collegio Arbitrale di disciplina al momento del ricorso del P. aveva cessato la sua vigenza per cedere il posto, successivamente al 2001, all’arbitro unico regionale, il Comune appena ricevuto il ricorso del P. lo ha subito informato dell’inesistenza del Collegio Arbitrale e ha sospeso l’esecuzione della sanzione per consentirgli di adire l’Arbitro unico, cosa peraltro non fatta in tempo utile se non per una delle sanzioni. D’altra parte nemmeno il Collegio arbitrale presso la direzione provinciale doveva ritenersi operante e a partire dal 2001 aveva conservato solo funzioni di conciliazione. Funzione questa che in realtà era quella attivata dal P., il quale in malafede aveva continuato a impugnare le sanzioni dinanzi a organi oramai inesistenti.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile consistendo o nella pedissequa riproposizione di deduzioni e temi difensivi già correttamente disattesi nella sentenza impugnata o in censure di merito o manifestamente infondate.

2. Più in particolare deve qui riaffermarsi che, al momento della applicazione della sospensione dal servizio, l’unico rimedio esperibile dal P. con effetto sospensivo era il ricorso all’Arbitro unico regionale, in quanto non era stato mai stato attivato il Collegio Arbitrale di disciplina nel Comune di San Donà e in quanto i Collegi arbitrali presso le direzioni provinciali mantenevano solo funzioni di conciliazione. Ciò per i motivi analiticamente espressi nella sentenza di appello, a riprova dei quali va anche citato il disposto del D.Lgs. 29 ottobre 2009, n. 150, art. 73, che commina, a decorrere da tale data, la nullità per gli atti di quei Collegi Arbitrali di disciplina fino ad allora funzionanti, perchè già attivati nei rispettivi Comuni e quindi sopravvissuti al D.Lgs. n. 156 del 2001, art. 56 in relazione all’art. 6 CCNQ 23 marzo 2001. Il riferimento alla nullità degli atti e non alla cessazione di efficacia di norme è infatti sicuro indice di un funzionamento in prorogatiti dei Collegi Arbitrali, nonostante la già avvenuta abrogazione delle disposizioni che ne prevedevano l’istituzione. Abrogazione che fa ragione del preteso negato esercizio di un diritto (terzo motivo del ricorso), in quanto mai il Comune di San Donà di Piave avrebbe potuto attivare il Collegio Arbitrale dopo il 2001. 3. Nè il P. può opporre la sua buona fede o l’ignoranza invincibile della legge extrapenale (quarto e quinto motivo).

Quanto al primo punto è pacifico che il Comune avvertì il ricorrente dell’inesistenza dell’organo cui intendeva rivolgersi e gli diede anzi termine per esperire il ricorso utile. Quanto all’ignoranza invincibile, essa non appare ipotizzabile per chi come il P., in ragione della qualifica rivestita, era tenuto a specifico obbligo di informazione. Tanto senza aggiungere che, in fatto, la Corte d’Appello ha avanzato l’ipotesi che quello di rivolgersi a organi non funzionanti (ben sapendo tale circostanza) non fosse altro che un espediente diretto proprio a neutralizzare le sanzioni disciplinare.

4. Manifestamente infondata è poi la tesi dell’assorbimento della sanzione amministrativa connessa alla violazione dell’art. 498 c.p. nel delitto di cui all’art. 347 c.p., in quanto all’evidenza l’usurpazione può avvenire anche senza indossare abusivamente la divisa e usare i segni distintivi dell’ufficio e viceversa.

5. In ordine all’art. 340 c.p. nella sentenza impugnata si afferma che la condotta del P. riuscì a compromettere l’intera attività dell’ufficio, talchè la censura avanzata nel ricorso si risolve in una prospettazione del fatto diversa da quella accertata.

6. Di merito sono altresì i motivi sulla determinazione della pena, oggetto di accurata motivazione relativa alla pluralità dei reati, alla reiterazione della condotta e alla intensità del dolo ("una vera e propria sfida"). Altrettanto va detto per la liquidazione del danno, necessariamente operata con criteri equitativi e con uso ragionevole degli stessi.

7. Infine è manifestamente infondata la questione sulla revoca della sospensione condizionale, revoca che non appare nel dispositivo della sentenza impugnata, la quale sul punto conferma invece la decisione di primo grado.

8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende di una somma che si stima equo liquidare in mille Euro nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di mille Euro alla cassa delle ammende nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 3000,00 oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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