Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-06-2011) 28-06-2011, n. 25698

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.G. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 22 gennaio 2010 della Corte di appello di Reggio Calabria (che ha confermato la sentenza 4 luglio 2005 del G.U.P. del Tribunale di Locri, di condanna per il reato ex art. 416 cod. pen., per aver costituito con altri – tra cui D.P., T. S., F.N., T.P. per cui si è proceduto con rito ordinario – e quale promotore, organizzatore, nonchè esecutore materiale, una associazione finalizzata alla perpetrazione di furti e rapine, ricettazioni e truffe in danno del Servizio Sanitario Nazionale e di ditte private, al fine di impossessarsi di fustelle di medicinali da rivendere a terzi), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) la decisione dei giudici di merito.

Secondo la corte distrettuale/l’esistenza di una associazione a delinquere, finalizzata alla perpetrazione rapine, ricettazione e truffe ai danni del S.S.N. della Locride, sarebbe emersa dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali e dai servizi mirati predisposti dalla P.G. che avevano consentito di cogliere D. P. e T.S. in flagranza di reato e rinvenire a casa del primo una grande quantità di ricette mediche già compilate e fustelle contraffatte.

Per la Corte di appello le conversazioni intercettate evidenziavano la predisposizione di una sistematica attività delinquenziale, in danno delle strutture ospedaliere e delle ditte specializzate nel trasporto dei farmaci, confermata dai servizi di Polizia giudiziaria che coglievano due dei componenti della compagine criminosa in flagranza di reato ed il D. in possesso di ricette mediche compilate e fustelle di medicinali, cioè degli elementi indispensabili per realizzare truffe in danno delle ASL. Inoltre, sempre per la gravata sentenza, la disponibilità di auto, sacchi con cui trasportare il materiale trafugato e la ricerca di passe-partout con cui introdursi nei depositi di medicinali degli ospedali confermavano definitivamente l’esistenza del predetto programma criminoso, mentre il linguaggio criptico usato nelle intercettate conversazioni ribadiva l’illiceità dell’attività posta in essere dai conversanti.

In tale quadro la corte distrettuale contesta l’interpretazione difensiva data al termine "mangiare" usato dagli imputati, dovendosi invece attribuire ad essa il significato decriptato di "rubare" confermata dalla circostanza che il D. e il T., dopo avere detto che andavano a mangiare, erano invece intercettati dalle forze dell’ordine nei pressi dell’ospedale di Locri a bordo di una macchina all’interno della quale c’erano sacchi di iuta, destinati a contenere la refurtiva, cui aveva giorni prima fatto riferimento il T..

Quanto alla posizione del B., la Corte ne affermava una condizione di partecipazione, a livello organizzativo e non occasionale con i correi D. e T., ininfluente essendo il mancato accertamento di contatti tra B. e T., sufficiente essendo, per far ritenere la sussistenza del sodalizio, il legame del ricorrente con il D. e la disponibilità emersa, relativamente all’attività criminosa perseguita da questi e dal T., nell’ambito della quale, il B. svolgeva un ruolo decisionale, essendo emerso che il D. si uniformava alle sue decisioni.

2.) I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo dell’affermata sussistenza del delitto associativo.

In particolare si lamenta: a) la pochezza e genericità degli indizi raccolti e la scorretta interpretazione delle conversazioni intercettate; b) la mancanza radicale di motivazione, nonostante le precise critiche dell’atto di appello: sulla pretesa associazione, la cui sussistenza è apoditticamente affermata senza analizzare; la permanenza del vincolo; la programmazione delittuosa e la predisposizione dei mezzi della struttura; il profilo di consapevolezza e partecipazione causale del ricorrente; il ruolo attribuitogli di promotore-organizzatore; c) il valore negato alle assoluzioni del B. dai reati fini contestatigli.

Con un secondo motivo che costituisce una sostanziale integrazione della prima doglianza, si prospetta il salto logico che, dalla mera decrittazione di una conversazione telefonica nella quale "mangiare" aveva il significato di "rubare", consente di passare ad una conclusione in termini di associazione e per di più con ruoli di responsabilità apicale. In ogni caso si critica l’assenza di indicazioni sui profili soggettivi del delitto ritenuto.

Entrambi i motivi sono fondati e la gravata sentenza va annullata come da conforme richiesta del Procuratore generale in udienza.

Nella specie si tratta di una doppia conforme pronuncia di responsabilità nella quale la Corte di appello ha sostanzialmente richiamato gli stessi dati probatori utilizzati dal G.U.P. per la pronuncia di colpevolezza.

Dalla decisione di primo grado, confermata dalla corte distrettuale, l’esistenza del sodalizio viene ricostruita con la conclusione (pag.

5) che di esso "deve reputarsi attivamente partecipe anche B.G.", indicato peraltro nella pagina precedente (pag.

4) come la persona con il ruolo di "organizzatore".

Orbene la lettura della motivazione della decisione impugnata – come rilevato dal Procuratore generale – non giustifica in termini di adeguatezza sia la partecipazione del B. all’associazione, sia la sua preminente funzione organizzatrice, limitandosi i giudici di merito alla elencazione dei dati processuali desunti quasi esclusivamente da intercettazioni e risultanze di Polizia giudiziaria che riguardano D. e T..

La posizione dell’odierno ricorrente B. è ricostruita sulla scorta di una conversazione ambientale tra presenti (4 febbraio 2003) e da un dialogo intercettato sull’utenza telefonica in uso al D.: da tali due dati si è sostanzialmente dedotta la sussistenza del reato associativo e del ruolo decisionale assunto dal B.. Il tutto peraltro senza alcuna risposta alle doglianze del gravame che avevano lamentato l’insussistenza del reato associativo, la mancanza di prova dell’affectio societatis e del ruolo di organizzatore attribuito al B..

In definitiva;la Corte di appello è venuta meno al suo obbligo motivazionale omettendo la necessaria risposta alle puntuali critiche del gravame nei punti essenziali per il giudizio di colpevolezza.

E’ noto che le tematiche associative sono state oggetto di svariate e plurime letture da parte della giurisprudenza di legittimità, bastando qui rilevare, agli effetti del pronunciato annullamento, alcune considerazioni e parametri valutativi.

Innanzitutto l’associazione per delinquere non è affatto e necessariamente, un organismo formale, sostanziandosi nell’accettazione, insieme ad almeno altre due persone, di una disponibilità e di un impegno permanenti a svolgere determinati compiti, al fine di realizzare un programma di fatti delittuosi: è sufficiente che tale adesione dia vita ad un organismo più risoggettivo che, indipendentemente da eventuali forme esterne, sia in grado di avere una volontà autonoma rispetto a quella dei singoli e di svolgere una condotta collettiva, sintesi delle condotte individuali, al fine di realizzare il programma criminoso.

In tale organismo, l’elemento psicologico va individuato nella coscienza di far parte di un impegno collettivo permanente e di svolgere i propri compiti, come determinati dai capi o coordinatori al fine di compiere a tempo debito i delitti programmati, tenuto conto che il reato associativo si caratterizza per tre elementi fondamentali, costituiti:

a) da un vincolo interpersonale, non occasionale, tendenzialmente permanente o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, con la coscienza di far parte di un impegno collettivo permanente e di contribuire a svolgere i propri compiti, come determinati, al fine del conseguimento dell’obiettivo illecito (cfr. ex plurimis: Sez. 6, 1174/2008, Rv. 238403);

b) dall’indeterminatezza del programma criminoso, che distingue e differenzia tali illeciti dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, indeterminatezza che non è esclusa dalla eventualità che l’associazione sia finalizzata (come nella odierna fattispecie) esclusivamente alla realizzazione di reati di un medesimo tipo o natura, giacchè essa attiene al numero, alle modalità, ai tempi, agli obiettivi dei delitti integranti eventualmente anche un’unica disposizione di legge, e non necessariamente alla diversa qualificazione giuridico penalistica dei fatti programmati;

c) dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea, e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira, a ciò bastando, come detto, l’esistenza di strutture anche rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, pur semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune, in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, col contributo degli associati (vds. in termini: Cass. Pen. sez. 1^, 34043/2006, in ric. D’Attis).

Una volta verificata l’esistenza, anche rudimentale, della struttura e le interrelazioni personali tra i componenti, per poter affermare la "qualità di promotore od organizzatore", pur non essendo necessaria l’esistenza di una struttura gerarchica, è invece necessaria ed essenziale la prova del concreto ruolo, svolto nella struttura, da coloro cui tale qualifica viene attribuita, considerato che i compartecipi di un’associazione a delinquere, priva di struttura gerarchica (come quella di specie), non possono, per ciò stesso ed in modo automatico, essere ritenuti "promotori" od "organizzatori" ai sensi del primo comma dell’art. 416 cod. pen. (Cass. pen. sez. Sez. 1, 17027/2003 Rv. 224808).

Si impone pertanto l’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della corte d’appello, la quale provvederà a nuova ed autonoma valutazione degli elementi di prova, tenendo conto dei principi dianzi affermati ed ovviando ai vizi di motivazione che sono stati rilevati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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