Cons. Stato Sez. VI, Sent., 04-07-2011, n. 3978 Agricoltura e alimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierna appellata Azienda Agricola C. G. ha chiesto l’annullamento della nota pervenutale nel mese di ottobre 1999, con cui AIMA le aveva comunicato l’esito della compensazione nazionale ed intimato il pagamento del prelievo supplementare per lo sforamento delle c.d. "quote latte" per le annate 1995/96 e 1996/97.

L’appellata ha proposto articolati motivi di censura, lamentando la violazione e falsa applicazione del reg. CEE n. 3050/92, del principio comunitario del legittimo affidamento, dell’art. 11 delle disp. prel. al c.c., in relazione agli artt. 4 della L. n. 468/1992 e 6 del D.P.R. n. 569/1993, degli artt. 23, 24 e 25 della Costituzione, dell’art. 3 del D.L. n. 411/1997, come convertito nella L. n. 5/1998, dell’art. 1, co. 1, del D.L. n. 43/1999.

Essa ha contestato la compatibilità comunitaria e costituzionale della normativa nazionale che ha introdotto e disciplinato l’intero sistema delle "quote latte" (in particolare, le leggi n. 5/98 e n. 118/99 e i DD.MM. 17 febbraio 1998 e 21 maggio 1999 n. 159) e, al contempo, ha lamentato la sommarietà degli accertamenti posti in essere dall’Aima, che avrebbe operato sulla base di presunzioni – incentrate su dati non veritieri e non aggiornati- non individualmente riferibili alle singole aziende produttrici.

Il primo giudice, premessa la disamina delle disposizioni legislative comunitarie e nazionali in materia, ha esaminato congiuntamente le censure dedotte ed ha respinto quelle proposte nei primi cinque motivi e con l’ottavo motivo.

Il TAR ha poi preso in esame il sesto motivo, volta ad affermare l’incompatibilità comunitaria, per violazione dell’art. 2 del Reg. CE n. 3950/1992 e dell’art. 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993, delle modalità contenute nell’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999 (convertito in legge n. 118/1999) per l’effettuazione delle operazioni di compensazione nazionale, nella parte in cui il legislatore nazionale aveva privilegiato le categorie ivi previste.

A tale proposito, il TAR, pur manifestandosi consapevole dell’orientamento giurisprudenziale reiettivo della doglianza (sentenza n. 11376/08, resa dalla stessa Sezione II ter del TAR del Lazio), ha ritenuto di mutare orientamento, accogliendo la censura.

In particolare, il TAR ha ritenuto che la normativa nazionale del 1999 (art. 1, comma 8, D.L. n. 43/1999 convertito in legge n. 118/1999), nella parte in cui avvantaggiava alcune categorie di produttori nelle operazioni di compensazione, fosse in contrasto con quella comunitaria ed, in particolare, con l’art. 2, comma 4, del Reg. CE n. 3950/1992 e con l’art. 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993.

Il TAR ha osservato che:

– mediante detta procedura l’organismo competente (ora AGEA), nella determinazione dell’importo totale di prelievo supplementare da corrispondere alla Unione Europea, operava la compensazione assegnando, in via prioritaria, i QRI (in tutto o in parte) non utilizzati a favore di prioritarie categorie di produttori, (individuati nel citato art. 1, comma 8, D.L. n. 43/1999) determinando così un abbattimento dello sforamento del QRI assegnato per l’annata lattiera e, di conseguenza, della somma di prelievo supplementare da corrispondere ad AGEA e quindi alla CE;

– con tale normativa il legislatore nazionale aveva scelto, come previsto dalla normativa comunitaria, la riassegnazione, a livello nazionale, dei quantitativi di riferimento inutilizzati in tutto o in parte a favore dei produttori che, invece, avevano sforato sul proprio QRI (sempre che la somma degli sforamenti su tutti i QRI fossero superiori al QGG assegnato allo Stato membro);

– la disciplina comunitaria consentiva tale opzione scelta, perché in un considerando del Reg. CE n. 3950/1992 era previsto che "per quanto riguarda le consegne, che costituiscono la quasi totalità dei quantitativi commercializzati, la necessità di garantire la piena efficacia del prelievo in tutta la Comunità giustifica, in linea di principio, il mantenimento della possibilità per gli Stati membri di scegliere tra due modalità di perequazione dei superamenti dei quantitativi di riferimento individuali, tenuto conto della diversità delle strutture di produzione e di raccolta lattiere; che, a tale proposito, occorre autorizzare gli Stati membri a non riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, a livello nazionale o tra gli acquirenti, e a destinare l’importo riscosso che supera il prelievo dovuto al finanziamento di programmi nazionali di ristrutturazione e/o a restituirlo ai produttori facenti parte di talune categorie o che si trovano in una situazione eccezionale";

– l’art. 2, comma 4, del Reg. CE n. 3950/1992 aveva quindi previsto che "Qualora il prelievo sia dovuto e l’importo riscosso sia superiore, lo Stato membro può destinare l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all’articolo 8, primo trattino e/o rimborsarlo ai produttori che rientrano in categorie prioritarie stabilite dallo Stato membro in base a criteri obiettivi da determinarsi o confrontati ad una situazione eccezionale risultante da una disposizione nazionale non avente alcun nesso con il presente regime";

– a sua volta, l’art. 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993 stabiliva che "Lo Stato membro può disporre che l’autorità competente notifichi all’acquirente l’importo del prelievo da lui dovuto, dopo aver o non aver riassegnato – a seconda di quanto deciso dallo Stato membro stesso – la totalità o una parte dei quantitativi di riferimento inutilizzati, o direttamente ai produttori interessati od agli acquirenti affinché li ripartiscano fra i produttori stessi".

Da tale quadro normativo, il TAR ha tratto il corollario per cui il legislatore comunitario aveva lasciato libertà di scelta allo Stato membro sulla possibilità di riassegnare o meno i QRI in tutto o in parte non utilizzati; con riferimento invece alle modalità di riassegnazione, aveva però ancorato tale evenienza (ovvero la distribuzione delle somme riscosse in eccedenza) al caso in cui il legislatore nazionale avesse scelto di non riassegnare le quote inutilizzate.

Senonchè ad avviso del TAR ricorrerebbero due elementi a favore della tesi dell’incompatibilità comunitaria della citata normativa nazionale, nella parte in cui privilegiava la compensazione nazionale nei confronti delle categorie previste dall’art. 1, comma 8, D.L. n. 43/1999.

Il primo si basa sulla circostanza per cui, soltanto con il Reg. CE n. 1788/2003 e con la legge n. 119/2003, era emerso chiaramente l’intento della normativa comunitaria di prevedere la possibilità di effettuare la restituzione di somme riscosse in eccesso in favore di categorie privilegiate.

Ed il "nuovo" sistema introdotto dal legislatore nazionale aveva reso ciò possibile allorchè aveva previsto un sistema di versamento (quasi) immediato del prelievo trattenuto dagli acquirenti alla AGEA (sistema introdotto conformemente a quanto previsto dalla normativa comunitaria per rendere effettivo il pagamento del prelievo da parte dei produttori).

Tale effettività non era, invece, garantita nel sistema precedente durante il quale la trattenuta delle somme dovute al produttore da parte del primo acquirente – per una serie di ragioni di carattere normativo, fattuale ed organizzativo- non era effettiva.

Nella prima fase di attuazione del sistema delle quote latte, il legislatore nazionale aveva invece ordinato ( legge n. 5/1998) ai primi acquirenti la restituzione delle somme trattenute dai produttori: ciò in ragione dell’esigenza di rideterminare i QRI da assegnare alle aziende.

Peraltro il Reg. CE n. 3950/1992 non prevedeva un obbligo di trattenuta a carico del primo acquirente e, sebbene ciò sia stato affermato con riferimento all’applicazione del regime sanzionatorio previsto a carico di quest’ultimo dal legislatore nazionale (con ciò sancendo l’inapplicabilità delle sanzioni, non sussistendo l’obbligo di trattenuta), doveva registrarsi, in punto di fatto, come nei primi anni di applicazione del regime (dal 1995 in poi), gli acquirenti avessero omesso di effettuare la trattenuta nei confronti dei produttori (in alcuni casi, anche in forma surrettizia, restituendo somme trattenute anticipando, ad esempio, i meccanismi di compensazione nazionale).

Il secondo elemento che ha indotto il primo giudice a ritenere il sistema nazionale incompatibile con la normativa comunitaria si è basato sulla mancata applicazione del regime delle trattenute, con conseguente impossibilità – tra l’altro – di contare su un importo riscosso eccedente rispetto a quanto dovuto alla CE.

Gli effetti concreti che tale situazione determinava militavano in favore della tesi dell’incompatibilità con la normativa comunitaria della disciplina nazionale.

Il citato art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999 prevedeva infatti, tra le categorie privilegiate, alcune tipologie di produttori (1) i titolari di quota delle zone di montagna; 2) i titolari di quota A e di quota B nei confronti dei quali è stata disposta la riduzione della quota B, nei limiti del quantitativo ridotto; 3) i titolari di quota ubicati nelle zone svantaggiate; 4) i titolari esclusivamente della quota A che hanno superato la propria quota, nei limiti del 5 per cento della quota medesima; 5) i titolari di quota; 6) tutti gli altri produttori).

In assenza di una chiara determinazione della QRI di riferimento (quantomeno, nei primi anni di applicazione del sistema) e del fatto che, nei confronti di coloro che sforavano sulla quota assegnata anche in base al dato storico, non veniva applicata – di fatto – la trattenuta, la prevista possibilità per le categorie privilegiate (soprattutto per le prime: le aziende di montagna) di poter aspirare alla compensazione con le quote non utilizzate consentiva a queste categorie di produrre senza rispettare, il QRI di riferimento e determinando la illegittima conseguenza per cui gran parte del carico del prelievo dovuto alla CE gravasse su una cerchia limitata di produttori.

Ciò in quanto la compensazione nazionale di cui al citato art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999 non prevedeva una modalità compensativa che ricadesse proporzionalmente su tutte le categorie ivi previste: la procedura prevedeva che la riassegnazione venisse svolta secondo l’ordine decrescente ivi previsto (prioritariamente le aziende di montagna e, poi, per la parte residua a quelle seguenti indicate nell’articolato normativo predetto).

Dal 2003 in poi, invece, a fronte di un QRI assegnato all’inizio della campagna lattiera (anche in ragione del progressivo assestamento del sistema) e, soprattutto, in ragione della circostanza che vigeva l’obbligo di trattenuta e di versamento mensile nelle casse dell’AGEA, tale discriminazione poteva dirsi invece scongiurata e la normativa nazionale che privilegiava la restituzione in favore di determinate categorie di produttori non risultava incompatibile con la normativa comunitaria ora rappresentata dal Reg. CE n. 1788/2003.

Il primo giudice ha quindi ritenuto che l’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999 (convertito in legge n. 118/1999) dovesse essere disapplicato per contrasto con l’art. 2, comma 4, del Reg. CE n. 3950/1992 e con l’art. 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993, nella parte in cui non prevedeva che la riassegnazione dei QRI in tutto o in parte inutilizzati avvenisse in favore di tutti i produttori, senza privilegio per alcuna categoria.

Ciò non riguardava la pretesa avanzata dalla odierna appellata con riferimento, invece, alla compensazione rideterminata per l’annata 1995/96, posto che ad essa era stato applicato il calcolo più favorevole ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge n. 5/98 (ovvero era stata mantenuta valida la compensazione effettuata a livello di APL precedente all’entrata in vigore dell’art. 3 del D.L. n. 552/1996) e che nei confronti di tale modalità di compensazione da ultimo citata nessuna censura era stata avanzata.

Parimenti il TAR ha accolto il settimo motivo di censura, avendo affermato che (con riferimento alle annate dal 1995/96 al 1997/98) gli interessi dovessero essere calcolati a partire dalla richiesta del prelievo supplementare rivolta da AGEA ai produttori.

Tale richiesta, con riferimento alle annate 1995/96 e 1996/97, era avvenuta tra il mese di settembre ed ottobre 1999 e, per la campagna 1997/98, nel mese di giugno 2000.

Infatti, per quelle campagne (dal 1995/96 al 1997/98), il sistema delineato dalla predetta legge n. 468/1992 era stato "sospeso", in ragione del fatto che vi erano stati notevoli problemi nella assegnazione delle quote (QRI) ai singoli produttori.

Per tale motivo, la legge n. 5/98 aveva disposto una serie di accertamenti al fine di correggere errori nella distribuzione delle QRI (art. 2).

In attesa dell’esito dei predetti accertamenti e dell’assegnazione delle QRI rideterminate ai produttori, era stato sospeso il meccanismo della trattenuta previsto dalla legge n. 468/1992, tanto che, con l’art. 1 della citata legge n. 5/1998, era stato ordinato ai primi acquirenti di restituire parte rilevante degli importi trattenuti unitamente agli interessi nel frattempo maturati: l’esito definitivo degli accertamenti si era avuto solo con la richiesta rivolta ai produttori del prelievo supplementare che, con riferimento alle annate 1995/96 e 1996/97, era avvenuta tra il mese di settembre ed ottobre 1999 e, per la campagna 1997/98, nel mese di giugno 2000.

Richiamata la propria precedente sentenza 16 febbraio 2010, n. 2280, il TAR ha quindi affermato che per quelle annate, quindi, proprio in ragione delle difficoltà riscontrate nell’assegnazione delle QRI che ha portato all’adozione della legge n. 5/98 e alla sospensione (di fatto) della procedura di cui alla legge n. 468/92, gli interessi dovevano farsi decorrere dal momento in cui era stata comunicata al produttore l’entità del prelievo supplementare dovuto (e non dal 1° settembre dell’anno di riferimento, seppure richiesto dalla normativa comunitaria).

Avverso il capo della sentenza in epigrafe che ha accolto il sesto motivo del mezzo di primo grado, l’amministrazione soccombente ha proposto un articolato appello.

L’amministrazione ha in proposito diffusamente ripercorso le tappe storiche, sotto il profilo legislativo italiano e comunitario, della questione relativa alla determinazione delle c.d "quote latte" ed ha criticato entrambi i capisaldi della motivazione posta dal primo giudice a sostegno della tesi della incompatibilità della disciplina nazionale di cui all’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999 (convertito in legge n. 118/1999) con l’art. 2, comma 4, del Reg. CE n. 3950/1992 e l’art. 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993.

Quanto al primo profilo sostenuto dal TAR, non rispondeva al vero che soltanto con il Regolamento CE n. 1780/2003 (e con la legge nazionale n. 119/2003) si fosse chiarito l’intento di restituire le somme prelevate in eccesso in favore di categorie privilegiate.

Il VII considerando e gli artt. 2 comma IV e 5 del Regolamento CE n. 3950/1992 consentivano agli Stati membri di sostenere taluni produttori (individuati in categorie oggettive e secondo canoni di ragionevolezza certamente rispettati dalla legislazione italiana), addirittura consentendo (art. 5) di accordare ad essi quantitativi supplementari o specifici (modalità certamente più penalizzante della assegnazione di quote inutilizzate).

Anche altri atti normativi comunitari (art. 17 del Regolamento CE n. 950/1979) legittimavano una politica di supporto alle attività agricole svolgentesi in zone svantaggiate, il che dimostrava la complessiva razionalità del sistema perseguito dal Legislatore nazionale.

Inoltre, nessuna disposizione comunitaria prevedeva che le quote inutilizzate fossero riattribuite tra tutti i produttori.

La ratio del sistema (evitare che venisse oltrepassata la quota nazionale assegnata allo Stato membro) non implicava la impossibilità di riassegnazione differenziata dei quantitativi individuali.

E tale ratio trovava conferma nel disposto di cui all’art. 13 del Regolamento Ce n. 1780/2003, che non costituiva disposizione innovativa rispetto al sistema previgente.

Anche il secondo cardine della motivazione del TAR meritava censura: l’aver previsto un sistema di ripartizione differenziata non implicava che i produttori menzionati dal citato art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999 potessero produrre in maniera illimitata.

Al produttore che avesse ecceduto rispetto al limite di riferimento non poteva essere addossato alcun onere diverso da quello conseguente allo sforamento della propria quota di riferimento: la disposizione era finalizzata a compensare l’obiettivo svantaggio in cui si trovavano taluni produttori a causa della ubicazione delle relative aziende, ma non metteva in discussione che ognuno di essi fosse tenuto a rispettare i limiti produttivi assegnatigli (e peraltro doveva ribadirsi che la compensazione costituiva una merà facoltà, e non un obbligo per lo Statomembro).

La sentenza era gravemente errata e meritava pertanto di essere riformata con riguardo al predetto capo di decisione.

Con memoria datata 22 marzo 2011 l’appellante amministrazione ha ribadito e puntualizzato le proprie doglianze insistendo nell’accoglimento dell’appello.

Nella camera di consiglio del 1° febbraio 2011, fissata per la delibazione della domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, la Sezione con l’ordinanza n. 428/2011

ha rilevato che le questioni prospettate nell’istanza apparivano meritevoli di sollecita delibazione nel merito e che pertanto doveva essere fissata l’udienza pubblica di trattazione del ricorso per il 7 giugno 2011, sospendendo fino a tale data l’esecutività della sentenza.

Alla udienza del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. L’appello è fondato e merita accoglimento. La impugnata sentenza, pertanto, deve essere riformata nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente reiezione del sesto motivo del ricorso di primo grado e reviviscenza, nei termini di cui alla motivazione, degli effetti degli atti impugnati annullati dal TAR.

2. Il punto centrale del convincimento del primo giudice – secondo cui la normativa nazionale del 1999 (art. 1, comma 8, D.L. n. 43/1999 convertito in legge n. 118/1999) nella parte in cui avvantaggia alcune categorie di produttori nelle operazioni di compensazione fosse in contrasto con quella comunitaria ed, in particolare, con l’art. 2, comma 4, del Reg. CE n. 3950/1992 e con l’art. 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993 – riposa in un duplice ordine di affermazioni.

Secondo la prima di esse, soltanto con il Regolamento CE n. 1788/2003 e con la legge n. 119/2003, era emerso chiaramente l’intento della normativa comunitaria di prevedere la possibilità di effettuare la restituzione di somme riscosse in eccesso in favore di categorie privilegiate.

Secondariamente, si era constatata, nel periodo di riferimento, la mancata applicazione del regime delle trattenute, con conseguente impossibilità – tra l’altro – di contare su un importo riscosso eccedente rispetto a quanto dovuto alla CE.

La sintesi che si può trarre dal complesso ragionamento articolato dal primo giudice è quella per cui il contrasto con l’art. 2, comma 4, del Reg. CE n. 3950/1992 e con l’art. 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993 deriverebbe da due considerazioni, la prima delle quali avrebbe carattere normativo, mentre la seconda avrebbe natura fattuale: soltanto con il Reg. CE n. 1788/2003 e con la legge n. 119/2003, era divenuto chiaro l’intento della normativa comunitaria di prevedere la possibilità di effettuare la restituzione di somme riscosse in eccesso in favore di categorie privilegiate, e ciò era stato reso possibile dal nuovo sistema, il quale ha previsto un metodo di versamento (quasi) immediato del prelievo trattenuto dagli acquirenti alla AGEA, per rendere effettivo il pagamento del prelievo da parte dei produttori.

Al contrario, tale effettività non era garantita nel sistema precedente, dove la trattenuta delle somme dovute al produttore da parte del primo acquirente, per svariate ragioni di carattere normativo, fattuale ed organizzativo, non veniva realmente operata. Anzi, nella prima fase di attuazione del sistema delle quote latte, il legislatore nazionale aveva addirittura ordinato ( legge n. 5/1998) ai primi acquirenti la restituzione delle somme trattenute ai produttori, ciò in ragione dell’esigenza di rideterminare i Q.R.I. da assegnare alle aziende.

La mancata applicazione del regime delle trattenute, con conseguente impossibilità – tra l’altro – di contare su un importo riscosso eccedente rispetto a quanto dovuto alla CE, induceva a ritenere il sistema nazionale incompatibile con la normativa comunitaria: in assenza di una chiara determinazione della Q.R.I. (quantomeno, nei primi anni di applicazione del sistema) e della mancata trattenuta nei confronti di coloro che travalicavano la quota assegnata la possibilità (per le categorie privilegiate) di poter aspirare alla compensazione con le quote non utilizzate consentiva loro di produrre senza rispettare il Q.R.I; ciò comportava, di fatto, che gran parte del carico del prelievo dovuto alla CE gravasse su una cerchia limitata.

3. Ritiene il Collegio che l’iter motivazionale del primo giudice – così sintetizzato – non resista alle censure contenute nel ricorso in appello.

Va in via preliminare considerato che lo scopo ultimo dell’intera disciplina di riferimento, in ambito europeo, è quello di stabilire le modalità che consentano di rispettare la quota nazionale assegnata ad ogni Stato membro, senza che, a tal fine, rilevino le procedure, tutte interne, atte ad impedire che venga sforata, a livello nazionale, la QNR (quota nazionale di riferimento), mentre la scelta, ex l. n. 118/99, "di dare priorità nelle procedure di compensazione" ai produttori titolari di quota ubicati nelle zone di montagna, ovvero nelle zone svantaggiate, sebbene opinabile, resta comunque "una questione che ha valenza solo nazionale".

In altri termini, l’adattamento della disciplina comunitaria alle peculiari esigenze interne è, entro limiti di coerenza con i principi dei Trattati, e della disciplina della specifica materia, pienamente legittimo, purché razionale e comunque adeguatamente giustificato.

L’art. 1, comma 8, del DL n. 43/99, convertito in legge n. 118/99, prevede che la compensazione nazionale sia effettuata, per i periodi 1995/96 e 1996/97, secondo l’ordine che segue:

1) in favore dei produttori titolari di quota ubicati nelle zone di montagna;

2) nei confronti dei produttori titolari di quota A e di quota B per i quali è stata disposta la riduzione della quota B, nei limiti del quantitativo ridotto;

3) in favore dei produttori titolari di quota ubicati nelle zone svantaggiate;

4) in favore dei produttori titolari esclusivamente della quota A che hanno superato la propria quota, nei limiti del 5 per cento della quota medesima.

Premesso che la scelta effettuata dal legislatore nazionale non è priva di margini di opinabilità, ma non appare contraddistinta da elementi di irragionevolezza sufficienti per ipotizzare la possibilità di sollevare questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale (né con riferimento alle scelta di privilegiare, nelle procedure di compensazione, le zone di montagne proprio per le oggettive difficoltà di produzione in cui incorrono le aziende ubicate in quei territori né con riguardo ai titolari della quota B tagliata ai quali, a fronte della prova di una determinata quantità di produzione, gli è stata comunque decurtata la QRI, consentendo così di far rientrare la produzione nazionale nella quota annuale conferita a livello europeo), non si ritiene neppure sussista la riscontrata incompatibilità con il regime normativo comunitario.

4.Sotto il profilo normativo, infatti, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, i regolamenti comunitari antecedenti al 2003 contemplavano l’esistenza di categorie "oggettivamente sfavorite"; e soprattutto, prevedevano la possibilità per il legislatore nazionale di dare riconoscimento legislativo a tale situazione di oggettivo disfavore mercè la predisposizione del meccanismo compensativo censurato dal primo giudice.

In sintesi, la possibilità di individuare categorie di produttori privilegiate in sede di compensazione non è eccentrica rispetto alla previsione normativa comunitaria successiva al 2003, ma non lo era neppure con riferimento al periodo preso in esame dal Tribunale amministrativo.

Deve essere in proposito richiamato, in primo luogo, il testo dell’art. 9 del Regolamento (CE) n. 1392/2001 della Commissione del 9 luglio 2001, (la cui rubrica recita: "criteri di ripartizione del prelievo in eccesso") laddove si prevede che

"1. Se del caso, gli Stati membri determinano le categorie prioritarie di produttori menzionate all’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento (CEE) n. 3950/92, fondandosi su uno o più dei

seguenti criteri oggettivi elencati in ordine di priorità:

a) il riconoscimento ufficiale, da parte dell’autorità competente dello Stato membro, che la totalità o una parte del prelievo è indebitamente riscossa;

b) la situazione geografica dell’azienda e in primo luogo le zone di montagna di cui all’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio (2);

c) la densità massima degli animali nell’azienda, caratterizzante l’estensivazione della produzione zootecnica;

d) l’entità del superamento del quantitativo di riferimento individuale;

e) il quantitativo di riferimento di cui dispone il produttore.

2. Qualora l’applicazione dei summenzionati criteri non esaurisca il finanziamento disponibile per un determinato periodo, vengono adottati altri criteri obiettivi stabiliti dallo Stato membro, previa consultazione della Commissione."

E’ agevole riscontrare che tra i criteri ivi menzionati si rinviene quelli relativo alla " situazione geografica dell’azienda e in primo luogo le zone di montagna", in espressa attuazione del sesto considerando del Regolamento medesimo, laddove si afferma che "Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento (CEE) n. 3950/92, spetta alla Commissione decidere in base a quali criteri categorie prioritarie di produttori potranno beneficiare di un rimborso del prelievo, qualora lo Stato membro abbia preferito non procedere, nel proprio territorio, ad una riassegnazione totale dei

quantitativi inutilizzati. Soltanto nel caso in cui tali criteri non possano venir pienamente applicati in uno Stato membro, quest’ultimo può essere autorizzato a fissare altri criteri, previa consultazione della Commissione."

A propria volta, il citato art. 2, paragrafo 4, del regolamento (CEE) n. 3950/92 dispone che, qualora il prelievo complessivamente riscosso sia superiore a quello dovuto, lo Stato membro può, tra l’altro, "rimborsarlo ai produttori che rientrano in categorie prioritarie stabilite dallo Stato membro".

Sia la disciplina italiana che quella comunitaria, quindi hanno individuato le medesime categorie privilegiate, le quali possono essere liberate, almeno parzialmente, dal peso economico del prelievo supplementare, pur avendo prodotto in eccesso rispetto alla quota assegnata.

Così, a differenziare le due normative è soltanto la modalità, attraverso la quale tale esenzione si realizza, e cioè, in un caso – quello interno – preventivamente, nell’altro, in via per così dire consuntiva, ma non per questo con diversa certezza.

Né i regolamenti citati vietavano espressamente la soluzione prescelta dal legislatore italiano, di guisa che nessun principio dell’ordinamento comunitario essa viola, una volta riconosciuta la legittimità del beneficio assegnato a categorie specifiche.

Al contempo, come è agevole riscontrare dalle disposizioni citate, la scelta di graduare in via decrescente e per categoria il suddetto beneficio ricalca proprio quella prevista dall’art. 9 del Regolamento (CE) n. 1392/2001, laddove i suddetti criteri oggettivi sono elencati "in ordine di priorità".

4. 1. Quanto alla seconda considerazione del TAR, il Collegio non condivide l’affermazione secondo cui la incompatibilità di una disciplina nazionale rispetto a quella comunitaria possa essere riscontrata in relazione alle eventuali difficoltà applicative incontrate in sede di applicazione delle disposizione del settore.

Anche a voler condividere la valutazione del TAR sulla inadeguatezza della applicazione del sistema delle quote latte in Italia, non può certo discendere l’incompatibilità della legislazione nazionale con la normativa comunitaria, una volta che – come dimostrato prima- la compensazione per categorie privilegiate era ammessa dalle stesse fonti regolamentari dell’Unione.

Né vale ad inficiare tale ricostruzione la circostanza che, nella fase d’attuazione concreta della normativa interna di recepimento, si siano verificati abusi e scorrettezze commesse dai produttori appartenenti alle categorie privilegiate o imprecisioni e carenze di controlli, da parte dell’Amministrazione, che hanno inciso negativamente (sebbene non sia stato mai definitivamente chiarito in quale misura) sulla sfera giuridica soggettiva dell’originaria ricorrente.

Tali rilievi, infatti, concernono soltanto il profilo dell’attuazione della disciplina nazionale e, quindi, una fase che non attiene alla compatibilità delle disposizioni di legge interne con quelle comunitarie, quanto la capacità dello Stato membro di rendere o meno effettive e cogenti le proprie leggi.

Dette valutazioni, però, non possono fondatamente indurre ad affermare la incompatibilità della disciplina nazionale con quella comunitaria.

Nella specie, dunque, non sussistono i presupposti per sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

Per la pacifica giurisprudenza comunitaria e nazionale, i giudici di ultima istanza non sono tenuti a sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie se questa non è pertinente (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull’esito della lite), se la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o se comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso, o se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (cfr, Corte Giust, CE, 61082, C 283/81, Cilfit).

Nel caso di specie, non ritiene il Collegio sussistano dubbi in ordine alla soluzione da adottare, dal che discende la non necessità del rinvio pregiudiziale (peraltro neppure sollecitato dall’appellata, che non si è costituita nell’odierno giudizio d’appello).

5. Per le ragioni che precedono, ritiene conclusivamente il Collegio che l’appello debba essere accolto, il che comporta – in parziale riforma della sentenza gravata – l’integrale reiezione del ricorso di primo grado.

6. Le spese processuali dei due gradi del giudizio seguono la soccombenza e pertanto l’appellata va condannata al pagamento delle medesime in favore dell’ appellante amministrazione, in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia ed alla complessità delle questioni affrontate, in euro duemila (Euro 2000/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9041 del 2010, lo accoglie nei termini di cui alla motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma dell’appellata sentenza, respinge integralmente il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellata azienda agricola al pagamento delle spese processuali dei due gradi in favore dell’appellante amministrazione, nella misura di euro duemila (Euro 2000/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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