Corte Costituzionale sentenza n. 251 SENTENZA 23 – 28 ottobre 2013

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SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 17,
18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n.
50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione
del Veneto), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con
ricorso notificato il 1° marzo 2013, depositato il successivo 5 marzo
e iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2013 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi per la
Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 1° marzo 2013, depositato il successivo 5 marzo e
iscritto al n. 36 del registro ricorsi dell’anno 2013, ha impugnato
gli articoli 17, 18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto 28
dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema
commerciale nella Regione del Veneto), relativi al commercio al
dettaglio su area privata, per contrasto con l’art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione.
1.1.- Gli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del
2012 presenterebbero tutti, secondo il ricorrente, un identico
profilo d’illegittimita’ costituzionale in quanto prevedrebbero che
le varianti conseguenti a procedura svolta presso lo sportello unico
per le attivita’ produttive (d’ora innanzi SUAP) e afferenti a
strutture di vendita non debbano essere sottoposte a valutazione
ambientale strategica (VAS), cio’ che contrasterebbe con la
disciplina statale relativa a quest’ultima e conseguentemente con la
competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost.
In particolare, l’art. 17 dispone che l’apertura, l’ampliamento o
la riduzione di superficie, il mutamento del settore merceologico, il
trasferimento di sede e il subingresso degli esercizi di vicinato non
ubicati all’interno di grandi e medie strutture di vendita siano
soggetti a segnalazione certificata d’inizio attivita’ (SCIA), da
presentarsi allo sportello unico per le attivita’ produttive (SUAP).
L’art. 18, al primo comma, si riferisce alle medie strutture di
vendita, con superficie non superiore a 1.500 metri quadrati,
disponendo ugualmente che le aperture, gli ampliamenti, i
trasferimenti di sede, i mutamenti di settore merceologico e i
subingressi siano soggetti a SCIA da presentarsi al SUAP. I commi 2 e
3 dell’art. 18 riguardano invece medie strutture con superficie di
vendita oltre i 1.500 metri quadrati. Il comma 2, in particolare,
prevede che le aperture, gli ampliamenti, i trasferimenti di sede e
le trasformazioni di tipologia siano soggetti ad autorizzazione
rilasciata dal SUAP. Al comma 3 si prevede, invece, che le riduzioni
di superficie, i mutamenti del settore merceologico e i subingressi
relativi a tali strutture siano soggetti a SCIA, da presentarsi al
SUAP.
L’art. 19, disciplinando le grandi strutture di vendita, prevede,
al primo comma, che l’apertura, l’ampliamento, il trasferimento di
sede, la trasformazione di tipologia siano soggette ad autorizzazione
rilasciata dal SUAP al soggetto titolare dell’attivita’ commerciale
o, in caso di grande centro commerciale, al soggetto promotore,
mentre il secondo comma dispone che le relative riduzioni di
superficie, i mutamenti del settore merceologico, la modifica della
ripartizione interna, nonche’ il subingresso siano soggetti a SCIA,
da presentarsi al SUAP.
1.2.- Il ricorrente lamenta che, in base ai tre articoli sopra
menzionati, il SUAP possa concedere le autorizzazioni previste dalla
disciplina regionale, omettendo la procedura di valutazione
ambientale strategica (VAS).
Piu’ specificamente, secondo il Presidente del Consiglio tali
articoli disporrebbero che la VAS non venga svolta nei casi di
varianti urbanistiche conseguenti a procedure SUAP. Secondo la
doglianza, ai sensi della normativa statale, una variante urbanistica
conseguente alla procedura di SUAP relativa a strutture di vendita
dovrebbe essere sottoposta alle procedure di approvazione previste
per tutte le altre varianti urbanistiche, e dunque, eventualmente, a
valutazioni di compatibilita’ ambientale; non potrebbe godere,
invece, delle semplificazioni previste per altre tipologie di
progetti presentati al SUAP.
2.- Il ricorrente censura inoltre l’art. 22 della legge reg. n.
50 del 2012. Tale articolo dispone che le grandi strutture di
vendita, aventi superficie di vendita superiore agli 8.000 metri
quadrati, siano assoggettate alla valutazione d’impatto ambientale
(VIA), mentre le strutture aventi superficie di vendita compresa tra
i 2.501 e gli 8.000 metri quadrati sono assoggettate alla procedura
di verifica o screening.
2.1.- La norma regionale censurata sarebbe manifestamente
difforme da quanto stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), Allegato IV alla Parte II,
punto 7, lettera b), il quale richiede che sia sottoposta alla
verifica di assoggettabilita’ ambientale la costruzione di tutti i
centri commerciali. La norma censurata, al contrario, limiterebbe
l’applicazione della normativa sulla VIA alle sole grandi strutture
aventi le caratteristiche sopra descritte. In tal modo, la disciplina
regionale escluderebbe indistintamente dall’applicazione della
verifica di assoggettabilita’ a VIA o screening i centri commerciali
dalla superficie di vendita superiore a 150 e fino a 1.500 metri
quadrati, nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000
abitanti, e superiori a 250 e fino a 2.500 metri quadrati nei Comuni
con popolazione oltre i 10.000 abitanti.
Pertanto, la disposizione regionale restringerebbe
illegittimamente il campo di applicazione della disciplina della VIA,
come definito dal legislatore statale nell’esercizio della sua
competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.
3.- Viene infine censurato l’art. 26 della legge reg. n. 50 del
2012, il quale, dopo aver individuato, al comma 1, le strutture di
vendita a rilevanza regionale, al comma 2 dispone che gli interventi
su tali strutture siano soggetti a un accordo di programma ai sensi
dell’art. 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), anche in
variante urbanistica e ai piani territoriali e d’area.
Tale norma consentirebbe all’accordo di programma di apportare
varianti anche ai piani paesaggistici, in violazione degli artt. 135
e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137). Infatti, gli artt. 135 e 143 del predetto
codice prevedono che le modifiche e le deroghe alla pianificazione
paesaggistica vigente possano essere introdotte esclusivamente
attraverso una nuova pianificazione paesistica conforme ai contenuti
regolatori stabiliti dal codice, previa intesa con lo Stato. La norma
censurata, consentendo una variante al di fuori di tale procedura,
sarebbe in conflitto con l’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., che assegna alla competenza esclusiva statale la materia della
tutela del paesaggio.
4.- La Regione Veneto si e’ costituita con atto depositato il 15
aprile 2013, deducendo l’inammissibilita’ e l’infondatezza delle
questioni prospettate.
5.- In particolare, relativamente alle censure degli artt. 17, 18
e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012, la parte resistente
argomenta sostenendo che si tratti di un fraintendimento della nuova
disciplina regionale in materia di commercio, prima ancora che delle
specifiche disposizioni censurate.
Infatti, gli artt. da 17 a 19 non avrebbero alcun contenuto
urbanistico ne’ potrebbero attivare delle procedure di SUAP a
contenuto urbanistico. Le disposizioni censurate attribuirebbero
invece la titolarita’ al rilascio delle autorizzazioni commerciali ai
Comuni territorialmente competenti, con espressa indicazione agli
interessati di rivolgersi ai loro SUAP, in coerenza con la necessita’
di rendere puntualmente identificabile la struttura comunale preposta
a svolgere tale funzione e al fine di razionalizzare l’impiego delle
strutture comunali.
La circostanza che la domanda di rilascio dell’autorizzazione
commerciale debba essere presentata al SUAP non avrebbe alcuna
relazione con la tipologia di procedimento amministrativo che cosi’
prende avvio. L’unico procedimento coinvolto sarebbe quello relativo
al rilascio di autorizzazione commerciale, disciplinato dai medesimi
articoli censurati.
Il SUAP, ex art. 1, lettera m), del d.P.R. 7 settembre 2010, n.
160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo sportello unico per le attivita’ produttive, ai
sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133), sarebbe l’unico punto di accesso per il richiedente, in
relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua
attivita’ produttiva. A tale sportello il privato indirizzerebbe la
domanda di rilascio di autorizzazione commerciale, senza che da cio’
scaturisca alcun procedimento volto al rilascio di permessi di
costruire in deroga o variante alla pianificazione urbanistica. Il
fatto di rivolgersi a quel punto di accesso non implicherebbe l’avvio
di un procedimento a contenuto edilizio, e, se del caso, di variante
urbanistica. Domande aventi altro contenuto, come quello edilizio,
rimarrebbero soggette a specifica disciplina.
A ulteriore conferma di quanto sostenuto, il resistente evidenzia
che il rilascio dell’autorizzazione commerciale avrebbe a presupposto
insuperabile il requisito della conformita’ urbanistica, di cui
all’art. 21 della legge reg. censurata, il quale richiederebbe che
sia le grandi che le medie strutture di vendita siano conformi allo
strumento urbanistico generale.
6.- Relativamente alla censura dell’art. 22 della legge reg.
impugnata, il resistente argomenta tanto per l’inammissibilita’
quanto per l’infondatezza.
6.1.- L’inammissibilita’ deriverebbe dalla mancanza di
motivazioni da cui sarebbe affetto il ricorso sul punto. Il
Presidente del Consiglio avrebbe, infatti, dovuto motivare sulle
ragioni per le quali con la normativa impugnata sarebbero stati
oltrepassati i limiti di flessibilita’ consentiti dalla normativa
statale in materia di VIA. La disciplina statale, infatti,
ammetterebbe margini di discrezionalita’ per le Regioni, da
individuare nell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006. Sebbene tale
articolo, al comma 7, sottoponga a screening e poi eventualmente a
VIA, fra l’altro, i progetti elencati nell’Allegato IV alla Parte II,
punto 7, lettera b), tuttavia, al successivo comma 9, consente alle
Regioni di determinare, per specifiche categorie progettuali o in
particolari situazioni ambientali e territoriali, criteri o
condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilita’. Il
ricorrente avrebbe pertanto omesso di spiegare per quale ragione
quest’ipotesi non si applichi al caso in oggetto.
6.2.- Il legislatore regionale, del resto, avrebbe esercitato
correttamente la discrezionalita’ consentitagli all’art. 6, comma 9,
del d.lgs. n. 152 del 2006. Il resistente sostiene che l’Allegato IV
alla Parte II, punto 7, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006,
accosti progetti di sviluppo e di riassetto di aree urbane di diversa
dimensione con la costruzione di centri commerciali di cui al decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa
al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della
legge 15 marzo 1997, n. 59). Questo condurrebbe a ritenere che
qualsiasi struttura qualificabile come centro commerciale sia da
sottoporre necessariamente a screening, a prescindere dalla
dimensione dell’insediamento, con il paradossale esito di obbligare
alla procedura di screening anche accostamenti di esercizi
commerciali di dimensioni molto contenute, laddove grandi strutture
di vendita, di estensioni molto significative, non qualificabili come
centri commerciali ai sensi della disciplina statale, non sarebbero
soggette allo screening.
6.3.- La disposizione regionale sarebbe propriamente finalizzata
a estendere la portata delle verifiche a tutela dell’ambiente,
includendovi le grandi strutture di vendita non qualificabili come
centri commerciali. La normativa censurata riguarderebbe infatti le
iniziative estranee alla disciplina statale in materia di VIA, che si
rivolgerebbe soltanto ai centri commerciali. In tal modo, si
rimedierebbe a una carenza della legislazione statale, che avrebbe
distinto nettamente, all’art. 4 del d.lgs. n. 114 del 1998, le due
tipologie commerciali, sottoponendo a controllo ambientale una grande
struttura soltanto se e quando essa sia inserita in una piu’ ampia
struttura qualificabile come centro commerciale, senza prevedere
alcunche’ per singole grandi strutture, di dimensioni anche superiori
a quelle di un normale centro commerciale. La Regione Veneto, a
fronte di una disciplina statale illogica, avrebbe superato tale
ingiustificata differenziazione di regime, estendendo il controllo
anche alle grandi strutture di vendita non inserite in un vero e
proprio centro commerciale. Infatti, mentre la legislazione statale
prevede una procedura di screening per i soli centri commerciali, la
normativa regionale la prevedrebbe piu’ generalmente per le strutture
di vendita aventi superficie tra i 2.501 e gli 8.000 metri quadrati,
sottoponendo direttamente a VIA le strutture oltre quest’ultima
soglia.
7.- Relativamente alla censura dell’art. 26 della legge reg.
Veneto n. 50 del 2012, la parte resistente evidenzia che tale
articolo non ammetterebbe deroghe ai piani paesaggistici, ma a quelli
territoriali, a differenza di quanto sostenuto dal Presidente del
Consiglio.
7.1.- Nonostante l’avvocatura regionale metta in luce che il
d.lgs. n. 42 del 2004, agli artt. 135 e 143, disciplina i piani
paesaggistici, includendo con tale espressione anche quelli
incorporati nei piani territoriali, qualificandoli quali «piani
urbanistico-territoriali con specifica valenza paesaggistica»,
secondo la resistente andrebbe rimarcata la distinzione sia formale
che sostanziale dei piani a duplice valenza urbanistico-territoriale
e al contempo paesaggistica, da quelli meramente territoriali. Lo
confermerebbero sia la diversita’ di contenuto, sia il differente
procedimento di formazione, come evidenziato anche dalla
giurisprudenza amministrativa: l’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004
prescriverebbe uno specifico procedimento, coinvolgente il Ministero
per i beni e le attivita’ culturali e la Regione, per l’elaborazione
dei soli piani paesaggistici.
Permarrebbe, dunque, una chiara distinzione tra piani
paesaggistici e piani territoriali. Nel Veneto, al momento del
ricorso, non esisterebbe alcun piano paesaggistico. Pertanto, non
potrebbe, nemmeno astrattamente, verificarsi un conflitto tra la
disciplina legislativa regionale censurata e quella statale, e dunque
il legislatore regionale non avrebbe introdotto, illegittimamente,
alcuna deroga. Ne’ una tale ipotesi potrebbe verificarsi in futuro,
in quanto i piani territoriali di cui all’art. 26 censurato
rimarrebbero comunque distinguibili dai piani paesaggistici e da
quelli urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei
valori paesaggistici.
Conclusivamente, non si darebbe alcun conflitto tra la
legislazione regionale e quella statale evocata a parametro.
8.- Con memoria depositata nella cancelleria il 17 settembre
2013, la difesa regionale ha ulteriormente dedotto, in particolare
con riferimento alla censura dell’art. 22 della legge reg. Veneto n.
50 del 2012.
8.1.- Piu’ precisamente, la Regione Veneto sostiene che
l’impugnazione, sul punto, riguardi un aspetto che non e’ oggetto di
disciplina, ovvero le medie strutture di vendita, aventi una
superficie di vendita compresa tra i 151 e i 1.500 o i 251 e i 2.500
metri quadri. L’omessa presa in considerazione – accanto alle grandi
strutture – delle medie strutture di vendita equivarrebbe, nella
lettura del ricorrente, a sottrarle al controllo gia’ disposto dalla
legislazione statale.
8.2.- La resistente sostiene che la Regione Veneto abbia inteso
disciplinare le grandi strutture di vendita, colmando una lacuna
nella legislazione statale, la quale, disponendo soltanto con
riferimento ai centri commerciali, assoggetterebbe a controllo
soltanto una parte delle grandi strutture, ignorando quelle autonome,
ospitate in distinti edifici ubicati nel territorio regionale.
E’ nei confronti di tali insediamenti che sarebbe intervenuta la
disciplina regionale con l’art. 22, il quale, anziche’ interferire
con la disciplina statale e ridurne la portata applicativa escludendo
dai controlli le medie strutture, avrebbe al contrario esteso le
verifiche di compatibilita’ ambientale delle grandi strutture
integrandole nel quadro della generale regolamentazione del
commercio. Tale intervento sarebbe del resto in linea con la
giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe gia’ confermato come
la tutela dell’ambiente rappresenti un valore il cui livello di
tutela minimo e’ stabilito dalla legislazione statale, ma che la
legislazione regionale puo’ elevare.
8.3.- La Giunta regionale del Veneto avrebbe, del resto, con la
deliberazione 3 maggio 2013, n. 575 (Adeguamento alla sopravvenuta
normativa nazionale e regionale delle disposizioni applicative
concernenti le procedure di valutazione di impatto ambientale di cui
alla Dgr n. 1539 del 27 settembre 2011 e sua contestuale revoca),
confermato tale portata applicativa dell’art. 22 censurato. Infatti,
con tale atto si sarebbe dato corso al riordino e all’aggiornamento
delle misure regionali applicative della legislazione ambientale,
precisando, all’Allegato A, che le medie strutture di vendita in
forma di centro commerciale sono sottoposte alla procedura di
verifica di assoggettabilita’ ai sensi dell’Allegato IV alla Parte
II, punto 7, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, e che le
disposizioni di cui all’art. 22 si applicano alle grandi strutture di
vendita a prescindere dall’articolazione in forma di esercizio
singolo, centro o parco commerciale.

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 1° marzo 2013, depositato il successivo 5 marzo e
iscritto al n. 36 del registro ricorsi dell’anno 2013, ha impugnato
gli articoli 17, 18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto 28
dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema
commerciale nella Regione del Veneto), relativi al commercio al
dettaglio su area privata, per contrasto con l’art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione.
2.- Gli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. n. 50 del 2012
dispongono che l’apertura, i mutamenti di superficie, di settore, la
trasformazione, il trasferimento di sede e il subingresso
rispettivamente degli esercizi di vicinato (art. 17) e delle
strutture di vendita di dimensioni medie (art. 18) e grandi (art.
19), siano soggetti a segnalazione certificata d’inizio attivita’
(d’ora innanzi SCIA) o ad autorizzazione, da presentare o richiedere
allo sportello unico per le attivita’ produttive (SUAP). Secondo il
ricorrente, tali previsioni violerebbero l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in quanto, prevedendo che l’interessato possa
rivolgere al SUAP le richieste di autorizzazione o le segnalazioni
d’inizio attivita’, eluderebbero la disciplina statale in materia di
valutazione ambientale strategica (VAS), necessaria, in particolare,
per le strutture commerciali di medie e grandi dimensioni.
2.1.- Le questioni relative agli artt. 17, 18 e 19 non sono
fondate.
In conformita’ alla normativa statale (artt. 1 e 2 del d.P.R. 7
settembre 2010, n. 160 – Regolamento per la semplificazione ed il
riordino della disciplina sullo sportello unico per le attivita’
produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133), che individua nel SUAP l’«unico soggetto
pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che
abbiano ad oggetto l’esercizio di attivita’ produttive», le
disposizioni regionali impugnate si limitano a distinguere i casi in
cui un’attivita’ commerciale puo’ essere avviata o modificata sulla
base di una SCIA, da quelli in cui e’ invece necessaria
un’autorizzazione. La distinzione tiene conto delle dimensioni
dell’esercizio di vendita e della tipologia della variazione da
effettuare (apertura, ampliamento, riduzione, subingresso, e cosi’
via). Comune alle due ipotesi e’ l’individuazione nel SUAP del punto
di contatto tra il richiedente e la pubblica amministrazione. A tale
soggetto il titolare dell’esercizio commerciale e’ tenuto a
indirizzare o la segnalazione d’inizio attivita’ o la domanda di
autorizzazione, a seconda dei casi indicati, appunto, negli artt. 17,
18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012.
Le disposizioni censurate, adottate nell’esercizio della
competenza residuale in materia di commercio (ex multis, sentenze n.
18 del 2012, n. 150 del 2011 e n. 288 del 2010), non si occupano in
alcun modo dei profili edilizi, urbanistici o ambientali dei
procedimenti relativi agli esercizi commerciali, i quali rimangono
soggetti a specifica disciplina.
In particolare, per quanto riguarda la VAS cui fanno riferimento
le censure, essa e’ regolata dal decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), il cui art. 11 attribuisce
all’autorita’ procedente il compito di avviare la stessa
contestualmente al processo di formazione dei piani e dei programmi
aventi un impatto significativo sull’ambiente e sul patrimonio
culturale. Spettera’, dunque, all’autorita’ amministrativa effettuare
la VAS, nei casi previsti dal legislatore statale (art. 6 del d.lgs.
n. 152 del 2006), tenendo peraltro conto che essa si configura come
fase interna ai procedimenti di formazione dei piani e dei programmi
(Consiglio di Stato, sezione IV, 12 gennaio 2011, n. 133) e, dunque,
non attiene alle modalita’ di presentazione al SUAP di richieste
relative al singolo esercizio commerciale.
In conclusione, le disposizioni regionali impugnate non danno
adito ad alcuna interpretazione che abiliti l’amministrazione
procedente ad omettere la VAS, o le altre valutazioni ambientali,
laddove richieste e, pertanto, non si da’ alcun conflitto tra gli
artt. 17, 18 e 19 censurati e l’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost.
3.- L’art. 22 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012 riguarda
l’assoggettabilita’ delle strutture di vendita a verifiche di
compatibilita’ ambientale. La disciplina regionale dispone che le
grandi strutture aventi superficie di vendita superiore a 8.000 metri
quadrati sono assoggettate alla valutazione di impatto ambientale
(VIA), mentre le grandi strutture aventi superficie di vendita
compresa tra 2.501 e 8.000 metri quadrati sono assoggettate alla
procedura di verifica o screening. Secondo il ricorrente, tale
disposizione viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
relativamente alla tutela ambientale, in quanto confligge con il
d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera
b), il quale sottopone a verifica di assoggettabilita’ a VIA o
screening la costruzione di tutti i centri commerciali, compresi
quelli di medie dimensioni, aventi cioe’ superficie di vendita
superiore a 150 e fino a 2.500 metri quadrati, nei Comuni con
popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, e superiore a 250
e fino a 2.500 metri quadrati nei Comuni con popolazione oltre i
10.000 abitanti. Il legislatore regionale avrebbe, dunque, ristretto
illegittimamente il campo di applicazione della disciplina della VIA,
limitandolo alle sole grandi strutture aventi superficie di vendita
oltre i 2.500 metri quadrati.
3.1.- Preliminarmente, va rigettata l’eccezione
d’inammissibilita’ della Regione Veneto, la quale sostiene che il
ricorrente avrebbe dovuto motivare sulle ragioni per le quali la
Regione avrebbe ecceduto dai propri limiti competenziali, dal momento
che il medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, all’art. 6, comma 7,
ammetterebbe margini di discrezionalita’ per le Regioni, consentendo
loro di determinare, per specifiche categorie o situazioni, criteri o
condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilita’.
L’eccezione di inammissibilita’ non puo’ essere accolta, in
quanto il Presidente del Consiglio, seppur succintamente, ha offerto
alla Corte un corredo motivazionale idoneo a identificare la ragione
della censura nella prospettata elusione parziale della disciplina
relativa alla valutazione di assoggettabilita’, con riferimento ai
centri commerciali di media grandezza, individuando «con sufficiente
chiarezza le ragioni della doglianza, precisando le norme statali
interposte con le quali le disposizioni regionali si porrebbero in
contrasto ed evocando specifici parametri costituzionali» (sentenza
n. 28 del 2013).
3.2.- Nel merito, la questione avente ad oggetto l’art. 22 e’
fondata, nei termini di seguito precisati.
Il legislatore regionale prevede esplicitamente la VIA o la
verifica di assoggettabilita’ a VIA per le «grandi strutture di
vendita», aventi superficie superiore ai 2.500 metri quadrati,
laddove il legislatore statale richiede che le medesime procedure di
VIA o di verifica di assoggettabilita’ riguardino tutti i «centri
commerciali» (d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II,
punto 7, lettera b). Orbene, ai sensi della normativa statale, i
centri commerciali sono definiti come strutture di vendita di medie e
grandi dimensioni, nelle quali piu’ esercizi commerciali sono
inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di
infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente (art.
4, comma 1, lettera g, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114
– Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma
dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Pertanto, la disposizione regionale impugnata si riferisce a una
categoria di esercizi commerciali, quella delle grandi strutture di
vendita, diversa da quella utilizzata dal legislatore statale. Per
alcuni aspetti essa e’ piu’ ampia, perche’ al suo interno annovera
anche le grandi strutture che non possono essere definite centri
commerciali, in quanto non ricomprendono una pluralita’ di esercizi;
per altri aspetti, pero’, essa e’ piu’ restrittiva, perche’ non
include i centri commerciali di medie dimensioni.
Posto che la disciplina della VIA rientra senza alcun dubbio
nella tutela dell’ambiente di competenza esclusiva dello Stato
(sentenze n. 221 del 2010 e n. 234 del 2009), ne consegue che la
disposizione regionale impugnata, discostandosi da quanto previsto
dal d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II, punto 7,
lettera b), e’ costituzionalmente illegittima per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui
non include tra le strutture soggette a verifica di assoggettabilita’
(a VIA) i centri commerciali di medie dimensioni.
4.- L’art. 26 della medesima legge reg. n. 50 del 2012 dispone
che gli interventi sulle strutture di vendita a rilevanza regionale
siano soggetti a un accordo di programma ai sensi dell’art. 34 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), anche in variante urbanistica e
ai piani territoriali e d’area. In questo modo, la norma regionale,
ad avviso del ricorrente, consentirebbe di effettuare varianti anche
ai piani paesaggistici, in violazione degli artt. 135 e 143 del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137), i quali, al contrario, dispongono che le modifiche e le
deroghe alla pianificazione paesaggistica vigente possano essere
introdotte esclusivamente attraverso una nuova pianificazione
paesistica, conforme ai contenuti regolatori stabiliti dal codice dei
beni culturali e del paesaggio e previa intesa con lo Stato. Secondo
il ricorrente, la norma censurata, consentendo di derogare a tale
procedura, confliggerebbe, per la precisione, con l’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., relativamente alla competenza legislativa
statale in materia di paesaggio.
4.1.- La questione non e’ fondata, nei termini di seguito
precisati.
Occorre anzitutto osservare che la disposizione non menziona
affatto i piani paesaggistici, ma solo i piani territoriali e d’area.
Il tenore letterale della previsione normativa sottoposta a giudizio,
dunque, non si presta all’interpretazione prospettata dal ricorrente,
secondo la quale essa permetterebbe di apportare varianti ai piani
paesaggistici al di fuori delle procedure previste dalla legislazione
statale. L’art. 26 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012 si limita a
stabilire che gli accordi di programma che riguardano gli interventi
sulle strutture di vendita di interesse regionale possano determinare
varianti ai piani territoriali o d’area.
D’altra parte, l’impugnato art. 26 richiede il rispetto del
regolamento regionale, il quale, proprio in attuazione della norma
qui in esame, esplicitamente esige che gli accordi di programma in
variante ai piani territoriali e d’area debbano comunque conformarsi
alle norme in materia paesaggistica (art. 9, comma 5, del regolamento
regionale 21 giugno 2013, n. 1 – Indirizzi per lo sviluppo del
sistema commerciale – articolo 4 della legge regionale 28 dicembre
2012, n. 50). Ne consegue che il riferimento ai piani territoriali
contenuto nella disposizione impugnata deve essere interpretato in
senso stretto, ad esclusione dei profili paesaggistici eventualmente
in essi contenuti.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 22
della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche
per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto)
nella parte in cui non prevede la verifica di assoggettabilita’ per i
centri commerciali di medie dimensioni;
2) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale degli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50
del 2012, promossa, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera
s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con
il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 26 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012,
promossa, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2013.

F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2013.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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