Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-06-2011) 28-06-2011, n. 25764

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 17.2.2011, il G.U.P. del Tribunale di Napoli, su richiesta delle parti, applicò, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., a I.G. la pena di anni 2 mesi 8 di reclusione ed Euro 600,00 di multa per rapina aggravata.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la richiesta di applicazione di pena patteggiata costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che, pervenuto a conoscenza dell’altra parte, non può essere modificato unilateralmente nè revocato, e, una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti – e, quindi, anche al pubblico ministero – prospettare questioni e sollevare censure con riferimento alla sussistenza e alla giuridica qualificazione del fatto, alla sua soggettiva attribuzione, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e modalità di applicazione della pena.

In tale ambito, l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto fra le parti. (Cass. Sez. 6^, sent. n. 3429 del 3.11.1998, dep. 11.12.1998 rv 212679.

Fattispecie in cui è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione del pubblico ministero per manifesta infondatezza, essendosi lamentata l’insufficienza della motivazione, ritenuta, invece, sussistente, con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, alla concessione delle attenuanti generiche e alla determinazione dell’entità della pena).

Inoltre: in tema di patteggiamento le parti, sia quella privata che pubblica, una volta intervenuti l’accordo e la ratifica motivata, non possono più recedere dall’irretrattabile patteggiamento e non possono proporre questioni che trovano una preliminare soluzione e la necessaria sintesi nella transazione.

Non possono censurare i provvedimenti da essi sollecitati, se rispettosi del principio di legalità e, quindi, revocare il consenso prestato, con la surrettizia prospettazione del vizio di motivazione dovendo sindacare, specificamente, la statuizione e eventualmente denunziare l’errore di qualificazione giuridica, sulla base degli atti richiamati dalla sentenza.

Il principio è valido anche per la Procura generale che, pur avendo una supremazia gerarchica ed istituzionale, non può sostituire la propria volontà a quella già manifestata, in forza della conoscenza diretta degli elementi concreti acquisti al processo, dal pubblico ministero che ha partecipato al patteggiamento, e non può proporre come motivi di ricorso censure che si sostanziano in un recesso dall’accordo. (Cass. pen., sez. 5^, sent. n. 627 del 5.2.1999 dep. 4.6.1999 rv 213520).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di millecinquecento Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di millecinquecento Euro alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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