Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-06-2011) 28-06-2011, n. 25742 Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9 dicembre 2010, la Corte d’Appello di Roma, 3^ sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede appellata da D.U., con la quale questi era stato dichiarato colpevole di appropriazione indebita della documentazione contabile, della licenza commerciale e del certificato ASL della pizzeria "(OMISSIS)", fatto commesso in data antecedente ma prossima al (OMISSIS), e condannato alla pena di un mese di reclusione e Euro cento di multa nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile N.S.S., liquidato in Euro mille. La Corte territoriale, rigettata l’eccezione di nullità già proposta in primo grado e reiterata con l’appello perchè era irrilevante che nel capo d’imputazione non fosse specificato in cosa fosse consistito il fine di ingiusto profitto perseguito, osservava che esso doveva essere individuato nella evidente "finalità ritorsiva" oltre che nell’ intendimento di volersi sottrarre alle conseguenze della verifica che sarebbe stata intrapresa dal nuovo amministratore in ordine all’irregolarità della sua gestione (che aveva determinato la sua revoca dalla carica di amministratore della s.a.s. "Il Gatto"). Riteneva infondata la tesi difensiva, secondo la quale la documentazione si sarebbe trovata in una stanza dei locali al momento della consegna delle chiavi, sulla base delle stesse dichiarazioni dell’imputato (secondo le quali essa era custodita in un locale attiguo ed indipendente, perchè munito di un diverso ingresso). L’imputato aveva anche ammesso di aver dichiarato la sua disponibilità alla restituzione dopo che l’amministratrice subentrante era entrata nel possesso delle chiavi della pizzeria.

L’assunto secondo il quale venne meno la sua disponibilità di tale documentazione per fatto a lui non imputabile è sfornito infine di qualsiasi prova.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – violazione di legge in relazione alla genericità del capo d’imputazione con riferimento alla mancata indicazione dell’ingiusta utilità alla quale sarebbe stata finalizzata l’azione del ricorrente (che peraltro la Corte di appello individua, alternativamente rispetto al primo Giudice, nella "finalità ritorsiva"), con conseguente lesione del diritto di difesa; – contraddittorietà della motivazione perchè (premesso in fatto che D. venne revocato dalla carica di amministratore ed estromesso dalla società per effetto di lodo arbitrale e che in conseguenza chiuse il locale mantenendone la disponibilità in attesa che se ne facesse formale consegna in presenza dei rispettivi difensori, formale consegna mai avvenuta perchè R. si fece consegnare le chiavi da un dipendente) appare evidente che per effetto dell’unilaterale ingresso di R. nella disponibilità della pizzeria non possa addebitarsi al ricorrente la mancanza di beni e dei libri contabili, disponibilità che doveva riguardare anche il magazzini attiguo, adibito ad ufficio, perchè le chiavi avute dal R. includevano anche quella di tale locale.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Ciò che determina la nullità è la mancata enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa. La finalità del profitto attiene all’elemento soggettivo (dolo specifico), come tale estranea al fatto (o elemento oggettivo del reato, costituito dalla condotta e dall’evento). Nè è ravvisabile violazione del diritto di difesa, per avere la Corte territoriale (in aggiunta alla finalità di profitto ritenuta dal Tribunale) individuato come penalmente rilevante (in conseguenza di interpretazione in diritto che il ricorrente non critica) anche la finalità ritorsiva, erroneamente esclusa (ancorchè considerata) dal primo Giudice sul non condivisibile presupposto che non potesse costituire utilità. 2. Il secondo motivo di ricorso è dedotto in maniera inammissibile, perchè sollecita un’alternativa valutazione di merito, attraverso la sottoposizione di questione in fatto (peraltro genericamente dedotta), quale la disponibilità della chiave del magazzino adibito anche ad ufficio da parte del R..

L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella).

La novellata formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) consente di denunciare in sede di legittimità il travisamento della prova, ma occorre che si dimostri che la motivazione della sentenza di appello si discosti da quella di primo grado (in omaggio alla regola della devoluzione e delle conseguenti preclusioni) e che l’atto del processo che contraddice la motivazione sia specificamente indicato. Come noto, la formula novellata dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ha introdotto come nuova ipotesi di vizio della motivazione (oltre alla mancanza e alla manifesta illogicità) la contraddittorietà della stessa, risultante non soltanto dal testo del provvedimento impugnato, ma anche "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".

Il dato normativo lascia inalterata la natura del controllo del giudizio di cassazione, che può essere solo di legittimità. Non si fa carico alla Suprema Corte di formulare un’ulteriore valutazione di merito. Si estende soltanto la congerie dei vizi denunciabili e rilevabili. Il nuovo vizio è quello che attiene sempre alla motivazione ma che individua come tertium comparationis, al fine di rilevarne la mancanza l’illogicità o la contraddittorietà, non solo il testo del provvedimento stesso ma "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". L’espressione adottata ("altri atti del processo") deve essere interpretata non nel senso, limitato, di atti a contenuto valutativo (come gli atti di impugnazione e le memorie difensive) ma anche in quello di atti a contenuto probatorio (come i verbali) al fine di rimediare al vizio della motivazione dipendente dalla divaricazione tra le risultanze processuali e la sentenza. La novella normativa introduce così due nuovi vizi definibili come: 1) travisamento della prova, che si realizza allorchè nella motivazione della sentenza si introduce un’informazione rilevante che non esiste nel processo; 2) omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione. Attraverso l’indicazione specifica della prova che si assume travisata o omessa si consente alla corte di cassazione di verificare la correttezza della motivazione (sotto il profilo della sua non contraddittorietà e completezza) rispetto al processo. Questo ovviamente nel caso di decisione di appello difforme da quella di primo grado. Ed invero in caso di c.d. doppia conforme il limite del devolutimi non può essere valicato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, 22.3-20.4.2006 n. 13994; Cass. Sez. 2. 12-22.12.2006 n. 42353; Cass. Sez. 2, 21.1-7.2.2007 n. 5223).

Il ricorrente avrebbe quindi dovuto dimostrare di aver rappresentato con l’appello il risultato probatorio del dibattimento per poter poi denunciare il vizio di mancanza di motivazione, in relazione all’omessa considerazione delle deduzioni difensive. A tanto non ha adempiuto incorrendo nel vizio di genericità (violazione della regola della c.d. autosufficienza del ricorso: vedi per tutte Cass. Sez. 5, 22.1-26.3.2010 n. 11910).

3. Il ricorso deve in conseguenza essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di somma, in favore della Cassa delle ammende, che, in ragione dei profili di colpa rinvenibili nelle rilevate cause di inammissibilità, si quantifica in Euro mille.

Segue la condanna alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese sostenute nel presente grado di giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile N.S. S. liquidate in complessivi Euro 1040,00 oltre spese generali I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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