Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-06-2011) 28-06-2011, n. 25738 Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Como, con sentenza in data 24/4/2006, dichiarava R.C. e P.E. responsabili dei reati di usura continuata aggravata e del reato di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132, comma 1, ad esclusione della posizione relativa alla "Vecchia fattoria" e li condannava, ciascuno, alla pena di anni quattro di reclusione e Euro 5000 di multa oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 30.000 a favore di (OMISSIS), di Euro 70.000 a favore di S.M. e di Euro 5000 in favore della Associazione Antiracket – Antiusura.

La Corte di appello di Milano, con sentenza in data 12/10/2010, in parziale riforma della sentenza, appellata degli imputati, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo d) perchè estinto per intervenuta prescrizione, eliminando la relativa pena, determinando la pena residua in anni tre, mesi sei di reclusione e quattro Euro 1500 di multa ciascuno. Proponevano ricorso per cassazione entrambi gli imputati deducendo i seguenti motivi:

a) vizio di motivazione per avere la Corte territoriale fatto acriticamente riferimento alle valutazioni del Tribunale, senza alcuna considerazione dei motivi d’appello;

b) violazione di legge in relazione al mancato espletamento del confronto tra i periti, richiesto dalla difesa degli imputati;

c) violazione di legge in relazione all’erronea valutazione delle risultanze processuali con riferimento al reato di usura, non accertato nei suoi elementi costitutivi;

d) violazione di legge in relazione alla valutazione dell’elemento soggettivo in capo agli imputati, alla luce delle contraddittorie risultanze delle relazioni peritali esperite nelle diverse fasi del giudizio e delle condizioni soggettive degli stessi;

e) violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell’intervenuta prescrizione del reato di usura, dovendosi tener conto della pena prevista (da uno a sei anni di reclusione) dalla vecchia formulazione dell’art. 644 c.p.. f) violazione di legge e carenza di motivazione per l’eccessività della pena irrogata;

g) violazione di legge carenza di motivazione per il mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena.

Motivi della decisione

1) In ordine logico va esaminato il motivo relativo alla prescrizione del reato che va disatteso.

Essendo stato il reato commesso in data (OMISSIS), trova applicazione la precedente normativa che prevedeva la pena da uno a sei anni, poi sostituita dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 2, con la pena da due a dieci anni. In primo luogo, si deve osservare che nella presente fattispecie, decisa con sentenza del Tribunale in data 24.4.2006, possono applicarsi- ex L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 393 del 23/11/2006 – le nuove regole sulla prescrizione. Tuttavia è consentita, anche se la sentenza di primo grado, come nella specie, sia successiva alla entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251, l’applicazione della disciplina del termine di prescrizione anteriore alla predetta legge, se più favorevole all’imputato, qualora il reato sia stato commesso in epoca antecedente.

La disciplina della prescrizione più favorevole in riferimento ai reati di usura commessi prima dell’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 (la quale ha contestualmente modificato i termini di prescrizione dei reati in generale ed ha aumentato la pena detentiva edittale massima per il reato di usura portandola da sei a dieci anni), è quella contenuta nell’indicata novella. (Sez. 2, Sentenza n. 26312 del 22/06/2010 Cc. (dep. 09/07/2010) Rv. 247743.

Sia con riferimento alla precedente che alla nuova normativa il reato non risulta, comunque, prescritto.

Con riferimento alla vecchia prescrizione il reato di usura, anche con la concessione della attenuanti generiche, punibile con la pena edittattale massima, all’epoca del commesso reato, di anni sei di reclusione, si prescrive in 15 anni (anni 10 + 5 di interruzione).

Con riferimento alla nuova disciplina, ai sensi del secondo comma dell’art. 157 c.p., siccome modificato dalla L. n. 251 del 2005, art. 6, ai fini della prescrizione del reato si deve tener conto delle aggravanti ad effetto speciale, considerando l’aumento massimo di pena previsto per tale aggravante (cfr Sez. 5, Sentenza n. 22619 del 24/03/2009 Ud. (dep. 29/05/2009) Rv. 244204 Sez. 2, Sentenza n. 19565 del 09/04/2008 Ud. (dep. 15/05/2008) Rv. 240409; Sez. 2, Sentenza n. 40978 del 21/10/2008 Ud. (dep. 03/11/2008) Rv. 242245).

Quindi, ai fini della prescrizione, si deve far riferimento alla pena di sei anni prevista per l’usura e con l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n. 3, in base alla nuova disciplina di cui alla L. n. 251 del 2005, il termine massimo di prescrizione del reato di usura è pari ad anni 11, mesi tre (anni sei + anni tre (aumento della metà) + anni 2, mesi 4 (aumento di 1/4 per effetto degli atti interattivi, mentre non assume rilievo la diminuzione di pena per le circostanze attenuanti).

Pertanto anche senza tener conto delle eventuali cause di sospensioni, il reato non è ancora prescritto alla data odierna 2).

Gli ulteriori motivi sono infondati.

Con riferimento al primo e terzo motivo la Corte ha ben evidenziato, dopo avere riportato le analitiche motivazioni del primo giudice, poste a base anche della decisione di appello, la notevole eccedenza tra gli interessi di legge e quelli pretesi dall’imputato, motivando, sia pure sinteticamente, sui motivi appello, sia con riferimento alla posizione (OMISSIS) che alla (OMISSIS). Con riferimento alla prima posizione ((OMISSIS)) la Corte di merito ha ben evidenziato che il diverso conteggio proposto nell’atto di appello è privo di qualsiasi attendibilità perchè basato su ipotesi di lavoro non verificate e anzi smentite con motivazione che sfugge ad alcun vizio logico. Anche con riferimento alla pozione (OMISSIS) la Corte ha ritenuto il metodo seguito dal perito "assolutamente ragionevole e condivisibile" "…. poichè basato sulla ricostruzione e sul calcolo dettagliato dei singoli movimenti e degli interessi passivi che tiene conto dei titoli emessi dalle parti offese per prorogare i pagamenti delle forniture e soprattutto per la restituzione delle ingenti dazioni".

Inoltre è consolidato orientamento di questa Corte che la motivazione per relationem (con riferimento alla condotta della A., emerse in occasione della sua deposizione testimoniale) sia legittima "quando: 1) – faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) – fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) – l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione". (Cass. Sez. Un. Sentenza n. 17 del 21.6.2000 dep. 21.09.2000 Rv. 216664). Elementi tutti che la Corte territoriale dimostra di avere osservato, come desumibile dalla motivazione complessiva del provvedimento. 3) Con riferimento al secondo motivo di ricorso relativo alla mancata assunzione di una prova decisiva (confronto tra i periti) – si osserva che il vizio in esame è configurabile quando non sia stato ammesso un mezzo di prova che, in astratto, poteva determinare una diversa valutazione da parte del giudice inficiando il giudizio formulato.

E’ vero, infatti, che la rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all’abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l’indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi in primo grado, onde la rinnovazione ex art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.

Ma tale condizione, che legittima (rectius, che impone) la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale si verifica quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonchè quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza.

Nella fattispecie sub iudice non può affermarsi, in ossequio ai principi della logica, che le conclusioni del perito d’ufficio imponevano l’invocato l’approfondimento tecnico mediante il confronto tra i periti per contestare l’esito del giudizio di primo grado.

La Corte territoriale ha ben evidenziato, al riguardo, con riferimento alla posizione (OMISSIS), che "anche ipotizzando eventuali e inevitabili inesattezze nella ricostruzione dei movimenti finanziari, diverse da quelle prospettate (dalla difesa) che risultano però smentite e che ben possono essersi verificati….la conclusione in ordine al tasso usurario non cambia, esse sono comunque marginali, tali da non ridurre il tasso di interesse, calcolato nel 259%", a fronte di un tasso soglia di usura, all’epoca, del 32,42%", svolgendo analoghe considerazioni con riferimento alla posizione relativa alla (OMISSIS), ritenendo, quindi, superfluo il confronto tra periti.

4) Con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di usura la Corte territoriale lo ha individuato coerentemente in base alle seguenti considerazioni: a) sistema utilizzato con le medesime modalità nei confronti di più soggetti; b) mancanza di riscontro nella società dell’imputato, delle annotazioni sistematiche nelle scritture contabili obbligatorie di tali movimenti non risultando alcuna appostazione contabile degli interessi maturati; c) svolgimento senza autorizzazione dell’attività finanziaria da parte della Arredoservizi, oltre a quella ordinaria di fornitura di arredi.

A fronte di tale analitica motivazione il ricorrente si limita a generiche contestazioni senza confutare specificamente le argomentazioni della Corte territoriale.

5) Per quanto riguarda, infine, la determinazione della pena, la Corte di appello di Milano ha ritenuto la pena inflitta "congrua" "tenuto conto delle circostanze in cui la vicenda è maturata e delle conseguenze economiche gravissime subite dalle persone offese che avevano fatto consistenti investimenti e che si sono trovate costrette ad accettare condizioni inique, fatte passare per aiuti" Quindi anche su questo punto la Corte ha giustificato adeguatamente la scelta della pena.

Sul punto il S. C. ha più volte affermato: "In tema di commisurazione della pena, quando questa venga compresa nel minimo o in prossimità del minimo, la motivazione non deve necessariamente svilupparsi in un esame dei singoli criteri elencati nell’art. 133 c.p., essendo sufficiente il riferimento alla necessità di adeguamento al caso concreto". Sez. 2, Sentenza n. 43596 del 07/10/2003 Cc. (dep. 13/11/2003) Rv. 227685.

Anche l’ultimo motivo relativo alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena è infondato avendo il giudice negato il beneficio per l’entità della pena inflitta (anni tre, mesi sei di reclusione), ostativa alla concessione del beneficio.

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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