Cons. Stato Sez. VI, Sent., 04-07-2011, n. 3961 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe appellata, il Tribunale amministrativo regionale dell’ Abruzzo – Sede dell’Aquila – ha respinto il ricorso di primo grado proposto dall’odierno appellante M. R., volto ad ottenere l’annullamento del decreto rettorale n. 654 del 31 marzo 2004, con il quale gli era stato attribuito il trattamento economico in qualità di professore associato di ruolo per il settore scientificodisciplinare MEDF/01 – metodi e didattiche delle attività motorie presso la Facoltà di Scienze motorie dell’Università degli studi dell’Aquila, e per il riconoscimento del proprio diritto ad ottenere un incremento stipendiale pari alla differenza fra lo stipendio o la retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione, in quanto il trattamento retributivo dal medesimo in passato percepito presso il C.O.N.I. Servizi S.p.A. nella qualifica di dirigente di seconda fascia era superiore rispetto a quello corrispondente alla qualifica di professore associato.

Egli ha all’uopo invocato l’applicazione dell’art. 202 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, dell’art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e dell’art. 8, commi 4 e 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, dovendosi ritenere il trattamento economico omnicomprensivo di quanto goduto in servizio o nell’incarico in precedenza svolto.

Il primo giudice ha respinto il ricorso, rilevando chel’art. 202 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (che impone il mantenimento del superiore trattamento retributivo già percepito, attraverso l’attribuzione di un assegno pari alla differenza con il nuovo stipendio), poteva trovare applicazione soltanto laddove l’amministrazione di provenienza avesse natura pubblica.

L’originario ricorrente aveva in passato prestato servizio presso la società per azioni C.O.N.I. Servizi, estranea al novero delle Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Da ciò doveva farsi discendere la carenza della qualificazione di dipendente pubblico in capo all’originario ricorrente, con conseguente inapplicabilità in suo favore delle disposizioni di cui all’art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, all’art. 8, commi 4 e 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370.

La sentenza è stata appellata dall’originario ricorrente, il quale ha riproposto i motivi di censura disattesi dal primo giudice.

Dopo avere rivisitato le disposizioni legislative applicabili alla fattispecie, egli ha richiamato la circostanza che il d.Lgs 8 gennaio 2004, n. 15, aveva ribadito la natura pubblica sia del CONI che della C.O.N.I. Servizi s.p.a.

Tale circostanza era già evincibile dalla disposizione di cui all’art. 8 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito nella legge 8 agosto 2002, n. 178.

Al di là del dato (prettamente nominalistico) della denominazione e della forma societaria assunta, C.O.N.I. Servizi s.p.a. a suo avviso continuava a svolgere funzioni pubblicistiche ed il processo di trasformazione era lungi dall’essersi completato.

A far data dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, il personale originariamente in servizio al CONI prestava servizio presso la C.O.N.I. Servizi s.p.a., ma il rapporto di lavoro di costoro continuava ad essere regolamentato dalla disciplina pubblicistica, in regime di prorogatio, sino all’emanazione dei contratti collettivi (ed il CCNL dei dirigenti era stato approvato soltanto il 12 gennaio 2005). Anche l’Inps, con la propria circolare n. 149 dell’11 novembre 2004, aveva ritenuto permanere i tratti pubblicistici in capo alla C.O.N.I. Servizi s.p.a.

Sotto altro profilo, egli rilevava l’affidamento risposto circa la natura pubblicistica del rapporto precedentemente intrattenuto con il CONI, presentando la domanda di partecipazione al concorso di professore associato in epoca ben antecedente alla trasformazione dell’ente e confidando nella circostanza che il proprio trattamento economico non sarebbe peggiorato.

L’appellata amministrazione ha depositato una memoria di replica, chiedendo la reiezione dell’appello, perché infondato, ed ha richiamato i principi espressi dalla consolidata giurisprudenza amministrativa sul tema.

Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso in appello è infondato e va respinto.

2. La pretesa dell’appellante si fonda sull’art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, per il quale "nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica"

In materia rilevano i principi affermati dall’Adunanza Plenaria, che – con la decisione n. 8 del 16 marzo 1992 – ha individuato la ratio della disposizione e il suo ambito di applicazione.

Circa la sua ratio, l’Adunanza Plenaria ha rilevato che "l’intento del legislatore è stato quello di conservare, al personale che passi da uno ad altro ruolo, della stessa o altra amministrazione, la posizione economica acquisito al momento di passaggio, in modo che mai il mutamento di carriera nell’ambito dell’organizzazione burocratica dello Stato possa comportare un regresso nel trattamento economico raggiunto".

L’Adunanza Plenaria ha poi circoscritto l’ambito di applicazione della disposizione predetta allo "Statoamministrazione in senso stretto, inteso come soggetto di diritto al cui interno si articolano varie branche operazionali".

Il collegio condivide e fa proprie tali conclusioni, che trovano conferma nella disciplina che ha introdotto dapprima il sistema degli accordi collettivi recepiti con regolamenti e poi quello dei comparti di contrattazione collettiva.

Infatti, già la legge quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983 – agli art. 6 e 7 – aveva distinto gli "accordi sindacali per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo" da quelli riguardanti i "dipendenti degli enti pubblici non economici", differenziando la relativa normativa applicabile per le due categorie di dipendenti, anche in ordine alla determinazione del trattamento economico.

Similmente, in applicazione dell’art. 45 del decreto legislativo n. 29 del 1993, il regolamento approvato col d.P.C.M. 30 dicembre 1993, n. 593, aveva determinato i "comparti di contrattazione collettiva", distinguendo quello "del personale dipendente dai Ministeri" da quello "del personale degli enti pubblici non economici".

Con tale normativa, successiva all’emanazione del testo unico n. 3 del 1957, che ha individuato le specifiche regole applicabili per il personale del medesimo comparto, il legislatore ha dunque ulteriormente individuato il novero delle amministrazioni dello Stato "in senso stretto", cui si applica l’invocato principio del divieto di reformatio in peius, sancito dall’art. 202 TU.

Ne consegue che non ha titolo alla sua applicazione l’appellante, per un duplice ordine di ragioni, che di seguito si vanno brevemente ad illustrare e che si fondano nella carenza dell’essenziale presupposto applicativo del citato art. 202, cioè il "passaggio tra Amministrazioni statali".

2.1. A supportare tale conclusione è innanzitutto la natura dell’originario datore di lavoro dell’appellante.

Il personale del Coni, infatti, in base all’art. 8 comma 11 d.l. n. 138 del 2002, è stato posto alle dipendenze di Coni Servizi Spa: quest’ultima è un soggetto di natura formalmente privatistica, tanto che la giurisprudenza lavoristica ha in passato affermato che non sussiste per la società cessionaria l’applicabilità della disciplina contrattuale prevista dal d.lg n. 165 del 2001 e quindi l’obbligo di trattare con le organizzazioni sindacali che raggiungano i prescritti dati di consistenza numerica. (cfr. Tribunale Roma, 15 febbraio 2005).

L’accertata natura privatistica di Coni Servizi Spa esclude, pertanto, l’applicazione del principio del divieto di reformatio in pejus da parte dell’Università e pertanto l’obbligo di quest’ultima di corrispondere al Prof. M. un trattamento superiore a quello corrispondente al posto conseguito per concorso.

2.2. A ciò può aggiungersi che, se anche si fosse ritenuto che la s.p.a. Coni Servizi potesse essere ricompresa nel novero dei soggetti giuridici che concorrono a comporre lo "Statoamministrazione in senso stretto", nei termini delineati dalla fondamentale decisione dell’Adunanza Plenaria prima citata, ugualmente la pretesa dell’odierno appellante non avrebbe potuto trovare accoglimento.

2.3. Infatti, neppure l’amministrazione "ricevente" (l’Università degli Studi dell’Aquila) può essere fatta rientrare tra quelle annoverabili nello "Statoamministrazione in senso stretto".

Invero l’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ora confluito nell’articolo 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nell’elencare le Amministrazioni pubbliche non statali, in esse espressamente ricomprende le Università degli Studi.

Si tratta in effetti di soggetti che, come chiarito sia dalla Corte cost. (27 novembre 1998, n. 383) che dal Consiglio di Stato (Sez. VI, 23 settembre 1998, n. 1269), in quanto portatori di interessi specifici, sono dotati di autonomia normativa e negoziale nelle materie riservate alla competenza dei relativi statuti (nel rispetto del principio di legalità), ed entro questi limiti in grado di prevalere anche su norme di rango primario.

Neppure l’Università degli Studi pertanto, rientrava tra le amministrazioni per le quali sarebbe stata invocabile la disposizione di cui all’art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (per analoghe considerazioni, cfr. il parere dell’Adunanza Generale del 16 marzo 2011 n. 4684/2010).

3.Sotto altro profilo, non rileva l’affidamento dedotto dall’appellante, poiché si tratta di determinare la somma spettante al dipendente, in base all’ordinamento di settore, e non di verificare una modalità di esercizio della funzione pubblica.

4.Conclusivamente, il complessivo percorso argomentativo del primo giudice resiste alle censure articolate nell’appello: appare, pertanto, esatta e meritevole di conferma la appellata decisione e l’appello va respinto proposto.

5. Le spese processuali del secondo grado seguono la soccombenza e pertanto l’appellante va condannato al loro pagamento in favore dell’appellato Ateneo, in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in euro mille (Euro 1000/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 4521 del 2006, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali nella misura di euro mille (Euro 1000/00) in favore dell’appellata amministrazione, oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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