Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 28-06-2011, n. 25755 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 19/11/2010 il Tribunale di Bari, respingeva l’istanza di riesame avverso l’ordinanza, in data 19/10/2010, con cui il Gip del Tribunale di Bari aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di P.R., indagato per partecipazione ad associazione a delinquere, per due episodi di usura, per uno di concorso in estorsione e per esercizio abusivo di attività finanziaria, confermando la misura cautelare. Il Tribunale, riteneva pienamente integrato il quadro di gravità indiziaria a carico del prevenuto con riferimento al reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata all’usura, capeggiata dal padre P.V., nonchè dei reati fine contestati, osservando che gli elementi di prova derivavano dalle dichiarazioni dei soggetti usurati e dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali. Da tale compendio probatorio emergeva che P.R., collaborava con il padre e concorreva attivamente nei due episodi di usura ed in quello di estorsione specificamente contestati. Quanto all’esercizio abusivo del credito, tale attività costituiva l’oggetto dell’associazione a cui il prevenuto partecipava.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con i quali deduce:

1. Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli artt. 125, 192, 63 e 350 c.p.p.;

2. Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli artt. 125, 192 e 273 c.p.p., art. 292 c.p.p., lett. c) bis, in relazione all’art. 416 c.p;

3. Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli artt. 125, 192 e 273 c.p.p., art. 292 c.p.p., lett. c) bis, in relazione agli altri reati contestati;

4. Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli artt. 125, 192, e 274 c.p.p.;

Quanto al primo motivo si duole che il Tribunale non abbia fatto cenno alcuno all’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai coindagati C. e T., sollevata dalla difesa in sede di motivi aggiunti al riesame. In proposito ribadisce tale eccezione, precisando che il C., escusso a sommarie informazioni senza le garanzie della difesa, aveva reso le dichiarazioni (utilizzate dal Gip e dal Tribunale per il riesame) in data 15/12/2008 ed in data 26/2/2009, quando lo stesso risultava anche formalmente indagato, avendo subito una perquisizione in data 11/12/2008, in conseguenza della quale aveva nominato un difensore di fiducia nella sua qualità di indagato.

Quanto al secondo motivo, eccepisce che il quadro indiziario a carico del prevenuto consentirebbe soltanto di ipotizzare il concorso nei due episodi di usura contestati, avendo il ricorrente riscosso dei ratei per conto del padre, dovendosi, pertanto escludere che dal semplice concorso in due episodi di usura si possa far discendere automaticamente la partecipazione del soggetto all’associazione per delinquere. Si duole, inoltre, che il Tribunale non abbia tenuto in alcun conto le deduzioni difensive circa l’assenza di ogni indizio di preordinazione da parte dei ricorrente, nè tanto meno di conoscenza degli obiettivi e di partecipazione alla loro ideazione.

Quanto al terzo motivo, relativo al concorso del R. nei reati fine a lui ascritti, il ricorrente eccepisce che il suo ruolo è stato solo quello di mero esecutore degli ordini del padre e si duole che il Tribunale non abbia rilevato l’assoluta marginalità del ruolo svolto dal prevenuto, dal quale si desume l’assenza di consapevolezza dei rapporti sottostanti ai crediti elargiti dal padre ai soggetti usurati. Con riferimento all’ipotesi di estorsione in danno di T. F., il ricorrente insiste nella tesi che l’individuazione del R. come "il figlio" presente al colloquio estorsivo sarebbe frutto di una deduzione illogica della p.g..

Quanto al quarto motivo, il ricorrente contesta come illogica la motivazione in ordine alla pericolosità sociale, in quanto sarebbe stata indicata in maniera apodittica una pretesa capacità intimidatrice del prevenuto, non corrispondente al ruolo a lui attribuito sulla base dell’impostazione accusatoria. Eccepisce inoltre la carenza di motivazione in ordine alla presunta inadeguatezza della misura gradata degli arresti domiciliari.

Motivi della decisione

E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento".

(Cass. Sez. 6A sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).

Inoltre "Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.

In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto".

(Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).

Tanto premesso, il ricorso risulta infondato.

Per quanto riguarda il primo motivo, non può essere accolta l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da C. C. e T.F. in quanto costoro sono stati sentiti nella loro qualità di soggetti passivi dei reati di usura ed estorsione compiuti ai loro danni.

E le loro dichiarazioni sono state prese in considerazione dal Tribunale per il riesame proprio in quanto informazioni testimoniali provenienti dalle persone offese.

Di conseguenza non è configurabile la sanzione dell’inutilizzabilità in quanto non sussisteva la necessità di adottare le garanzie dell’art. 63 c.p.p..

In proposito questa Corte ha statuito che:

"Il principio, sancito dall’art. 62 c.p.p., e art. 63 c.p.p., comma 2, della inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni rese dall’indagato, ancorchè di reato connesso o collegato, deve essere inteso in relazione alla sua ratio, che è ispirata alla garanzia del diritto di difesa; conseguentemente sono inutilizzabili solo le dichiarazioni dalle quali possano emergere elementi accusatori a carico del dichiarante o di quei soggetti processuali che si trovino, in quanto coindagati o indagati di reati connessi o collegati, in una posizione analoga o parallela, mentre sono pienamente utilizzabili le dichiarazioni di contenuto favorevole all’indagato (o ai coindagati) e quelle attinenti a reati non connessi o collegati, per le quali il deponente assume la qualità di testimone" (Cass.Sez. 3, Sentenza n. 18765 del 26/02/2003 Ud. (dep. 18/04/2003) Rv. 224910; conf. Sez. 3, Sentenza n. 16856 del 10/03/2010 Ud. (dep. 04/05/2010) Rv. 246985).

Orbene nel caso di specie il prevenuto, nella sua veste di esattore e quindi di soggetto attivo dei fatti di usura ai danni di C. e T. non si trova certamente in una posizione analoga o parallela a quella degli usurati, per cui le dichiarazioni di costoro, possono essere utilizzate nei suoi confronti, essendo irrilevante quando i dichiaranti abbiano assunto la veste di indagati.

In ogni caso sarebbe precluso a questa Corte di legittimità di procedere ad un accertamento in fatto per verificare se, all’epoca in cui hanno reso le dichiarazioni indizianti in danno di P. R., C. e T. nei confronti di costoro già sussistevano indizi di reità per il reato di cui all’art. 416 c.p. per il quale risultano coindagati assieme al R..

Per quanto riguarda il secondo motivo in ordine alla sussistenza dei gravi indizi del reato di associazione per delinquere, occorre richiamare l’insegnamento di questa Corte in tema di elementi significativi per la sussistenza del reato:

"Per quanto riguarda il dolo del delitto di associazione per delinquere è necessario che vi sia da parte dell’agente la coscienza e la volontà di compiere un atto di associazione, cioè la manifestazione di "affectio societatis scelerum" come tale e la commissione di uno o più delitti programmati dall’associazione non dimostra automaticamente l’adesione alla stessa. Tuttavia l’attività delittuosa conforme al piano associativo costituisce un elemento indiziante di grande rilevanza ai fini della dimostrazione della appartenenza ad essa quando attraverso le modalità esecutive e altri elementi di prova possa risalirsi all’esistenza del vincolo associativo e quando la pluralità delle condotte dimostri la continuità, la frequenza e l’intensità dei rapporti con gli altri associati. Anche la partecipazione ad un episodio soltanto della attività delittuosa programmata può costituire elemento indiziante dell’appartenenza all’associazione, ma in tal caso il valore di tale indizio è sicuramente ridotto ed è necessario che dalla partecipazione al singolo episodio sia desumibile "affectio societas" dell’agente, e che essa sia fonte di penale responsabilità a carico di chi la mette in atto. Quando infatti il soggetto abbia fornito un contributo alla realizzazione di un unico episodio rientrante nel programma associativo e a tale contributo non venga riconosciuta rilevanza penale, il valore indiziante ai fini della appartenenza all’associazione diventa minimo ed insufficiente ad un riconoscimento di responsabilità" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 11446 del 10/05/1994 Ud. (dep. 17/11/1994) Rv. 200938).

Alla luce di tali principi di diritto, deve essere respinto anche il secondo motivo di ricorso, in quanto il Tribunale per il riesame, non ha fatto discendere automaticamente la partecipazione del prevenuto all’associazione dal semplice concorso nei due reati di usura, ma ha valutato tale concorso quale elemento indiziante di grande rilevanza, mettendo in evidenza il ruolo specifico che il R. svolgeva quale collaboratore del padre V., promotore dell’associazione, ruolo che comportava necessariamente la consapevolezza di partecipare all’attività associativa.

Quanto al terzo motivo, lo stesso risulta inammissibile in quanto le censure proposte postulano la revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, cioè di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare.

Infine, risulta infondato il quarto motivo, poichè la motivazione in punto di pericolosità sociale, lungi dall’essere apodittica, resiste al controllo di legittimità, essendo congrua e priva di vizi logico giuridici. In particolare la Corte ha implicitamente ma logicamente motivato in ordine alla ritenuta inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poichè la presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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