Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 28-06-2011, n. 25753

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 20/1/2011 il Tribunale di Roma, respingeva l’istanza di riesame avverso l’ordinanza, in data 5/11/2010, con cui il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di G. P., imputato per tentata rapina e lesioni ai danni di B.M. di anni (OMISSIS), nonchè resistenza e lesioni a p.u..

Il Tribunale rilevava che gli elementi indizianti a carico dell’imputato non potevano essere messi in discussione, essendo intervenuta sentenza di applicazione della pena concordata fra le parti. Con riferimento alle esigenze cautelari, il Tribunale rilevava che la pericolosità sociale era concretamente desumibile dalle modalità del fatto, dai precedenti penali per fatti analoghi e dal fatto che il prevenuto probabilmente faceva uso di stupefacenti, per cui la custodia in carcere appariva l’unica misura adeguata.

Osservava, inoltre il Tribunale che il comportamento processuale collaborativo del prevenuto non aveva pregio, essendo stato costui arrestato in flagranza di reato, e che la condizione di padre di una bambina di (OMISSIS) anni non rilevava ai fini delle esigenze cautelari.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’imputato personalmente contestando come apodittiche ed illogiche le conclusioni a cui era pervenuto il Tribunale in punto di esigenze cautelari. In particolare contesta che sia irrilevante, ai fini delle esigenze cautelari, la condizione di padre del prevenuto. Si duole che il Tribunale abbia ritenuto poco pregevole il suo comportamento processuale, evidenziando che l’imputato aveva riconosciuto di aver agito assieme ad altro soggetto, della cui presenza non si era accorta la P.G. intervenuta nella flagranza del reato.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento".

(Cass. Sez. 6A sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).

Inoltre "Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto". (Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).

Tanto premesso, il ricorso risulta inammissibile in quanto manifestamente infondato. Al riguardo occorre precisare che le censure in ordine alle considerazioni svolte dal Tribunale in punto di pericolosità sociale non fanno emergere delle palesi incongruenze logiche nel percorso argomentativo seguito dai giudici del riesame.

In particolare l’affermazione sulla non rilevanza della condizione di padre del G. ai fini della valutazione delle esigenze cautelari, non risulta apodittica perchè inserita in un percorso argomentativo nel quale la valutazione della pericolosità sociale è stata effettuata sia con specifico riferimento alle concrete modalità del fatto, sia alla personalità dell’imputato, dalle quali legittimamente il Tribunale ha tratto le conclusioni assunte in punto di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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