Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 28-06-2011, n. 25750

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 13/12/2010 il Tribunale per il riesame di Milano respingeva l’appello avverso l’ordinanza, in data 8/11/2010, con cui il Gup del Tribunale di Milano aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, proposta nell’interesse di B.V., soggetto già condannato, per il reato di cui all’art. 648 ter c.p., alla pena di anni sei, mesi sei di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa, con sentenza del Gup in data 16/7/2010.

Il Tribunale rilevava che la situazione cautelare del B. era già stata valutata, sia in sede di riesame (con ordinanza 5/11/2009), sia in sede di appello (con ordinanza 1/6/2010).

In tali occasioni il Tribunale aveva ritenuto sussistente un concreto pericolo di recidiva ed, a fronte della elevata pericolosità sociale dimostrata dal prevenuto aveva ritenuto inadeguati gli arresti domiciliari.

Con riferimento alla nuova istanza, il Tribunale rilevava che non erano emersi nuovi elementi che potessero modificare il quadro cautelare e le valutazioni già espresse. In particolare le esigenze cautelari non risultavano attenuate per il tempo trascorso in stato di custodia, in assenza di altri elementi favorevoli, mentre gli accertamenti sanitari eseguiti avevano escluso l’incompatibilità delle condizioni di salute del B. con il regime carcerario.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce violazione di legge con riferimento all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) e vizio della motivazione sul punto.

In particolare si duole che il Tribunale per il riesame abbia insistito sulla tesi della pericolosità sociale del B. sulla base dei contatti che costui avrebbe mantenuto con S., soggetto implicato in traffico di cocaina e di auto rubate, contatti mantenuti anche quando S. era in carcere.

A riguardo eccepisce che non era il B. a ricercare il S. ma, viceversa era stato il S., dopo il suo arresto, a cercare di avere contatti con il B.. Si duole inoltre del differente trattamento riservato al coimputato M. al quale erano stati concessi gli arresti domiciliari.

Con una successiva memoria il difensore deduce, altresì, la violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, dolendosi della mancata motivazione sul giudizio di adeguatezza della misura cautelare.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento".

(Cass. Sez. 6A sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).

Inoltre "Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto". (Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566). Tanto premesso, il ricorso del B. risulta chiaramente inammissibile in quanto le censure sollevate attengono ad elementi fattuali (l’accertamento dei suoi reali contatti con S. e la loro interpretazione, l’accertamento della comparabilità della sua posizione a quella del coimputato M.) rispetto ai quali l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione.

Quanto alle doglianze in ordine alla valutazione di inadeguatezza degli arresti domiciliari, le censure sono infondate in quanto il Tribunale, attraverso il richiamo ai precedenti provvedimenti adottati in sede cautelare ha implicitamente motivato anche sull’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari.

Nè può dubitarsi della congruità delle argomentazioni sviluppate dal Tribunale per il riesame rispetto al fine giustificativo del provvedimento che risulta fondato su motivazione adeguata e priva di vizi logico-giuridici.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00). Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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