Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-11-2011, n. 23930 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che C.G., con ricorso del 4 luglio 2007, ha impugnato per cassazione – deducendo sei motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Perugia depositato in data 25 maggio 2006, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del C. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro della giustizia il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 3.100,00, a titolo di equa riparazione;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 10.000,00 – per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 10 gennaio 2005 – era fondata sui seguenti fatti: a) il C. era stato convenuto in una causa condominiale promossa con ricorso del 13 novembre 1989, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., dinanzi al Pretore di Priverno; b) il Pretore adito aveva deciso la causa con provvedimento di urgenza del 5 giugno 1992; c) il giudizio di merito, promosso con citazione del 1992, si era concluso con sentenza del 14 gennaio 2004;

che la Corte d’Appello di Perugia, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in quattordici anni e due mesi la durata complessiva del processo ed aver ritenuto che il periodo di ragionevole durata non poteva eccedere un anno per la fase d’urgenza e tre anni la fase di merito – ha detratto ulteriori periodi di diciotto mesi circa per l’astensione degli avvocati dalle udienze e di due anni per rinvii richiesti dalle parti per trattative, e così complessivamente ulteriori tre anni e cinque mesi; ha conseguentemente determinato la durata irragionevole del processo in sei anni e due mesi circa, liquidando l’indennizzo di Euro 3.100,00 sulla base del parametro di Euro 500,00 annui per il valore irrisorio della causa (Euro 1.135,17).

Motivi della decisione

che con i sei motivi di censura vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la determinazione della sola durata irragionevole del processo, anzichè dell’intera durata del processo presupposto; b) la detrazione dei numerosi rinvii determinati dallo sciopero degli avvocati e di quelli addebitati a comportamenti dilatori delle parti; c) la determinazione di un parametro annuo di indennizzo assolutamente inferiore rispetto a quelli adottati dalla Corte EDU; d) la violazione dei minimi tariffari forensi;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente infondata perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare l’indennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioè il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado, quale quello di specie, esclusa la fase cautelare (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009);

che la censura sub b) è, invece, fondata, quanto alla detrazione del periodo di sciopero degli avvocati;

che infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini dell’accertamento della violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 il giudice non può tenere conto del ritardo determinato dallo sciopero degli avvocati, trattandosi dell’esercizio di un diritto costituzionale che non può essere considerato come comportamento dilatorio delle parti in causa (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 18222 del 2009 e 2643 del 2003);

che, invece, la detrazione dei rinvii richiesti dalle parti per trattative è legittima;

che infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, ai fini della eventuale ascrivibilità all’area della irragionevole durata del processo dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., la violazione della durata ragionevole discende non – come conseguenza automatica – dal fatto che sono stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dalla stessa L. n. 89 del 2001, art. 2 con la conseguenza che da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando invece gli altri rinvii addebitabili alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla pubblica amministrazione evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 11307 del 2010);

che, nella specie, la motivazione della Corte di Lecce al riguardo è puntuale, nella misura in cui enumera una serie di rinvii, indicandone l’iniziativa, la causa e la durata ed addebitandoli esplicitamente tutti al comportamento delle parti;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta, restando assorbite le censure sub c) e sub d);

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto ha avuto una durata complessiva di 14 anni e due mesi, sicchè, detratti quattro anni di ragionevole durata (un anno per la fase cautelare e tre anni per la fase di merito), nonchè ulteriori due anni per rinvii (per trattative), addebitabili a negligenza delle parti, residuano 8 anni e due mesi di durata irragionevole;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, di due anni per il giudizio d’appello, di un anno per il giudizio di legittimità e di un ulteriore anno per la fase di rinvio, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che pertanto, nella specie, sulla base di tali criteri, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, va equitativamente determinato in Euro 7.430,00 per gli otto anni e due mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4^, e B, par. 1^, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi -, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. F. E. Abbate e A. Massino, dichiaratisene antistatari;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia al pagamento al ricorrente della somma di Euro 7.430,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. F. E. Abbate e A. Massino, dichiaratisene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Abbate, dichiaratosene antistatario.

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