Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-05-2011) 28-06-2011, n. 25692 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

E.M.A.B.M.S., tratto in arresto a seguito di ordinanza di custodia cautelare in carcere perchè accusato di rapina aggravata, veniva poi assolto da detta imputazione con sentenza passata in giudicato con la formula "per non aver commesso il fatto";

con domanda presentata alla Corte di Appello di Brescia chiedeva quindi l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita, e la Corte adita, provvedendo con ordinanza depositata il 16 novembre 2009, riconosceva al richiedente il diritto all’equa riparazione liquidando in suo favore la somma di Euro 34.800,00 condannando il Ministero dell’Economia e delle Finanze a rifondere all’istante le spese del procedimento per l’importo di Euro 700,00 oltre accessori come per legge.

La Corte territoriale motivava il suo convincimento evidenziando che:

a) l’istante era stato tratto in arresto sulla base delle dichiarazioni di un teste oculare che, dopo il fatto, aveva riconosciuto in fotografia l’accusato quale autore delle rapina; b) detto teste non si era poi presentato in dibattimento, con conseguente inutilizzabilità delle sue dichiarazioni rese in sede di indagini; di tal che, in mancanza di qualsiasi altro dato probatorio, il processo si era concluso con l’assoluzione dell’imputato con la formula "per non aver commesso il fatto"; c) il richiedente non era stato sorpreso dalla Polizia Giudiziaria in contesti contigui all’episodio per il quale era stato processato; d) il silenzio serbato dall’imputato stesso in occasione dell’interrogatorio e la mancata impugnazione del provvedimento cautelare dovevano considerarsi frutto di una scelta di strategia difensiva, nè vi erano elementi in base ai quali poter ritenere che l’imputato avrebbe potuto indicare circostanze idonee a demolire l’impianto accusatorio ancorato alle dichiarazioni del testimone; e) conclusivamente, non vi erano elementi che potessero legittimare un addebito di colpa in capo al richiedente.

Avverso detto provvedimento ha presentato ricorso per Cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta insussistenza di una condotta ostativa al diritto all’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita: il ricorrente valorizza quali elementi ostativi all’equa riparazione, l’avvenuto riconoscimento fotografico, che aveva legittimato il G.I.P. ad emettere il provvedimento restrittivo, ed il rifiuto dell’indagato di rispondere all’interrogatorio.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto, con la sua requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.

L’Avvocatura ha depositato memoria con argomentazioni a sostegno del proposto gravame.

Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

Il giudice della riparazione, come ripetutamente precisato da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni divergenti da quelle assunte dal giudice penale: e di tale suo diverso apprezzamento deve dare ovviamente adeguato conto.

Ad esempio, circostanze oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni difensive dell’imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici elementi di sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di condanna, ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione idonee ad integrare la colpa grave ostativa al diritto all’equa riparazione. E’ evidente però che giammai, in sede di riparazione per ingiusta detenzione, può essere attribuita decisiva importanza, considerandole ostative al diritto all’indennizzo, a circostanze relative alla condotta addebitata all’imputato con il capo di imputazione in ordine alle quali sia stata riconosciuta l’estraneità dell’imputato stesso con la sentenza di assoluzione (senza che possa avere rilievo se dalla sentenza emerga la prova positiva di non colpevolezza o piuttosto l’insufficienza o la contraddittorietà della prova: sul punto, Sez. 4, N. 1573/94, imp. Tinacci, RV. 198491). La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione rappresentata dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta detenzione, deve concretarsi in comportamenti che non siano stati esclusi, come detto, dal giudice della cognizione e che possono essere di tipo extra- processuale (comportamenti caratterizzati da spiccata leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da porre in essere un meccanismo di imputazione) o di tipo processuale (come un’autoincolpazione, un silenzio cosciente su di un alibi, etc.): e sugli elementi costitutivi della colpa grave così determinati, il giudice è tenuto sia ad indicare gli specifici comportamenti addebitabili all’interessato sia a motivare in che modo tali comportamenti abbiano inciso sull’evento detenzione.

Nel caso in esame, come si evince dalla motivazione dell’impugnato provvedimento, la Corte territoriale, quanto alla condotta dell’interessato, ha del tutto correttamente escluso la ravvisabilità di una condotta colposa da parte dello stesso tale da porsi in rapporto sinergico con l’evento detenzione: è di tutta evidenza, invero, che un riconoscimento fotografico – pur idoneo a costituire indizio grave da porre a base di un provvedimento cautelare – in alcun modo può considerarsi ex se riconducibille ad un comportamento della persona, e ciò a maggior ragione quando con la sentenza di assoluzione è stata esclusa la partecipazione dell’accusato al fatto-reato.

Per quel che riguarda l’atteggiamento difensivo dell’imputato, il quale in occasione dell’interrogatorio ritenne di avvalersi del suo diritto di non rispondere, questa Corte ha ripetutamente affermato che detta condotta processuale non può valere ex se a legittimare un giudizio positivo di sussistenza di colpa da porre a base del diniego del diritto all’equa riparazione – stante l’insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle indagini e dell’imputato – ma può rilevare solo sul piano della mancata allegazione di fatti favorevoli, causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare (sulla configurabilità della condotta sinergica al protrarsi dello stato di detenzione, in quanto comportamento omissivo causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, nel caso di mancato esercizio della facoltà difensiva di allegare fatti favorevoli, cfr. Quarta Sez. Pen., n. 16370/2003, imp. Giugliano, RV. 224774): nella concreta fattispecie, nemmeno il Ministero ricorrente ha allegato elementi che, se prospettati in sede di interrogatorio, avrebbero potuto determinare la cessazione dello stato di detenzione.

Nè può certo assumere rilievo, ai fini che in questa sede interessano, la circostanza, evidenziata con il ricorso, dello stato di detenzione di E.M.A.M.S. successivo alla cessazione della detenzione per la quale è stata richiesta la riparazione; circostanza che il ricorrente ha desunto dal fatto che la sottoscrizione dell’interessato in calce alla domanda di equa riparazione risulta autenticata dal Direttore della Casa di reclusione di Isili.

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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