Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-05-2011) 28-06-2011, n. 25689 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da S.F., affermando che questi aveva concorso a dare causa alla custodia cautelare subita.

La Corte distrettuale ricostruiva la vicenda processuale nella quale era rimasto coinvolto il S., come segue: a) all’interno di una pizzeria, gestita dal S.F., vi era stato un violento litigio tra il medesimo, nonchè il padre S. ed il fratello R., ed altri contendenti conclusosi con un omicidio e lesioni personali; b) per tali fatti il GIP del Tribunale di Varese aveva emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere per plurimi reati, tra cui anche quello di omicidio volontario, nei confronti del S.R. e del S.F.; c) quest’ultimo era stato condannato in primo grado alla pena complessiva di quattro anni e due mesi di reclusione per lesioni personali volontarie, tentata estorsione e sequestro di persona, ed assolto per non aver commesso il fatto per i residui reati a lui contestati ivi compreso quello di omicidio; e) in appello il S. era stato poi assolto anche dai reati di tentata estorsione e sequestro di persona per insussistenza del fatto, mentre era stata confermata la condanna alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di lesioni volontarie; d) il S. era stato detenuto dal 21 marzo 2004 fino al 21 dicembre 2005, ed aveva quindi presentato istanza di equa riparazione per la custodia cautelare subita in eccesso rispetto alla condanna ad otto mesi di reclusione inflittagli per il reato di lesioni volontarie.

La Corte adita ancorava il proprio convincimento, circa la ritenuta sussistenza di una condotta colposa del S. sinergica all’evento detenzione, alle seguenti circostanze: a) il S. aveva inizialmente reso una versione mendace circa le modalità del fatto, sostenendo di essere stato sempre presente durante il litigio – pur negando una sua compartecipazione diretta al fatto, ma accreditando comunque una ipotesi di connivenza – fornendo una descrizione dettagliata di tutte le fasi della vicenda poi conclusasi tragicamente; b) tali dichiarazioni avevano evidentemente indotto il GIP a ritenere configurabile a carico del S. una sua compartecipazione anche all’episodio omicidiario; c) le iniziali dichiarazioni erano state poi ritrattate dal S. nel corso del giudizio di primo grado, e la nuova versione aveva costituito la premessa per la conferma nel giudizio di appello della sentenza assolutoria per l’omicidio (per il quale era stato condannato il solo fratello R.); d) l’iniziale versione resa dal S., integrante sostanzialmente una condotta connivente con l’autore materiale del reato, costituiva comportamento tale da escludere il diritto all’equa riparazione, trattandosi di condotta che poteva facilmente essere scambiata almeno inizialmente per concorso, anche sulla scorta di taluni precedenti della giurisprudenza di legittimità in materia; e) quanto agli altri reati in ordine ai quali era intervenuta sentenza assolutoria, e per i quali pure risultava essere stata applicata la misura della custodia cautelare, parimenti era ravvisatole una condotta del S. ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione, posto che l’istante aveva comunque commesso il reato di lesioni volontarie per il quale era stato condannato, e si trattava di condotta direttamente correlata ad una ricostruzione della complessiva vicenda connotata da quegli atteggiamenti violenti, minacciosi ed estorsivi riferiti dalla parte offesa, che avevano costituito oggetto delle relative imputazioni per le quali anche era stata emessa la misura cautelare;

f) ancora, doveva evidenziarsi che la misura cautelare era stata immediatamente revocata contestualmente alla pronuncia assolutoria in primo grado proprio per il reato di omicidio volontario in relazione al quale era in quel momento ancora in atto la misura stessa.

2. Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il S. con atto di impugnazione sottoscritto dal difensore, deducendo, attraverso diffuse ed articolate argomentazioni, vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza della colpa grave, sostenendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore di impostazione e prospettiva nel valutare le risultanze processuali ai fini che in questa sede interessano.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il difensore del S. ha poi depositato note scritte con argomentazioni finalizzate a confutare le considerazioni svolte dal Procuratore Generale e da questi poste a base della richiesta di rigetto del ricorso.

3. Il ricorso deve essere rigettato per la infondatezza delle doglianze dedotte.

Secondo i principi elaborati ed affermati nell’ambito della giurisprudenza di questa Suprema Corte, nei procedimenti per la riparazione per l’ingiusta detenzione, in forza della norma di cui all’art. 646 c.p.p., secondo cpv, – da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell’art. 315 c.p.p., comma 3 – la cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, colpa grave allorquando il soggetto sia venuto meno all’osservanza di un dovere obiettivo di diligenza, con possibilità di prevedere che, non rispettando una regola precauzionale, venendo meno all’osservanza del dovere di diligenza, si sarebbe verificato l’evento "detenzione" (cfr, fra le tante: Sez. 4, n. 3912/96 – cc. 29/11/95 – RV. 204286; Sez. 4, n. 596/96, RV. 204624); la sinergia, sulla custodia cautelare, del comportamento dell’istante può riguardare "sia il momento genetico che quello del permanere della misura restrittiva" (così, "ex plurimis", Sez. 4, n. 963/92, RV. 191834). Giova evidenziare, ancora, che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 43 del 1995 già sopra ricordata, hanno sottolineato che: a) "deve intendersi dolosa……non solo la condotta volta alla realizzazione di in evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’"id quod plerumque accidit" secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare ovviamente anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non al merito. E, per quel che concerne la verifica dei presupposti e delle condizioni richieste perchè sussista in concreto il diritto all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43 del 13/12/1995 – 9/2/1996, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.

Nella fattispecie in esame, la Corte di Appello di Milano, per quanto si evince dall’impugnata ordinanza, ha motivato il proprio convincimento attraverso un adeguato percorso argomentativi con le considerazioni sopra ricordate; orbene appare all’evidenza che trattasi di un "iter motivazionale incensurabile in quanto caratterizzato da argomentazioni rispondenti a criteri di motivazionale incensurabile in quanto caratterizzato da argomentazioni rispondenti a criteri di logicità ed adeguatezza, nonchè in sintonia con i principi enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa grave quali condizioni ostative al diritto all’equa riparazione: si ha una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo"; b) "poichè inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione … quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamento o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso". 4. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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